AIS

2024/26

Tecnica e pregiudizio. Violenza e discriminazioni di genere nei mondi digitali


Come si modifica il panorama della violenza contro le donne nella società iperconnessa? Qual è il ruolo delle tecnologie digitali nel suo mantenimento e nelle funzioni di contrasto? Il saggio fornisce una disamina delle forme di violenza nei confronti delle donne reperibili online, analizzate alla luce di alcuni processi di cambiamento sociale, fra cui gli utilizzi della rete, il ruolo delle piattaforme web e le dinamiche identitarie della Manosphere. L’obiettivo è quello di avanzare nella comprensione delle caratteristiche della violenza contro le donne nell’orizzonte aperto dalle nuove tecnologie, considerando sia le specificità del mezzo (digitale), sia le peculiarità del fenomeno (la VAW). 

Parole chiave: violenza online, manosfera, discorso d’odio, Intelligenza Artificiale, piattaforme social

Premessa

Uno dei presupposti più persistenti del senso comune – anche di quello sociologico – è legato all’idea secondo cui la diffusione delle tecnologie digitali possa garantire non solo un’accelerazione delle innovazioni in ambito economico-produttivo e culturale, ma anche un alto grado di partecipazione, democratizzazione e inclusione sociale, compresa una forte riduzione del gender-gap, dei pregiudizi e della violenza di genere. Alcuni tra i più significativi contrassegni della società digitale – fra cui la polarizzazione delle diseguaglianze e delle credenze, la diffusione dei discorsi d’odio e delle fake-news online – hanno già contribuito a sfatare questa illusione, obbligando a riflettere sull’ambivalenza delle tecnologie, sui loro limiti e sulle sfasature di tempi e contenuti dei processi di mutamento sociale. Dai risultati di ricerca più recenti sulle discriminazioni e la violenza contro le donne (VAW) emerge, in particolare, una realtà contraddittoria e, per certi versi, fosca, in cui vecchie e nuove forme di misoginia si saldano non solo con le logiche patriarcali tradizionali, ma anche con le logiche economiche, politiche e culturali attivate dai driver tecnologici del neocapitalismo (Musso, 2019, 2021). Malgrado le imponenti trasformazioni socioculturali e normative che, a livello globale, tendono a ostacolare la riproduzione della VAW e delle discriminazioni di genere, queste persistono, infatti, anche nei contesti più avanzati tecnologicamente, modificandosi e adattandosi alle nuove circostanze sociali, culturali e tecniche che la rivoluzione digitale porta con sé.

La prima parte di questo contributo prenderà in esame la varietà delle manifestazioni della VAW online. Verranno poi discusse le potenzialità e le insidie di un approccio che vede nell’inserimento del correttivo tecnologico – tramite le tecniche di moderazione automatica degli spazi online – la soluzione per arginare i pregiudizi e la violenza contro le donne. Particolare attenzione sarà riservata ad alcune caratteristiche dell’interazione di donne e uomini online, nonché al modello produttivo delle piattaforme, al fine di far emergere il ruolo dell’avanzamento tecnologico nella diffusione dei contenuti di matrice patriarcale e della misoginia.

1 Fenomenologia e diffusione della VAW online

La letteratura sulla VAW online è già molto vasta e settorializzata in base alle diverse fattispecie[1]. Sul piano delle definizioni c’è un gran fermento (Poland, 2016; Powell e Henry, 2017a; McGlynn, Rackley e Houghton, 2017) e una certa difficoltà a categorizzare fenomeni che nella realtà sono ibridi e in parte opachi. Tale difficoltà si riverbera anche nella relativa arretratezza del piano normativo e giuridico (Citron e Franks, 2014; EIGE, 2017; Europol, 2022; Horne, 2023) che fatica a tenere il passo sia con l’accelerazione tecnologica e le innovazioni, sia con la creatività che caratterizza i fenomeni sociali, anche nel campo del crimine.

