AIS

2020/16

Studiare le disuguaglianze di salute in tempo di pandemia: una cornice teorica (A theoretical framework for studying health inequalities in pandemic times), di Marco Terraneo


In questo saggio proponiamo una prima riflessione sui possibili effetti della pandemia da Covid-19 sulle disuguaglianze di salute, proponendo un framework per interpretare la relazione tra risorse possedute ed iniquità, fondato sulla prospettiva dei determinanti sociali di salute. Si riconosce che esistono significative differenze tra gli individui in virtù della posizione sociale che essi occupano, non solo nella probabilità di essere esposti al virus, di contrarre la malattia in forma più o meno severa e nel trattamento della malattia dopo il suo sviluppo, ma anche sulle ripercussioni sociali, economiche e psicologiche della pandemia, come la crisi economica che è molto probabile ne conseguirà o lo stress generato dall’isolamento sociale. Si sottolinea, inoltre, che esistono fattori trasversali, quali l’età, il genere e l’etnia che possono amplificare o contenere gli effetti della posizione sociale sulla salute degli individui. A ciò si deve aggiungere il ruolo del sistema sanitario e della comunicazione pubblica come ulteriori dimensioni che possono originarie disuguaglianze negli esiti di salute. Nel complesso, si ritiene che le disparità messe in luce possano determinare, nel lungo periodo, un peggioramento del benessere generale della popolazione e accrescere le iniquità di salute.

This essay proposes a first discussion about the impact of the Covid-19 pandemic on health inequalities, proposing a framework to assess the relationship between individual resources and inequality, based on social determinants of health perspectives. It is recognized that there are significant disparities related to an individual’s social position, both in terms of the probability of being exposed to the virus and contracting it (as well as its severity) and effectiveness of treatment once the disease has developed. We also observe the social, economic and psychological consequences of the pandemic, such as the economic crisis and the stress generated by social isolation. Moreover, we highlight that there are cross-cutting factors, such as age, gender and ethnic origin, which could increase or reduce the effects of social status on health. Finally, further dimensions that produce inequalities in health outcomes are the healthcare system and public health communication. In general, we think that in the long run, these disparities can worsen the general health and result in growing health inequalities.

1. Introduzione

Tra le diverse prospettive su cui ragionare intorno all’attuale pandemia, in questo saggio si propone una riflessione, necessariamente preliminare, sull’impatto che l’emergenza sanitaria ha avuto e potrà avere sulle disuguaglianze di salute. Come noto, per iniquità di salute si intendono differenze di salute socialmente prodotte, sistematiche nella loro distribuzione tra la popolazione, e ingiuste (Dalhgren and Whitehead 2006). In altre parole, le iniquità di salute sono disparità che favoriscono i gruppi sociali più avvantaggiati rispetto a quelli meno avvantaggiati, ossia gruppi che occupano posizioni differenti nella gerarchia sociale in virtù delle diverse risorse che possiedono, siano esse sociali, culturali, economiche (Terraneo 2018).

Situare la discussione in questo quadro concettuale, significa riconoscere che esistono significative differenze tra gli individui nella probabilità di essere esposti e di contrarre il virus e sulle conseguenze del virus per chi è stato esposto. Se, dunque, l’ineguale esposizione ai fattori di rischio può condurre a livelli differenti di malattia e decesso tra gli individui durante la pandemia, quest’ultima ha anche conseguenze non legate direttamente alla diffusione del virus e al contagio. Infatti, non devono essere sottovalutate le ripercussioni sociali, economiche e psicologiche, quali l’isolamento forzato o la crisi economica, che possono determinare, nel lungo periodo, un peggioramento del benessere generale della popolazione e accrescere, al contempo, le iniquità di salute.

Non si dispongono ad oggi dati empirici che permettano un’analisi puntuale dei processi che saranno descritti in queste pagine. Le ipotesi formulate, oltre ad essere il frutto della riflessione teorica, si fondano su quanto sappiamo dall’analisi delle precedenti epidemie e pandemie[1] che si sono succedute nel mondo con una certa frequenza. D’altra parte, va sottolineato, ed è un aspetto molto rilevante, che nessuna pandemia ha interessato direttamente una quota di persone così ampia dell’intera popolazione mondiale, e ha richiesto misure di sanità pubblica così stringenti e pervasive, come nel caso dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo. Pertanto, i percorsi e gli esiti discussi potrebbero essere significativamente diversi da quelli immaginati.

