AIS

2013/1

Le religioni in rete: come comunicano e come studiarle (Religions on the web: how they communicate and how to study them), di Enzo Pace


Nell’era digitale, le scienze sociali delle religioni hanno cominciato ad affrontare il problema di come studiare un nuovo fenomeno complesso e articolato: la comunicazione religiosa mediata dal computer. Dal momento che il fenomeno è ampio, complesso e nuovo, la sociologia delle religioni è chiamata, innanzitutto, a interrogarsi sugli strumenti, le categorie e le metodologie per l’analisi di tale fenomeno. Finora i ricercatori hanno messo in evidenza l’estensione e la molteplicità di tutto ciò che riguarda il vasto mondo della comunicazione digitale in ambito religioso; la sua complessità deriva proprio dal fatto che siamo di fronte ad un oggetto di studio che presenta almeno tre dimensioni, sovrapposte una all’altra, non sempre distinguibili in maniera agevole. Le tre dimensioni sono, nell’ordine: la comunicazione (via computer), la religione e l’osservazione. In questo saggio analizzerò il fenomeno, prima di tutto, tracciando un bilancio sullo stato dell’arte e sulla terminologia utilizzata dai ricercatori, per poi passare a discutere i possibili approcci teorici e le principali questioni metodologiche.

Religions on the Web: How They Communicate and How to Study Them

In the digital age, the social science of religion has begun to face the problem of studying a new, complex phenomenon: religious communication mediated by the internet. Given the breadth and complexity of this new phenomenon, sociology needs to find instruments, words, categories and methodologies to analyze it. Thus far, researchers have highlighted the extent and complexity of religious communication on the internet, which has at least three overlapping dimensions that are not always distinguishable: communication (via computer), religion and observation. In this essay I will try to analyse the phenomenon by focussing on the state of the art and the terminology generally adopted by researchers, and then discussing some theoretical approaches and methodological issues.

Introduzione

Le riflessioni che seguono sono il frutto, ancora parziale, di una ricerca in corso sulle religioni in rete, ricerca iniziata un anno fa e subito rivelatasi irta di difficoltà. In particolare, per chi scrive, non più giovanissimo e appartenente ad una generazione non sempre connessa con le ultime novità del mondo del web, è stato facile condividere lo stato d’animo di Georg Simmel, quando questi, scrivendo nel 1903 (trad. it. 1996) Le metropoli e la vita dello spirito, spiegava la differenza fra spirito soggettivo e spirito oggettivo, tradotto, fra le mie modeste possibilità conoscitive e l’incredibile crescita di informazioni attorno a me.

Mentre, dunque, ho cominciato navigare lunghe le autostrade elettroniche, perdendomi continuamente con le continue uscite (link, rimandi, mappe, immagini e così via) che incontravo aprendo un sito religioso, ad un certo punto mi sono imposto di fermarmi ad una stazione di servizio, fuor di metafora, di fissare alcune idee e darmi una disciplina mentale. Dotarmi di bussole per tracciare mappe nel progetto di ricerca in un campo che ha cominciato ad essere esplorato, come vedremo fra poco, solo da qualche anno. Un campo, sia detto subito, per definizione vasto e affollato di attori sociali (reali o virtuali, poco importa) di cui spesso anche lo specialista di scienze sociali delle religioni stenta ad identificare il profilo identitario; inoltre, la rete cattura altri soggetti che si mettono in proprio, aprendo un’azienda religiosamente orientata, che avrà un tempo di vita sovente corto, il respiro cortissimo di una storia senza storia, com’è quella che si svolge nelle pagine elettroniche della rete. Alla stazione di servizio, dunque, ho cercato di ricaricare il serbatoio della mia mente, facendo non solo il bilancio delle conoscenze sinora acquisite nel campo degli studi sulla digital-religion, ma anche di dotarmi di un qualche apparato teorico che mi consentisse di procedere – per prove ed errori – alla messa in ordine di un campo altrimenti insondabile. Da vecchio weberiano ho, perciò, cominciato a ragionare per tipi-ideali, cercando di vedere se il ragionamento ideal-tipico potesse, ed entro che limiti, applicarsi ad un oggetto polimorfo e polisemico come quello che l’altro mondo religioso della rete ci presenta. Sono partito, di conseguenza, dalla felice intuizione di uno studioso canadese, che ha introdotto la distinzione fra religion online e online religion, per approdare ad un’ipotesi (che resta, perciò, tutta da verificare al termine della ricerca in corso) di ideal-sitologia religiosa, che qui intendo sommariamente descrivere con dei rapidi rimandi a esempi e studi di caso. L’elaborazione di tale tipologia ha comportato anche la decisione di sperimentare tecniche di ricerca che, nate in altri contesti di studio (il marketing), mi sono apparse interessanti, da affiancare agli strumenti classici ormai collaudati (analisi del contenuto, dell’asse semantica del discorso, del design, degli stili semiotici ecc.). Fra i metodi possibili mi pare che un contributo interessante provenga dagli studi compiuti da Kozinets (2010), che egli ha finito per chiamare netnography. L’etnografia applicata alla comunicazione assistita via computer, in realtà, è una strada battuta anche da altri prima di lui (Hine 2000). Nata sul terreno delle indagini relative alla costituzione online di comunità virtuali di consumatori o di gruppi di interessi tematici particolari, la netnografia può essere utilmente sviluppata, allargandone il campo di applicazione al mondo delle religioni in rete. Vale la pena mettere subito in evidenza come nell’area delle online religion, dove è possibile osservare la comunicazione che circola liberamente fra gruppi di religio-nauti, una tipologia già collaudata dai primi studi di Kozinets possa funzionare per distinguere fra chi dimostra di voler comunicare stabilendo forti legami con la comunità virtuale e chi, invece, appare come una sorta di turista religioso, che è incuriosito dal sito, ma non desidera legarsi più di tanto al gruppo che si costituisce in rete; allo stesso modo, fra chi accede solo saltuariamente e con una bassa interazione e chi, invece, è interessato a produrre discorsi e significati che rendono la comunicazione articolata e vivace, anche se, magari, questi non manifesta un reale desiderio di appartenenza. La netnografia religiosa, dunque, può offrire un valido punto di partenza per stabilire un nesso fra l’approccio sistemico al fenomeno in questione e la ricerca di strumenti di analisi adeguati.