Complessivamente, la fenomenologia della VAW online comprende manifestazioni eterogenee. Alcune di queste vengono assimilate al più ampio fenomeno dell’hate speech online, tipico della comunicazione sui social media (Ziccardi, 2016). Le ricerche sull’hate speech, a livello nazionale e internazionale, rivelano tutte una stessa evidenza: le donne sono le più colpite dai messaggi di odio e di incitazione alla violenza (Amnesty, 2020; FRA, 2023). Anche l’odio online non è uguale per tutti. Non solo i post di odio verso le donne sono, in termini assoluti, significativamente più numerosi rispetto a quelli destinati ad altri gruppi tradizionalmente oggetto di odio in rete[2], ma quando l’hate speech è rivolto alle donne assume spesso il carattere della stigmatizzazione a sfondo sessuale, con offese e insulti legati al genere e all’intimità, comprese minacce di violenza estrema, di stupro e di morte (EIGE, 2022; FRA, 2023). Svezia e Italia sono i paesi dove tale incidenza risulta maggiore (ivi).

Nella VAW online rientrano una serie di comportamenti che si situano in continuità con la violenza tradizionale e ne costituiscono una sorta di upgrading digitale. Fra questi il cyberstalking, cioè l’uso ripetuto di atti e messaggi intimidatori e/o molestatori, inviati attraverso la rete, che minano la percezione di sicurezza della vittima (EIGE, 2017; Acquadro Maran e Begotti, 2019); il cyber-harassement, una molestia che si manifesta su scala di severità variabile e che comprende insulti, offese, umiliazioni, invio di messaggi persecutori e pornografia non desiderata tramite digital media (Poland, 2016; Council of Europe, 2018); lo slut-shaming[3], che riproduce in rete lo stigma di genere, colpevolizzando le donne per comportamenti o desideri sessuali che si discostano dalle aspettative di genere tradizionali o ortodosse (Dragotto et al., 2020)[4].

In tutti questi casi sembra che le tecnologie digitali si limitino a facilitare e diffondere vecchie forme di violenza. In altri casi appare invece evidente come esse abilitino nuove e diverse forme di violenza – in particolare di image-based violence (McGlynn e Rackley, 2017; EIGE, 2022) –, alcune delle quali non sarebbero possibili senza il supporto tecnologico offerto dagli strumenti digitali. Fra queste figurano: l’upskirting (o il corrispettivo downblousing), vale a dire riprese non consensuali del corpo femminile, effettuate di solito tramite smartphone, al fine di evidenziare biancheria intima o nudità (McGlynn e Rackley, 2017; EIGE, 2022); il cyberflashing, ossia l’invio, mediante messaggistica privata, di contenuti pornografici espliciti (specialmente foto dei genitali) a chi non si conosce e non ha chiesto di farlo (Powell e Henry, 2017b); la creazione di deep-fake pornography[5], video manipolati attraverso l’intelligenza artificiale (Laffier e Rehman, 2023), usati spesso per dileggiare non solo celebrità, ma anche attiviste e donne scomode (UNESCO, 2020).

Altre manifestazioni includono violazioni della privacy come il doxing, abbreviazione di «dropping documents», pratica che consiste nella diffusione d’informazioni personali online, sviluppata originariamente nell’ambito della cultura hacker negli anni Novanta e successivamente, con l’ampliamento della popolazione femminile sul web, utilizzata a scopo di ritorsione o minaccia, soprattutto contro le donne (Douglas, 2016; UN Women, 2022); il fappening, cioè il furto, il rilascio e la diffusione di foto intime hackerate – un trattamento generalmente riservato alle star o a personaggi influenti – che vengono date in pasto a milioni di utenti (Massanari, 2017) e la sextortion, o estorsione a sfondo sessuale, basata sulla circolazione d’immagini sessuali diffuse consensualmente (sexting) o rubate per essere usate come arma di coercizione, ricatto, o dileggio (Powell e Henry, 2017a; Council of Europe, 2018).