Negli ultimi vent’anni, le epidemie e le pandemie che hanno colpito pesantemente la popolazione mondiale, SARS (2003), H1N1 o “influenza suina” (2009), MERS (2012), Ebola (2013), Zika virus (2015)[2], hanno dato origine a un’ampia letteratura che ha messo al centro della riflessione, oltre alla dimensione epidemiologica relativa ai tassi di infezione e di mortalità, il tema degli effetti delle iniziative di salute pubblica volte a contenere la diffusione del virus e la loro ricaduta sulla vita delle persone. Ancora, numerosi studi si sono preoccupati di valutare i piani nazionali di risposta alle pandemie e suggerire una serie di misure ritenute necessarie per affrontare in modo adeguato una situazione di emergenza sanitaria, sociale ed economica che ne potesse contenere gli effetti. Uno degli aspetti centrali di preparazione dei piani di contenimento delle pandemie dovrebbe essere il riconoscimento degli accresciuti rischi per le fasce più vulnerabili e svantaggiate della popolazione. Ma ciò non sempre avviene. Come Uscher-Pines e colleghi (2007) mettono in evidenza nel loro studio su 37 piani di preparazione alla pandemia, nessun di essi identifica sistematicamente i gruppi a maggior rischio perché economicamente e socialmente svantaggiati. Allo stesso modo, Garoon e Duggan (2008, 1140) sottolineano come questi piani sembrino esacerbare lo svantaggio preesistente in termini di risultati biologici, sociali ed economici. Sottolineiamo che il piano pandemico del nostro Paese elaborato nel 2006 non è mai stato aggiornato, nonostante le recenti sollecitazioni agli stati nazionali in tal senso dell’OMS.

Riteniamo dunque che un approccio sistematico delle conseguenze della pandemia debba necessariamente prestare attenzione agli accresciuti rischi in cui incorrono gli individui più svantaggiati della società e, questo è un elemento cruciale, se e in che misura il differenziale nei rischi si allinei ai determinanti sociali di salute (O’Sullivan and Phillips 2019).

Per illustrare quanto si sostiene, la Figura 1 presenta la relazione tra la posizione sociale occupata dagli individui e, da una parte, gli ambiti di disparità associati al virus che determinano diseguali livelli di malattia e mortalità; dall’altra le conseguenze sanitarie, sociali ed economiche della pandemia che aumentano le iniquità di salute in una società. Come indicato, l’impatto della posizione sociale può essere amplificato o contenuto da fattori di stratificazione che agiscono in modo trasversale alla gerarchia sociale: le principali dimensioni sono l’età, il genere e l’etnia. Ad esempio, i dati disponibili mostrano che i tassi di mortalità a seguito della diagnosi di Covid-19 sono più alti tra gli uomini rispetto alle donne. Differenze biologiche tra i sessi e la maggior frequenza di comportamenti insalubri[3] tra gli uomini si ipotizza possano spiegare disparità osservate. D’altro canto, la maggior parte dei contagi in ambito lavorativo riguarda la componente femminile (il 71% secondo l’INAIL al 30 aprile 2020), più esposta al virus per il tipo di attività che svolge, a stretto contatto con i pazienti (infermiere e operatrici sociosanitarie) o con il pubblico (ad esempio cassiere dei supermercati).

Figura 1 Framework per l’analisi delle disuguaglianze di salute in tempo di pandemia

06_figura 1 

Nota: con riferimento alla relazione tra gli ambiti di disparità legati al virus e i diseguali livelli di malattia e mortalità, la figura è un adattamento da Blumenshine et al. (2008) e Quinn e Kumar (2014).

Inoltre, anche il sistema sanitario e la comunicazione riguardante la salute (se e quanto si è esposti alle informazioni, se e quali informazioni si cercano, la capacità di elaborazione delle informazioni) hanno un ruolo rilevante nello strutturare le disuguaglianze di salute durante la pandemia.