Ciò che mi propongo di fare è analizzare la comunicazione religiosa mediata dal computer. Si tratta di un campo d’indagine relativamente nuovo nelle scienze sociali delle religioni. La ricerca ha sinora messo in evidenza l’estensione e la complessità del fenomeno e ha, inoltre, iniziato a discutere su come studiarlo. Ogni discussione sui metodi, a sua volta, presuppone che si giochi a carte scoperte, quando si pone sotto la lente dell’osservatore il fenomeno delle religioni in rete. I diversi paradigmi teorici che, negli ultimi trent’anni, continuano a confrontarsi non sempre appaiono euristicamente validi per decifrare ciò che si sta osservando.

La cyber-religion è l’ultima, più matura, espressione della secolarizzazione? Oppure è una semplice variante di ciò che i teorici dell’economia religiosa chiamano il libero portfolio religioso che ognuno ormai può costruirsi, rivolgendosi al miglior offerente, promotori di beni di salvezza che possono essere trovati nella rete, alla stessa stregua di un’assicurazione auto o sulla vita? Oppure ci troviamo di fronte ad una crisi verticale delle autorità religiose, comunque organizzate, che non riescono più a controllare i loro prodotti, a marcarli come se fossero di origine controllata, giacché in rete uno stesso set di simboli religiosi riceve potenzialmente n interpretazioni e manipolazioni da rendere, alla fine, sovrana la singola mente che muove il mouse piuttosto chi, tradizionalmente, nelle religioni ha rivendicato il monopolio dell’interpretazione del capitale simbolico (Bourdieu 1971)? Non siamo, allora, di fronte ad una sorta di liberalizzazione del mercato dei beni di salvezza che mette in crisi la pretesa assolutezza dei sistemi di credenza, così come li conosciamo storicamente? Queste ed altre domande sorgono quando ci si imbatte nel fenomeno di cui stiamo parlando.

Il presente articolo intende cominciare a dare una risposta sia alle questioni teoriche sia a quelle metodologiche che nascono quando si indaga il fenomeno di cui stiamo parlando. Esso si divide in tre parti. In una prima cercherò di delimitare l’oggetto; in una seconda, traccerò, per sommi capi, lo stato dell’arte; in un terza e conclusiva parte, affronterò più direttamente, scoprendo le carte, qual è, a mio parere, l’approccio teorico più valido per studiare il fenomeno e, di conseguenza, quali possano essere le scelte metodologiche da compiere.

1. L’oggetto e i suoi incerti confini

Quando si inizia a studiare la cyber-religion, ci si trova subito di fronte ad un oggetto che ha dei confini incerti. Sono, infatti, almeno tre le dimensioni che lo caratterizzano; esse si sovrappongono in modo tale che non sempre è agevole distinguerle. Esse sono nell’ordine: la comunicazione via computer, la religione (o ciò che convenzionalmente intendiamo con questo termine) e l’osservazione.

La prima questione che sorge può essere formulata nel modo seguente: ciò che stiamo osservando è uno specifico processo comunicativo, che ha per oggetto contenuti che hanno a che fare con ciò che chiamiamo convenzionalmente religione, oppure è una forma moderna di espressività religiosa, che trova proprio in un sito web il suo stato nascente, una sua autonoma capacità autopoietica? Inoltre, posto che l’osservazione venga fatta sulle nuove forme di comunicare la religione via computer, con quale apparato teorico e con quale metodologia si può affrontarne l’analisi, dal momento che una cosa è esaminare, ricorrendo ad una pluralità di tecniche ben temperate (analisi semiotica, iconica, del contenuto, degli stili retorici, dell’asse semantico oppositivo e così via) come un sito sia stato costruito e, anche, chi lo abbia costruito e con quali finalità (manifeste e/o implicite), un’altra è comprendere chi vi accede, con quali aspettative, per quanto tempo, per quali finalità (per pura informazione o per un effettivo bisogno di «religione»), magari con l’intento di far nascere in rete una nuova religione. In tal caso, è veramente arduo sondare in termini quantitativi il profilo socio-culturale e socio-economico dei religio-nauti tant’è che ci si è limitati sinora a concentrarsi sui siti che offrono uno spazio interattivo (chat, forum, facebook, socio-religious network, comunità spirituali virtuali ecc.) e a studiare che tipo di comunicazione e relazioni via elettronica si stabiliscono con individui di cui, in verità, conosciamo solo ciò che dicono, digitando sulla loro personale tastiera. Più si espandono e si differenziano le forme di comunicazione mediata dal computer – come, ad esempio, con la diffusione di youtube, blog e twitter –, più diventa complesso mettere a punto strumenti di rilevazione efficaci, che siano all’altezza delle due sporgenze del fenomeno: la sua provvisorietà e variabilità nel tempo (un sito oggi può esserci, domani non più), da un lato, e la sua strutturale precarietà e vulnerabilità per quanto riguarda il principio di autorità (religiosamente legittimata), dall’altro.

Chi decide che un sito debba presentarsi in un certo modo non sa, infatti, se esso sarà effettivamente utilizzato secondo i suoi voleri iniziali. Il rischio della doppia contingenza, in tal caso, è molto più elevato rispetto a religioni istituzionali che sono presenti visibilmente nella realtà sociale: ego non sa se alter accetterà di comunicare secondo il codice che in partenza ego ha pensato e, viceversa, alter non sa se il modo con cui interpreta il senso veicolato via computer è ri-con-ducibile allo schema comunicativo di ego.

Le problematiche che si pongono al ricercatore quando, aprendo un computer e navigando in un oceano di siti dedicati alla religione/spiritualità, sono molte e, in parte, inedite. Dico in parte, giacché la tentazione sarebbe quella di estendere all’oggetto religione quanto, ad esempio, gli studi sull’e-market hanno in grande abbondanza già prodotto. Si potrebbe dire: in fondo, anche comprare qualcosa via Internet presuppone una qualche forma di credenza; per cui, perché non applicare gli stessi strumenti analitici del mercato via rete ad un oggetto che, per definizione, è, si passi il gioco di parole, oggetto di credenza? Il punto critico è l’assimilazione del religioso a un qualsiasi prodotto che mobilita virtualmente un gruppo di internauti: che sia una rete interessata a scambiarsi il tempo o a consumare prodotti biologici, che si tratti di un forum di persone che si trovano per discutere di questioni politiche o culturali o che un blogger apra una linea per dare avvio alla formazione di un circolo di affezionati al caffè di una catena internazionale, l’assimilazione potrà essere fatta per quanto riguarda la cornice formale della comunicazione, ma dubito che la specificità dell’oggetto possa essere liquidata facilmente, svuotando l’autonomia relativa di cui il linguaggio religioso gode (Troeltsch 1912). La sua autonomia relativa dipende dal fatto che la religione è essa stessa un medium della comunicazione, fondandosi, in molti casi per quanto riguarda le religioni storiche, sul potere della parola viva che si riproduce poi come parola scritta e come comunicazione della comunicazione (Pace 2011). In altri termini, il deposito di simboli, significati, emozioni e pensieri che le religioni storiche hanno accumulato rendono visibile lo scarto che passa fra un sito in cui si parla di una religione o di cose religiose e la realtà, a volte ben strutturata, che le religioni possono vantare, grazie al lavoro storico che esse hanno compiuto nel corso del tempo.

2. Lo stato dell’arte

La religione come comunicazione mediata dal computer (RCMC) è diventata un oggetto di studio su cui convergono specialisti di diverse discipline: dagli esperti di comunicazione e di nuove tecnologie ai sociologi, dai semiologi agli psicologi e, per finire, dagli informatici ai linguisti. L’attenzione è andata crescendo negli ultimi venti anni, da quando, in particolare, c’è stata una massiccia irruzione in Internet di una pluralità di attori religiosi che hanno compreso le potenzialità dello strumento per allargare il raggio della loro azione comunicativa (comunica-azione). In tutto ciò, in prima approssimazione, non c’è nulla di nuovo rispetto ad un recente passato, quando grandi chiese o predicatori indipendenti hanno utilizzato ampiamente i mezzi di comunicazione di massa, come la radio, prima, e la televisione, poi, per entrare nelle case delle persone che non frequentavano più i luoghi di culto.

È nota, tanto per dovere di memoria, l’alterna fortuna dei telepredicatori negli Stati Uniti, fra il 1970 e il 1990: essi hanno inventato ciò che, nella letteratura, è stata chiamata la chiesa elettronica, un modello che è stato presto imitato successivamente in America Latina, con la nascita di nuove chiese d’ispirazione pentecostale e carismatica, le quali hanno affidato e affidano una parte del loro successo all’installazione di efficienti impianti televisivi da dove irraggiano il loro messaggio (Lucà Trombetta et al. 2012); fenomeno analogo si è verificato in alcuni Paesi africani, dove il pentecostalismo di terza generazione si è diffuso ampiamente, come, ad esempio, in Ghana (Asamoah-Gyadu 2005) o in Nigeria (Ojo 2005).

Allo stesso tempo, si sono moltiplicati luoghi o spazi elettronici in Internet che hanno ospitato sin dal 1980 bollettini, riviste e giornali elettronici prodotti da chiese o gruppi religiosi con una estesa riconoscibilità nell’ambiente sociale di riferimento oppure per far circolare idee, messaggi etici e teologici, com’è avvenuto con i siti Usenet a contenuto religioso. In tutti questi casi, pur con differenze a volte non irrilevanti da un sito ad un altro, il flusso della comunicazione seguiva lo schema classico emittente-ricevente: chi produceva la comunicazione si preoccupava di raggiungere più facilmente un potenziale ampio popolo di fruitori di Internet. Quando un telepredicatore interagisce con i fedeli-seguaci dei suoi programmi, invitandoli a sottoscrivere e donare fondi per la chiesa elettronica che ha creato, siamo di fronte al potere della parola che un leader carismatico riesce ad incrementare (ed a misurare in base non solo all’audience, ma al flusso di denaro che affluisce nelle sue casse), grazie all’efficacia del mezzo televisivo; mezzo che, entrando in ogni casa, può stabilire un contatto con il fedele in poltrona e conquistare, così, la sua fiducia a distanza, prima ancora forse che la sua fede. La fiducia è misurata dal fatto che egli non cambia canale e resta fedelmente incollato allo schermo durante tutta la performance del predicatore stesso. Questa fede visionaria evidentemente presupponeva e presuppone un atteggiamento di preliminare, vaga accettazione del messaggio, secondo uno degli assunti teorici della comunicazione stessa: non è tanto il mezzo di per sé a creare un’opinione; esso rafforza e rende plausibile tale opinione in una persona che decide liberamente di accendere il televisore e di scegliere un canale piuttosto che un altro, quel canale, in particolare, che ritiene ideologicamente ed emotivamente più vicino al suo modo di sentire e di pre-comprendere la realtà.

Il fedele in poltrona può anche non andare di persona in chiesa; la parola (sacra) entra tuttavia nella stanza dove sta comodamente seduto e lo convince, o perché, in fondo, era già convinto o perché era predisposto a farsi convincere. La parola data attraverso il medium televisivo è una parola accolta, perché essa appare fon-data agli occhi (e agli occhi della mente) di chi è solo (apparentemente) spettatore. Questi non è un credulone. Il credere è selettivo. Nelle mappe cognitive di ciascuno di noi, esso può occupare un posto centrale o marginale e variare a seconda delle situazioni, del ciclo di vita, delle condizioni sociali, degli eventi collettivi o delle singole esperienze individuali, intimamente irripetibili. Ciò vale anche nella comunicazione tramite i media.