Ci soffermiamo ora nel dettaglio sui processi che presiedono alla produzione delle disuguaglianze di salute.

2. Diseguali di fronte al virus

La relazione tra la posizione sociale e i diseguali livelli di malattia e mortalità si sofferma su tre specifici ambiti di disparità (Blumenshine et al. 2008; Quinn and Kumar 2014).

La differenza nell’esposizione. Soggetti con occupazioni a basso reddito, poco qualificate, potrebbero non avere la possibilità di stare a casa, quando una delle strategie più efficaci per evitare il contagio è quella di poter limitare il contatto con le altre persone. Questi lavori più difficilmente possono essere svolti in modalità alternative, come lo smart working, ma richiedono la presenza fisica sul posto di lavoro. I lavoratori in nero potrebbero, anche a causa della mancanza di tutele garantite agli occupati regolari, ancor di più non avere modo di rinunciare al reddito da lavoro, trovandosi a dover fare un’impossibile scelta tra difesa della propria salute e reddito. Alcuni lavoratori, inoltre, sono necessari perché contribuiscono a fornire beni e servizi essenziali per l’intera popolazione (si pensi alla movimentazione merci).
Un ulteriore fattore che può aumentare il rischio di esposizione al virus è il sovraffollamento. Il sovraffollamento è associato a caratteristiche sociali ed economiche negative per la famiglia: è più frequente per chi vive in affitto, ha un reddito famigliare basso e ha origine straniere. Particolarmente a rischio di contagio sono le persone che vivono in istituzioni quali le RSA, le carceri, le residenze sanitarie per disabili, in cui la convivenza accresce notevolmente la possibilità di contrarre il virus.

La differenza nella suscettibilità. Una volta esposti al virus, la probabilità di ammalarsi e la severità stessa della malattia possono essere influenzate da un insieme di fattori che rendono i soggetti più vulnerabili. Ciò che è rilevante osservare è che tali fattori di rischio non sono equamente distribuiti tra la popolazione, ma variano in virtù della posizione sociale occupata. In sostanza, alla minore disponibilità di risorse corrispondono maggiori rischi. È stato evidenziato che alcuni comportamenti insalubri, come fumare[4] o un eccesso di consumo di alcol, vedono aumentare il rischio di infezione (OMS). Lo stesso sembra valere per la presenza di malattie croniche, che aumentano la suscettibilità di chi ne soffre. I dati sembrano indicare, ad esempio, come il tasso di letalità tra gli anziani sia più elevato proprio tra quelli multicronici. Ancora, lo stress psicologico che indebolisce le difese immunitarie dell’organismo potrebbe essere associato a un aumento della suscettibilità.

La differenza nel trattamento. Una volta contratto il virus ed aver sviluppato la malattia si possono osservare differenze legate alla capacità di accesso al sistema sanitario e trattamento della malattia. Durante la fase acuta della pandemia si è assistito a una disponibilità insufficiente di posti letto in ospedale, di accesso alla terapia intensiva e di personale ospedaliero. L’impossibilità di fornire a tutti i pazienti le cure necessarie ha comportato in alcuni casi la necessità di scegliere chi dovesse essere rimandato e curato nella propria abitazione invece che in ospedale; chi dovesse aver accesso a terapie potenzialmente salvavita come il supporto respiratorio e chi invece ne fosse escluso. Il sistema sanitario si è dimostrato impreparato ad affrontare la pandemia e la crisi che ne è derivata. In tal senso, è da valutare se e in che misura ci siano state disparità legate a condizioni socioeconomiche, etniche, nei confronti di persone vulnerabili o con disabilità, nella qualità delle cure fornite, in termini di disponibilità dei trattamenti e appropriatezza degli interventi.