Si tratta di un fedele simile alla figura che Katz, Dayan e Kerns (1984) hanno studiato: il pellegrino in poltrona. Esso si colloca nell’ambito di una più ampia teoria dei media event (1992), che, in Italia, è stata ripresa e applicata al caso dei viaggi di Giovanni Paolo II da Guizzardi (1986). In tal caso un fatto interno alla Chiesa cattolica, il viaggio di un Papa in giro per il mondo, diventava un evento mediatico, una narrazione televisiva che rafforzava il carisma di una figura come è stata quella di Papa Wojtyla. La struttura narrativa ha raggiunto il suo apogeo in punto di morte, quando le televisioni di tutto il mondo hanno seguito, con un crescendo di emozione e passione, la fine del Papa polacco (Guizzardi 2005). Negli eventi mediatici, tuttavia, c’era un elemento che anticipava l’evoluzione attuale della religione come comunicazione mediata dal computer. Essi erano amplificati dal mezzo televisivo stesso, che dal racconto puntuale di un fatto passava alla costruzione di un plesso di racconti collegati (interviste con le persone che assistevano, commenti di autorevoli personaggi pubblici, dibattiti, ripetizione di sequenze nei telegiornali, trasmissioni speciali a ridosso dell’evento e così via). Una volta elaborato il canovaccio del racconto, esso poteva durare a lungo, o meglio, nel linguaggio della comunicazione di massa, era in grado di riprodursi nel tempo, sfruttando l’ondata emotiva che esso aveva suscitato all’inizio e che aveva creato attorno ad esso una mobilitazione emotiva. Si creava così una costante partecipazione in poltrona.

3. Religion online e online religion

Gli anni Ottanta del secolo appena trascorso, da questo punto di vista, sono stati interessanti per comprendere la ripresa non tanto della religione, quanto piuttosto dell’interesse da parte dei grandi media al fenomeno religioso. Qualcosa di simile è accaduto con un altro evento, che, per Heidi Campbell (2005), una studiosa del Dipartimento di Comunicazione dell’Università del Texas, segna il punto di svolta nei processi di comunicazione della religione via Internet. Si tratta della drammatica fine della spedizione aerospaziale del Challenger nel gennaio del 1986. Oltre alle manifestazioni pubbliche e alle numerose trasmissioni televisive andate in onda sui principali canali, fu lanciato con grande successo un network di commemorazione in Internet – chiamato Unison –, in cui gli organizzatori offrivano agli utenti, che vi accedevano liberamente, oltre che un insieme di servizi liturgici curati da diversi leader religiosi, con meditazioni, preghiere, sermoni e appelli alla solidarietà cristiana, anche un coffee hour, uno spazio libero, in cui le persone che avevano seguito la programmazione via Internet potevano inviare i loro commenti o esprimere i loro sentimenti, confrontandosi e comunicando fra loro. Secondo Lochhead (1997), tutto ciò dimostrò quanto efficace fosse il potere della comunicazione mediata dal computer nel creare un sentimento di appartenenza collettiva e uno spirito di coesione sociale, al di là delle diversità di colore e di religione, una comunione virtuale nello spirito.

Fra il 1995 e i giorni nostri, l’attenzione degli studiosi si è sempre più spostata dalla TV ad Internet. Il primo studio di un certo rilievo data, infatti, al 1996, con il lavoro di O’Leary e Brasher (1996). Hadden e Cowan (2000) hanno meritoriamente fatto il punto dei principali approcci e delle problematiche metodologiche che sinora sono emerse e sono state messe alla prova della ricerca, mentre dobbiamo a Helland (2000) il primo tentativo di cominciare a mettere ordine al fenomeno, introducendo la distinzione fra religion online (istituzioni religiose che si adattano a comunicare via Internet) e online religion (creazione di nuovi network capaci di promuovere la formazione di comunità virtuali nelle quali la definizione dei contenuti e dei significati religiosi o spirituali è affidata all’interazione via computer fra gli individui).

Quest’ultima distinzione, che negli scritti più recenti l’autore stesso ha arricchito di nuovi elementi (Helland 2005, 2007), in fondo, a ben guardare, riassume le nuove prospettive che Internet sembra aprire alle religioni: se, con il primo modello (religion online), siamo di fronte ancora alla sequenza emittente-ricevente, nel secondo (online religion), siamo di fronte ad un rilevante cambiamento socio-culturale, dal momento che un sito che rientra in questa tipologia offre uno spazio creativo e interattivo per una vasta (più o meno anonima) platea di utenti, i quali, in tal modo, danno l’idea di farsi una religione a loro misura.

Tutto ciò è diverso dalla nozione di bricolage che alcuni hanno sovente usato per classificare le nuove moderne forme del credere. Tale nozione rinvia all’idea che la religione, divenendo oggetto di scelta individuale (per cui lo statuto di verità di un credo non ha più un fondamento oggettivo in una tradizione, o in una rivelazione, o in un’autorità magistrale, in un guru spirituale e così via), è sottoposta ad un processo di ridefinizione continua dei suoi contenuti e delle sue applicazioni alla vita o agli stili di vita degli individui (Berzano, Genova 2008). Si potrebbe coniare una nuova sigla per marcare la differenza fra la nozione classica, così come ci proviene dagli studi di Lévi-Strauss (1962) e dai primi studi sulla secolarizzazione di Berger e Luckmann (1967) e il nuovo scenario che si apre con l’era digitale; essa potrebbe essere bricolernet, dove il bricolage religioso via Internet sembra caratterizzato da una più elevata possibilità offerta agli individui, che hanno accesso ad Internet, di interagire liberamente, di produrre con le proprie mani (meglio, con le proprie dita…) una pluralità di significati da attribuire ad un complesso di simboli, rituali e credenze di contenuto religioso. Siamo di fronte ad un agire comunicativo (una comunica-azione) che rende visibile – rappresentandolo drammaturgicamente nella ribalta mediatica di Internet – lo scarto del senso che esiste fra un sistema di credenza riconosciuto socialmente e storicamente, non fosse altro per le stabili istituzioni che esso è riuscito a creare e riprodurre nel respiro lungo della storia e la pluralità degli ambienti rispetto ai quali un sistema si sforza di costituirsi come fonte unica del senso stesso.