 

Altre due dimensioni entrano in gioco come elementi di possibile amplificazione delle disparità. Da una parte, il sistema sanitario (nelle sue varianti regionali) sembra essere un nodo focale nella capacità di risposta all’emergenza sanitaria. I sistemi basati sulla medicina del territorio, focalizzati sulle cure primarie e i servizi di prevenzione, e i sistemi ospedalocentrici, che privilegiano i ricoveri ospedalieri, sembra abbiano avuto capacità ben diverse di intervenire e promuovere salute di fronte alla pandemia, con i primi più pronti a reagire ai bisogni degli individui e a proteggere le persone rispetto ai secondi (Tognetti 2020). Come sappiamo, il sistema sanitario contribuisce a migliorare lo stato di salute o contenere i rischi di complicazioni per i pazienti. In tal senso, il sistema sanitario può ridurre le disuguaglianze assicurando che le condizioni di salute e i rischi associati alla malattia dei gruppi che occupano le posizioni più basse della gerarchia sociale siano il più possibile simili a quelli dei gruppi con più elevato status socioeconomico (Mackenbach 2003). Da verificare, inoltre, se l’eccesso di mortalità di questi mesi sia in parte imputabile al timore di recarsi in ospedale di individui che hanno ritenuto non sicuro rivolgersi alle strutture sanitarie per pregressi o emergenti problemi di salute, determinando in alcuni casi un esito fatale. Nel lungo periodo, l’aver posticipato le cure necessarie, potrà determinare condizioni di salute peggiori, soprattutto per coloro che non dispongono delle risorse necessarie (economiche, ma anche di conoscenza) per recuperare il tempo perso (quando possibile) attraverso, ad esempio, un aumento della frequenza a programmi e interventi di sostegno/recupero. Il secondo aspetto, correlato alla capacità di risposta del sistema sanitario, è quello della comunicazione in merito alla salvaguardia della salute. I determinanti sociali della salute giocano, direttamente o indirettamente, anche in questo caso, un ruolo rilevante, per prevenire, proteggere, rispondere e riprendersi dalle emergenze sanitarie, sia per le comunità che per i singoli individui (Nelson et al. 2007, S9). Sappiamo infatti che esistono significative differenze tra gli individui nell’esposizione ai messaggi di sanità pubblica e nella capacità di accedere, cercare, elaborare e utilizzare le informazioni ricevute, che possono causare disparità nelle conoscenze relative alla salute, nei comportamenti e, in definitiva, negli esiti di salute (Viswanath 2006).

3. Diseguali di fronte alle conseguenze della pandemia

Gli ambiti di disparità discussi non esauriscono le conseguenze pesantemente negative per la salute e il possibile aumento delle iniquità di salute. La pandemia, infatti, ha ripercussioni che vanno oltre l’emergenza prodotta dal contagio e dalla malattia. In particolare, due effetti della pandemia potranno incidere nel lungo periodo sull’ampliamento delle disuguaglianze di salute: l’isolamento sociale e la crisi economica.