4. La teoria dei sistemi e la comunicazione religiosa via computer

Proprio a partire dalla principale distinzione fra religion online e online religion, mi pare che un contributo all’orientamento della ricerca possa provenire dalla teoria dei sistemi.

La teoria dei sistemi, infatti, ci fornisce alcuni utili strumenti di analisi, che nell’ordine sono:

a. se assumiamo l’idea che una religione è un sistema di credenza simbolico, esso deve interagire continuamente con un ambiente (sociale e simbolico) più ampio, differenziato e variabile rispetto al sistema stesso;

b. lo scarto nella relazione fra sistema e ambiente – relazione che costituisce l’oggetto dell’osservazione sociologica – riguarda precisamente la questione del senso: un sistema di credenza tende a selezionare i significati da attribuire a ciò che la verità del credere definisce o vorrebbe definire una volta per tutte (secondo il punto di vista del sistema stesso, ovviamente), ma l’ambiente è un campo aperto dove si danno molteplici, variabili e contrastanti altri significati che possono essere attribuiti ad uno stesso oggetto o contenuto del credere;

c. nel caso delle religioni in rete tale scarto è ampliato, poiché un sito religiosamente connotato (per i suoi contenuti espliciti, per l’iconografia che utilizza, per il design complessivo con cui si presenta con l’obiettivo di rendere la propria offerta visibile e differente allo stesso tempo in un vasto mercato virtuale di beni simbolici di salvezza) (Stolz, 2008) è, comunque, un ambiente virtualmente messo a disposizione da chi, in nome e per conto di un determinato sistema di credenza, decide di aprirsi al rischio del senso, alla produzione non controllata di senso da parte di chi non crede, o crede poco, o crede a modo proprio (rispetto all’auto-rappresentazione del sistema stesso). Se per un sistema in rete la verità è un dubbio risolto, per l’ambiente virtuale, che di fatto esso crea, la verità è un libro elettronicamente aperto in cui chiunque può riaprire la porta del dubbio. La pluralità dei significati può formalmente essere accettata oppure esclusa, tuttavia, anche quando non c’è spazio per esprimere dubbi e polisemie nell’ambiente virtuale creato da un sistema (piccolo o grande che sia poco importa, a questo punto), il rischio del senso non è riducibile.

Nello schema della comunicazione, così come definita dalla teoria dei sistemi, fra ego e alter, infatti, il primo offrendosi come ambiente virtuale si espone al rischio che il secondo (alter) ci navighi dentro senza lasciarsi ri-con-durre al codice di significati che il sistema possiede per poter funzionare come tale; se i sistemi di credenza religiosi nella relazione con l’ambiente potevano, prima dell’era digitale, mantenere la differenza con l’ambiente (esterno), ora, finendo nella rete, rischiano di perdere tale possibilità, poiché si aprono – anche troppo, forse – alla molteplicità e variabilità dell’intendere soggettivo di tanti anonimi e potenziali visitatori.

Il potere della parola, che per molti versi costituisce la quintessenza della religione come comunicazione, può essere depotenziato a favore della visione assistita dal computer. Vedere per credere mette in crisi la parola data – come deposito di simboli e gesti rituali trasmessi lungo la catena della memoria religiosa (Hervieu-Léger 1993) –, nel senso che entrando in un qualunque sito posso liberamente interpretare i simboli, le prestazioni liturgiche che mi si offrono, i messaggi ideologici che da esso sono veicolati, attribuendo ad essi una pluralità di significati che, in linea di principio, non necessariamente collimano con quelli definiti da chi ha avuto interesse ad aprire un ambiente virtuale dove far vedere che si esiste.

5. Una possibile tipologia dei siti a base religiosa

In ogni caso, le net-religioni, siano nel primo (relonline) o nel secondo modello (onlinerel), tramite il nuovo linguaggio offerto dall’informatica e dalla digitalizzazione, si espandono, nel senso che, per usare un paradosso, mentre le chiese si svuotano, i luoghi virtuali – i siti religiosi – sembrano riempirsi (Mit Communications Forum 2002; Young 2004; Højsgaard, Warburg 2005). Se, ad esempio, nel 1988 su cento chiese mainstream negli USA solo 11 erano presenti nel web, nel 2002 passano al 45% (Thumma, Travis 2002).

Sempre ad esempio, tanto per avere una pallida idea di quanti siti di tipo religioso siano presenti nel web, basta consultare la Open Directory Project, accedendo tramite Google alla pagina DMOZ (l’acronimo sta per Directory Mozilla), che è gestita dal Net_Scape Communication Corporation: qui si trova l’informazione relativa ad una speciale classifica dei temi numericamente più rappresentati nella rete web. Ebbene il lemma Religion and Spirituality saturava, alla data di consultazione (agosto 2012), 102.968 differenti siti; esso risulta essere al secondo posto nella rubrica Society (che è al primo con 239.920 siti), rubrica che comprende altre 37 voci. Tanto per avere un termine di confronto, al terzo posto troviamo Education (43.717) e al quarto Organizations (15.513). Entrando nella voce Religion and Spirituality, ci si imbatte in 36 voci, che vanno dalle principali religioni a quelle meno note (ad esempio Cao Dai, Falun Dafa, Fourth Way, Noahdism). Nella classifica dei siti collegati alle varie religioni censite, la voce Christianity occupa il primo posto (77.933) e stacca nettamente tutte le altre voci. Al secondo e terzo posto, in questa ideale lista, incontriamo rispettivamente Esoteric and Occultism (2.322) e Judaism (2.271). Può essere interessante segnalare che, prima dell’Islam e dello Hinduismo, la voce che fa subito bella mostra dopo la terza posizione è Paganism. Ciascuna di queste voci rimanda, con link successivi, ad altri siti, compresi i forum o i siti usenet (agorà informatiche dove si confrontano e scontrano punti di vista diversi su questa o quella religione o su un aspetto particolare che le riguarda). Inoltre, oltre alle voci riferibili chiaramente a religioni, o credenze religiose e non, il lemma Religion and Spirituality comprende una seconda parte, composta da 36 altre voci di tipo tematico, come, ad esempio, Mysticism, Interfaith, Prophecies, Philosphy of Religion, Reincarnation, Workplace Spirituality ecc. Infine, c’è un ultimo rinvio ai siti catalogati per aree linguistiche (dall’afrikaans al farsi, dal galiciano al taiwanese, dal malay al tamil…), 69 per l’esattezza, con una graduatoria anch’essa curiosa che vede al primo posto il giapponese, al secondo il tedesco, al terzo lo spagnolo, al quarto quasi a pari merito l’olandese e il russo e al quinto l’italiano. Ciò che, tuttavia, costituisce un campo d’indagine empirica d’indubbio interesse è usenet, reti di discussione libere (ad accesso e recesso volontario) su argomenti religiosi. I principali sono, nell’ordine, soc.religion, talk-religion.misc, alt-religion. Anche in tal caso, solo per dare un’idea della rilevanza di queste reti per la ricerca sulla religione come comunicazione, nel sito talk.religion,tra il 31 luglio e il 12 agosto 2012, il gruppo di discussione su argomenti vari di tipo religioso aveva ospitato 61.916 interventi e, in alt.religion,alla voce Scientology, erano presenti 309.652 messaggi.