  1. Tra le misure di prevenzione della diffusione del virus SARS-CoV-2 il lockdown e l’isolamento sociale possono generare un aumento rilevante del livello di stress tra gli individui. Come noto, lo stress è ritenuto nel lungo periodo all’origine di numerose malattie psicosomatiche e psicologiche. Inoltre, ha conseguenze negative per il benessere fisico degli individui, ad esempio è una concausa di alcune malattie cardiovascolari. Quando gli individui affrontano situazioni ambientali che minacciano per lungo tempo il benessere e le risposte adattive sia di fuga che di lotta non sono perseguibili, le conseguenze negative sulla salute sono considerevoli (Brunner and Marmot 1998). Sul piano più strettamente biologico (o meglio, dell’interazione tra fattori sociali e biologici/genetici), l’esposizione a eventi stressanti è all’origine di elevati livelli di cortisolo, un ormone prodotto dall’organismo, che è ritenuto un fattore di vulnerabilità per una serie di malattie, come la depressione (Rutter et al. 2006). Durante una pandemia, lo stress si origina dal rischio percepito di ammalarsi o che si ammali una persona cara (familiare o amico). Le persone possono considerare la probabilità di ammalarsi come fuori dal proprio controllo, percependo un senso di impotenza sugli eventi della propria vita. A ciò si aggiunge l’incertezza legata al rischio di perdere l’occupazione o la propria attività autonoma, l’essere collocati in cassa integrazione, oppure sperimentare una sostanziale riduzione dell’orario di lavoro. Veder minacciato il proprio reddito, da cui derivano preoccupazioni legate alla capacità di far fronte alle spese per l’affitto, il mutuo, il pagamento delle bollette, accresce il livello di stress vissuto quotidianamente. È chiaro che questi rischi variano significativamente sulla base delle risorse su cui gli individui possono contare. Disporre di un consistente patrimonio familiare, un livello di istruzione elevato, un’occupazione altamente qualificata si configurano certo come fattori protettivi che permettono di contenere i livelli di stress generati dai rischi reali e percepiti, dovuti alla pandemia. Si pensi, inoltre, a quanto possano contare, in questo periodo di forzata presenza nell’alloggio, le condizioni abitative, in termini di spazio disponibile per occupante, la presenza/assenza di balconi o spazi e/o giardini privati o condominiali, comfort dell’alloggio e così via, per garantire il benessere individuale e familiare.
    Infine, l’isolamento potrebbe comportare un cambiamento negli stili di vita, sia in senso positivo che negativo. Naturalmente, se i cambiamenti in senso peggiorativo dovessero interessare le fasce più vulnerabili della popolazione, come un incremento del consumo di alcol e/o tabacco, una dieta meno sana, un’accresciuta sedentarietà – e se questi comportamenti venissero mantenuti anche dopo il superamento della Fase 1 –, allora le disuguaglianze di salute potrebbero ulteriormente aumentare.
  2. La seconda conseguenza della pandemia, i cui effetti sulla salute potranno essere valutati solo nel medio e lungo periodo, è il prodotto della difficile crisi economica che, stando alle previsioni, certamente dovremo affrontare. Se sia una crisi profonda e prolungata o da cui potremmo uscire piuttosto celermente dipende da molti fattori, sia sanitari che economici. Quello che le crisi economiche passate ci hanno insegnato è che, seppure alcuni effetti positivi (riduzione degli incidenti stradali e sul lavoro, minor inquinamento) sulla salute possono verificarsi nel breve periodo, nel lungo periodo gli effetti negativi prevalgono. La perdita di posti di lavoro o la considerevole contrazione delle risorse economiche disponibili riduce la possibilità di destinare parte di esse a difesa del benessere personale e familiare. Oltre ad una diminuita capacità di spesa dedicata alla salute, l’insicurezza e lo stress legati alla disoccupazione e alle difficoltà economiche, come visto in precedenza, sono importanti fattori di rischio in grado di minare la salute psicologica e mentale (Moscone et al. 2006), ma anche fisica (Mucci et al. 2016) degli individui. La crisi economica, che presto si trasforma anche in crisi sociale, colpisce più duramente i soggetti e le famiglie più vulnerabili, ossia coloro che dispongono di meno risorse in grado di far fronte alle difficoltà, ampliando le già considerevoli iniquità di salute che caratterizzano la nostra società.

 

In conclusione, un inciso sull’accesso e all’uso del sistema sanitario. Il nostro sistema sanitario pubblico, messo in crisi dalla pandemia, si dovrà confrontare con gli effetti della crisi economica, a cui è spesso associata la necessità da parte dei governi di adottare misure di austerity per contenere la spesa pubblica, tagli che in passato hanno riguardato in misura consistente anche l’assistenza sanitaria e sociale (Van Gool and Pearson 2014). Nel nostro Paese, il finanziamento pubblico nell’ultimo decennio ha subito una drastica contrazione. La crescita percentuale della spesa sanitaria pubblica negli anni 2009-2018 è aumentata solo del 10%, contro la media OCSE del 37% (European House Ambrosetti 2018). Le scelte in tale ambito, dunque, se si ripercorrerà la strada già battuta, rischiano di esacerbare una situazione da tempo molto difficile, accrescendo le disuguaglianze nell’accesso e di uso dei servizi sanitari, che si traducono in un maggior rischio di malattia per gli individui e, a loro volta, in un aumento delle disparità sociali nelle condizioni di salute (Terraneo 2015).