Il Pew Forum (2002), un istituto di ricerca statunitense che da anni segue con investimenti cospicui la ricerca sui nuovi fenomeni socio-religiosi nel mondo, ha condotto nel 2002 un’indagine su un campione rappresentativo della popolazione americana per sondare se e fino che punto gli americani ricorrano ad Internet sia per acquisire informazioni in materia di religione e di spiritualità sia per collegarsi con network indipendenti di tipo interattivo. I risultati sono eloquenti: ci sono più di 28 milioni di americani (pari al 25% della popolazione) che i ricercatori hanno chiamato Religion Surfers alla data del sondaggio. C’è stato un incremento di quattro punti percentuali rispetto a due anni prima, quando fu condotta la prima rilevazione. Quattro su dieci, pur avendo dichiarato di non avere nel passato usato Internet in connessione con siti religiosi, afferma di inviare richieste di preghiera a diversi indirizzi online. La maggioranza, come scrivono i ricercatori del Pew Forum, sono navigatori solitari: essi usano la rete come una sorta di grande biblioteca per attingere informazioni, in parte relativamente alla propria fede di nascita, in parte per conoscerne altre. Una minoranza non piccola – il 15% – dichiara di avere migliorato il proprio atteggiamento e le proprie convinzioni nei confronti della religione grazie ad Internet e quasi la metà afferma che Internet facilita l’accesso a siti dove poter pregare o compiere una performance liturgica. La società americana, che è stata la pioniera sia con il televangelismo sia con la costruzione delle mega-chiese (una sorta di grandi malls dello spirito e non solo, che oggi hanno raggiunto quota 1328 luoghi, sparsi soprattutto nella Bible Belt) (Thumma 2005; Fath 2008), è un laboratorio dove studiare le trasformazioni che Internet o la CMC stanno producendo nel variegato mondo delle religioni. Per avere un’idea di cosa stia accadendo, basterà ricordare la formazione nel 2004 (in realtà, il centro era nato nel 1984 con propositi meno ambiziosi) di un centro di ricerca, il Barna Group (dal nome del fondatore George e sua moglie Nancy), con sede a Ventura in California, che si è specializzato nella così detta Visionary Research. Esso offre ricerche di mercato per chiese e ministri di culto che intendono trasformare la loro azione pastorale utilizzando Internet e i nuovi mezzi della CMC: insomma, dando una consulenza per rivitalizzare aziende religiose decotte in nuove imprese spirituali capaci di competere nel mercato della comunicazione con altre agenzie spirituali e religiose (Barna 2001).

L’esempio della First Church of Cyberspace (http://www.godweb.org/sact.html)offre un’idea di come un sistema di credenza, esponendosi sino in fondo alla logica della CMC, possa mutare la propria struttura e il proprio principio di funzionamento. Questo caso è indicativo di una tendenza: l’idea che si fa strada, infatti, fra molti ministri di culto negli USA e, per effetto mimetico, anche altrove e non solo in ambito cristiano, è precisamente la convinzione che la rete possa costituire un metodo per espandere le possibilità offerte alle persone di praticare una fede rimanendo a casa propria. Una privatizzazione della religione senza eclissi del sacro. La First Church of Cyberspace rappresenta solo un esempio fra le migliaia e migliaia di siti che potrebbero essere analizzati in maniera comparata al fine di arrivare ad una prima tipologia, o meglio, a delineare degli ideal-tipi di comunica-azione religiosa via Internet.

A partire dalla prima sommaria distinzione proposta da Helland di cui sopra, possiamo, allora, tanto per cominciare ad orientarci nell’oceano del web religioso, distinguere almeno quattro modelli comunicativi che, per comodità espositiva, abbiamo sintetizzato nella tabella che segue (n. 1). I criteri che abbiamo usato per arrivare ad un’astratta classificazione sono:

1. distinguere sistemi di credenza religiosa in base al fatto che siano istituzionali (le religioni online, nel nostro caso) o non istituzionali (le online religioni), intendendo, per i primi, universi simbolico-religiosi organizzati, con una relativa lunga storia alle spalle, socialmente visibili e riconoscibili in diversi ambienti (includendo sia le così dette grandi religioni mondiali sia le piccole e medie organizzazioni religiose radicate in un territorio o rappresentative di storie di minoranze o espressioni di tendenze settarie o, infine, appartenenti alla galassia delle nuove formazioni socio-religiose che si sono affermate nel mercato dei beni religiosi negli ultimi cento anni) e, per i secondi, prodotti simbolici creati appositamente per il mercato del web, adattati all’ambiente elettronico e funzionanti come mezzi della comunicazione assistita dal computer, alla stregua di altri prodotti che circolano liberamente nel web;

2. distinguere fra sistemi di credenza istituzionali e non, a seconda della loro differenziazione interna, intendendo per differenziazione la capacità di mettersi in relazione con ambienti diversi e di tradurre la complessità esterna che caratterizza tali ambienti in complessità interna (in altre parole, la capacità di ridurre la molteplicità e la variabilità degli ambienti esterni entro schemi o formule di comunicazione articolate e flessibili in modo da ricondurre entro i limiti di funzionamento interno del sistema la pluralità di significati che circolano in un ambiente); per cui, si possono distinguere sistemi ad alta e bassa differenziazione interna, riconducendoli ad una serie di formule o di codici interpretativi che ogni sistema di credenza religiosa pretende di possedere più o meno in esclusiva;

3. distinguere, di conseguenza, all’interno dei sistemi di credenza religiosa istituzionali e non, ad alta e bassa differenziazione, quelli che interagiscono poco o molto con l’ambiente elettronicamente aperto e senza confini, utilizzando dogane e strettoie più o meno rigide, oppure lasciando libero spazio al gioco della comunicazione interattiva via computer; nel primo caso, abbiamo a che fare con codici chiusi, nel secondo, con codici aperti. Alla base di tale distinzione c’è, detto in altre parole, il modo attraverso il quale un sistema di credenza rappresenta se stesso via Internet: come un occhiuto doganiere che controlla i suoi confini simbolici, oppure come un generoso traghettatore di anime che non ha interesse a difendere i propri confini simbolici, poiché è strutturato secondo il principio del laissez-faire proprio del mercato della comunicazione interattiva via computer.

Combinando i tre criteri, è possibile costruire la seguente tabella (Tabella 1), la quale presenta alcune delle possibilità di combinazione fra i criteri medesimi.

tab.1_Le religioni in rete

Siti che disegnano elettronicamente un ambiente aperto potenzialmente all’ambiente offline possono essere, ad esempio, Sacred Space (http://sacredspace.ie/), gestito da un gruppo di Gesuiti irlandesi, che offre, in 23 lingue diverse, connessioni per la preghiera personalizzata o di gruppo in rete (rosari, novene, preghiera per la pace ecc.) e un sito come Dailyzen Meditation (http://www.dailyzen.com/meditation.asp), che si presenta come uno spazio virtuale di meditazione zen, dove l’utente può scegliere sulla banda sinistra della homepage quale tipo di meditazione intende fare via rete, o se intende acquistare un oggetto-amuleto, oppure leggere le pubblicazioni del centro e così via. In questi casi, abbiamo a che fare, in linea di principio, con due sistemi di credenza altamente differenziati: il cattolicesimo in una delle tante sue varianti di modelli di spiritualità, per un verso e il buddhismo nella sua variante zen o chan, per un altro. Considerazioni simili possono essere fatte in riferimento ad un altro sito, il Zen Mountain Monastery (http://www.mro.org/zmm), che presenta nella sua homepage le possibilità offerte per meditare in un luogo reale di ritiro spirituale (e dunque, funziona come un’offerta-vendita di servizi) che rinvia, evidentemente, ad un complesso sistema di credenza, che per definizione non pone filtri o giuramenti di fede preliminare per poterne far parte.

Nel caso, invece, di sistemi di credenza non istituzionali è molto più complicato cercare di ridurre la vastità del fenomeno delle cyber-religion entro ideal-tipi, ché possono apparire troppo rigidi. Tuttavia, per riprendere le indicazioni metodologiche che Weber ci ha indicato, quando ha costruito i suoi tipi-ideali di azione sociale, un ideal-tipo non rappresenta mai, per definizione, la realtà: esso è un punto di osservazione del ricercatore, osservazione dell’osservazione, modo attraverso il quale ciò che è reale diventa pensabile e trattabile scientificamente. Il che significa che non esistono tipi puri; nella fattispecie concreta, che può essere osservata nel mondo della comunicazione mediata dal computer, è probabile, invece, che ci si imbatta in una serie di tipi misti. All’obiezione in base alla quale qualcuno potrebbe affermare la non utilità euristica dei tipi-ideali, si risponde semplicemente che essi servono per cominciare a comprendere un fenomeno altrimenti sfuggente, indefinibile, vista la sua magnitudine (tenuto conto che, quasi ironicamente, a volte si parla, nella letteratura sociologica, di godcasting o di godweb) (Jungblut 2001). Insomma, i tipi ideali servono per cominciare a raccapezzarsi senza cadere nel descrittivismo.

Consapevoli, dunque, dei limiti di ogni tipologia, si tratta di affinare progressivamente un metodo di analisi del fenomeno che solo da qualche anno è sotto la lente degli studiosi. Nel caso dei sistemi di credenza non istituzionali, se, da un lato, c’è un certo consenso ad individuare il livello di interattività di siti che si presentano come spazi in cui i soggetti che intervengono sono protagonisti attivi del doing religion, nel fare una religione, o, per essere più rigorosi con la terminologia della teoria dei sistemi, di produrre senso (Pace 2008), dall’altro, si discute se effettivamente si possa tracciare una netta differenza fra le religion online rispetto alle online religion. Sia Young (2004), ma soprattutto Cowan (2004) hanno fatto notare come, alla prova dei fatti, non sia sempre agevole collocare i vari siti dentro una casella piuttosto che in un’altra. Cowan, ad esempio, ha illustrato il caso dei siti neo-pagani o Wicca (un fenomeno di esoterismo iniziato nel 1954 e oggi diffuso in tutto il mondo con comunità, gruppi e perfino chiese Wicca: per avere un’idea, si visiti il portale italiano wicca.it), che spesso funzionano combinando l’aspetto informativo «dall’alto verso il basso» (come nel caso delle religioni in linea) con finestre dove l’interazione con l’esterno è non solo possibile, ma anche incoraggiata. Le osservazioni critiche, inoltre, che Young ha suggerito rispetto alla prima classificazione avanzata da Helland, più volte richiamata, sono degne di attenzione, poiché esse pongono la questione di distinguere l’intensità della comunicazione in tempo reale che avviene in un sito rispetto ad un altro. Young suggerisce, infatti, di distinguere fra il modello one-to-many communication e il many-to-many communication.