 

4. Conclusioni

In queste pagine ci si è proposti di presentare un framework teorico per un approccio sistematico allo studio delle iniquità di salute come conseguenza della pandemia da Covid-19. Adottando la prospettiva dei determinanti sociali di salute, possiamo distinguere il ruolo che le risorse (potere, denaro, conoscenza, prestigio) giocano nello strutturare gli outcome di salute degli individui, guardando da una parte agli ambiti di disparità legati al virus e dall’altra alle conseguenze sociali ed economiche della pandemia. Se e in che misura i processi descritti producano un aumento delle disparità tra gli individui e penalizzino ulteriormente i soggetti più vulnerabili, non può che essere oggetto di attenta e approfondita analisi empirica. I dati che si sono già raccolti e di cui si potrà disporre nei prossimi mesi potranno restituirci un quadro più completo dei percorsi attraverso i quali la pandemia avrà accentuato le disuguaglianze di salute già ampie (e note) nel nostro Paese (ma questo esito non riguarda certo solo l’Italia).

Se tali processi appaiono in buona sostanza inevitabili (e su questo ci sarebbe molto da dire, ma non è questa la sede per affrontare un argomento tanto complesso), certo non sono inevitabili le conseguenze di tali processi. In altre parole, si riconosce che le disparità di risorse che danno origine alle disuguaglianze di salute possano essere minimizzate adottando specifiche misure che siano indirizzate prioritariamente alle persone vulnerabili. Ad esempio, come abbiamo detto, i lavoratori che non possono accedere alla modalità di smart working sono più esposti al virus rispetto a chi invece può beneficiare di questa opportunità. Questa disparità aumenta sia il rischio di ammalarsi, sia le iniquità di salute, se si considera che spesso le occupazioni che richiedono la presenza fisica sul posto di lavoro sono poco qualificate, precarie, a basso reddito (si pensi al caso eclatante dei rischi per i lavoratori impiegati nella macellazione delle carni, in cui il virus ha trovato terreno estremamente fertile). Dunque, se tali rischi sono reali (come noi crediamo siano), il contenimento delle iniquità di salute passa da scelte, spesso di natura politica, ma che richiedono la partecipazione e il coinvolgimento attivo di tutti i portatori di interesse, che sappiano proteggere i gruppi più svantaggiati. In generale, dunque, c’è ampio spazio per le misure di politica sociale volte a promuovere salute per accrescere il benessere degli individui anche in una situazione emergenziale come quella vissuta. Come già riconosciuto nella costituzione dell’OMS nel 1946, la politica gioca un ruolo fondamentale: «I governi hanno la responsabilità della salute dei loro cittadini che può essere soddisfatta solo fornendo adeguate misure sanitarie e sociali.» [traduzione nostra], e questo vale anche, e si potrebbe dire soprattutto, in una situazione come quelle sperimentata durante la pandemia, che sembra accentuare le disparità esistenti tra i gruppi sociali.

 

 

Riferimenti bibliografici

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1

Ricordiamo che un’epidemia è definita come il verificarsi in una comunità o regione di casi di una malattia decisamente oltre la normale aspettativa. Una pandemia invece è definita come un’epidemia che si verifica su un’area molto ampia, che attraversa i confini internazionali e di solito colpisce un gran numero di persone (Porta 2014).

2

Per una sintetica rassegna delle principali epidemie e pandemie a partire dal Medioevo, con l’indicazione della loro estensione geografica, la stima diretta di morbilità e mortalità e l’impatto economico, politico e sociale, si veda Madhav et al. (2018, 317-18).

3

Si segnala che in alcuni studi osservazionali ancora sottoposti a revisione, sembrerebbe emergere che chi fuma regolarmente avrebbe meno probabilità di sviluppare un’infezione da Coronavirus rispetto alla popolazione generale. È bene precisare che questi studi necessitano di conferma da sperimentazioni più rigorose e su campioni più ampi. Inoltre, ciò che in realtà si sarebbe osservato è che la nicotina potrebbe essere un fattore protettivo, non il fumo, che rimane – come si dirà anche tra breve – un fattore che sembra aumentare le conseguenze negative dell’infezione da Covid-19.

4

Su questo punto si veda la nota 3.

  • Articolo
  • pp:87-97
  • DOI: DOI: 10.1485/2281-2652-202016-6
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