Se si traduce questa distinzione nella terminologia della teoria dei sistemi, ciò significa partire dalla relazione sistema-ambiente e studiare il tipo di relazione che si stabilisce. Ciò che conta è questa seconda dimensione più che la prima, che fa riferimento ad una coppia di concetti. Allora, ci possono essere siti dove la comunicazione è, per così dire, verticale, dove essa si rappresenta (anche dal punto di vista dell’economia del segno e del design elettronico) dall’uno al molteplice, dall’alto verso un ambiente che, per definizione, si assume vario, composito e non facilmente riconducibile agli schemi o ai principi autopoietici di un dato sistema di credenza; oppure, altri in cui la procedura messa in scena appare, invece, regolata dal principio dell’accrescimento informativo, assicurato da un libero accesso e flusso di interazioni con un ambiente, per definizione, non contornabile. Nel primo caso, per usare la metafora del compasso, i confini, comunque, sono definiti nel design stesso del sito (un caso esemplare è il sito del Vaticano – vatican.va.it – che recita in testa «portale istituzionale» oppure il sito dell’European Council for the Fatwa: http://www.e-cfr.org), nel secondo, essi appaiono piuttosto come paratie mobili (che possono chiudersi o aprirsi a seconda dell’onda di flusso che arriva dall’esterno), come nel caso di una pagina web dedicata alla costituzione di un sanga (comunità buddhista) virtuale (Buddhist Portal E-sangha), o del sito che cerca di interagire con le nuove generazioni di sikh in Europa per cercare di trasmettere correttamente i simboli religiosi della tradizione con un linguaggio moderno e accattivante (Sikh-youth web site). Infine, un caso interessante è rappresentato dalle chiese virtuali che regolano l’interazione tramite una procedura che può apparire coerente con le pratiche tradizionali cattoliche (come la pratica della confessione), ma che, in realtà, funzionano come uno spazio per mettere in piazza le proprie supposte trasgressioni (i propri peccati, così come continuano ad essere denominati nei siti in questione). Spesso, infatti, una persona può inviare per mail la sua confessione di cui resta poi traccia per un certo periodo di tempo in una pagina del sito, per cui – pur nel rispetto della privacy garantita dall’anonimato o dalle iniziali –, quella pagina diventa una sorta di specchio della cattiva coscienza collettiva, una discarica a cielo aperto delle umane deficienze. Se si guardano le pagine web, o della Flamingo Road Church (http://flamingoroad.org/ivescrewed/index.html), o della Saint Miriam Catholic Apostolic Church of Antioch (http://mysaintmiriam.org), si nota come entrambe offrano uno spazio per la confessione. La prima con lo slogan «post your confession this is the beginning of a cool journey for you»; la seconda con una frase-civetta del tipo «there are quite few websites out there that now offer you the ability to confess you sins and wrong doings, but none acutally go – completely confidential (corsivo nel testo) – to an ordained Catholic priest» (in realtà, il pastore James St. George, che sovraintende la parrocchia con sede a Filadelfia e che gestisce il sito, non fa parte né della Chiesa cattolica romana, né di quella Greco-ortodossa di Antiochia, né di nessun’altra Chiesa di matrice protestante; si tratta, infatti, di una chiesa indipendente, nata nel 1957 in California, a Santa Barbara, con una dozzina di diocesi sparse nel territorio americano). La differenza fra i due web, alla luce dell’ideal-sitologia descritta poco sopra, può essere colta meglio se collochiamo la Flamingo Road nel Tipo 3, mentre la Saint Miriam (che rinvia ad un sistema più ampio e complesso, con indici di differenziazione elevata, poiché esso è chiamato continuamente a marcare le proprie distanze e differenze rispettivamente nei confronti dei tre competitori storici di peso, come la Chiesa cattolica, quella Ortodossa e quelle Protestanti) nel tipo 4.

Una tipologia è in funzione della metodologia. Se abbiamo un modello teorico discreto, flessibile ma chiaro, è più facile mettere in campo metodi adeguati all’altezza della complessità del fenomeno che intendiamo studiare.

Conclusione

Ho provato a contenere in poche pagine le tappe intellettuali di un percorso di ricerca che è ancora in corso e che, per chi scrive, rappresenta una vera sfida teorica e metodologica per quanto riguarda i seguenti temi:

· se e come cambia la nozione stessa di religione, quando diventa un fenomeno che vive nella rete, dotato di relativa autonomia, che si piega, perciò, alle regole del gioco della comunicazione assistita via computer?

· cosa ne facciamo dei nostri classici, quando l’azione sociale religiosamente orientata, si duplica in un ambiente in cui, per definizione, il principio di autorità (con la connessa violenza simbolica di cui essa è dotata in campo religioso) affronta il rischio di una manipolazione continua, soggettiva, da parte di una platea vasta e anonima di navigatori della rete: il nomadismo religioso, che già caratterizza il moderno modo di credere, diventa ancor più evidente, incontrollabile, se assumiamo il punto di vista dell’autorità;

· non è proprio nella messa in crisi del principio di autorità religiosa che emergono con maggiore nettezza i confini simbolici di un campo che alcuni studiosi contemporanei hanno chiamato della spiritualità (in tensione, evidentemente, con la parola religione) (Flanagan & Jupp 2007; Giordan 2011, 2012; Heelas & Woodhead 2005)?

Come si può notare, ciò che propongo, alla fine, non è una conclusione. Non sarei in grado, in realtà, di tirare le fila, perché la ricerca non è ancora terminata. Preferisco, dunque, adottare, cartesianamente, una morale provvisoria, mentre gli interrogativi mi si chiariscono in testa e mi aiutano a orientarmi nel mare magnum delle religioni in rete.

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  • Articolo
  • pp:9-27
  • DOI: 10.1485/AIS_1_2013/TEORIA_RICERCA_1
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