L’attenzione di ricercatori e legislatori, di recente, si è puntata soprattutto su due tipi di reato: il revenge porn – cioè la diffusione non consensuale di immagini sessuali private diffuse, non necessariamente per vendetta, sia da ex partner sia da sconosciuti (Citron e Franks, 2014; McGlynn e Rackley, 2017) – e lo stupro online, detto anche cyber-rape che comprende, oltre allo stupro virtuale vero e proprio[6], anche la trasmissione dal vivo (spesso via social network) di stupri e atti di aggressione sessuale avvenuti offline. È stato notato come l’uso frequente e improprio da parte dei media di termini come «revenge porn» e «upskirting» contribuisca a minimizzare il danno subito dalle vittime (ibidem) e a oscurare il fatto che, per molte di esse, tali episodi sono vissuti come una forma seria e incarnata di aggressione sessuale (Henry e Powell, 2015; Harris, 2020; McGlynn et al., 2021), così grave da provocare talvolta il suicidio delle vittime[7].

La diffusione di pornografia non consensuale, nella quale rientrano il fappening e la creazione di deep-fake, risulta molto difficile da normare, poiché non sempre si tratta di materiale pornografico. Inoltre, espressioni come la deep-fake pornography spesso non sono considerate un crimine, in quanto ispirate dal lulz, una particolare forma di «divertimento» tipico della rete, che causerebbe un danno insufficiente a giustificare la loro criminalizzazione (McGlynn, Rackley e Houghton, 2017).

Molto diffuse e difficili da intercettare sono anche le pratiche di scambio di foto e video di donne all’interno di community misogine appositamente create e non facilmente accessibili: è il caso di un numero indefinibile di siti e gruppi chiusi in cui uomini di tutte le età ed estrazione sociale si scambiano immagini di donne generalmente ignare (amiche, fidanzate, amanti, parenti o anche sconosciute), usate come bersaglio di una specifica violenza misogina (cfr. Jane, 2016; Semenzin e Bainotti, 2020)[8].

Mancano dati adeguati a rappresentare in toto la diffusione e la specificità della VAW online nelle sue diverse manifestazioni, date le caratteristiche sfuggenti di alcune forme del fenomeno considerato. Una delle ragioni dell’inadeguata rappresentazione statistica è che, nella maggior parte degli Stati europei, malgrado gli avanzamenti legislativi più recenti, molte forme della VAW virtuale non sono considerate reato[9], perciò i dati della polizia e della giustizia penale sul fenomeno sono scarsi e il peso da attribuire in termini di criminalizzazione di alcuni comportamenti non sempre è chiaro.

Malgrado ciò, le ricerche esistenti, a livello nazionale e sovranazionale, sulla VAW online evidenziano un’incidenza significativa del fenomeno nella sua generalità e un notevole impatto sulle vite e la salute delle vittime (FRA, 2014; Pew, 2014, 2017; EIGE, 2017; ISTAT, 2015, 2021). Suggeriscono in particolare che, sebbene le donne usino Internet ormai in misura equivalente a quella degli uomini (ITU, 2023), esse sono molto più esposte a violenze e molestie, soprattutto di ordine sessuale, e che gli autori di questi comportamenti sono quasi esclusivamente maschi (Pew, 2021; Park et al., 2023).

Anche negli USA, secondo una survey del Pew Research Center, le donne hanno molte più probabilità degli uomini di essere molestate sessualmente online (16% contro il 5%, cioè il triplo) o stalkerate (13% contro il 9%) (Pew, 2021), soprattutto le più giovani (il 33% delle donne sotto i 35 anni dice di essere stato molestato sessualmente online, contro l’11% degli uomini nella stessa fascia d’età). Gli episodi di molestia online sono ritenuti gravi dalle donne e in grado di turbare la loro vita, mentre risultano poco incisivi nella vita degli uomini[10]. Le forme più gravi di violenza online associate al genere femminile hanno, inoltre, un carattere intersezionale e sono esacerbate dall’orientamento sessuale, mentre le forme meno gravi risultano associate alle opinioni politiche.

Il fenomeno, nella sua generalità, non sembra aumentare, ma ha un andamento stabile[11]. La situazione resta però grave nel caso delle giovani donne. Secondo uno studio del 2020 svolto in ventidue paesi da Plan International – ONG internazionale che si occupa di diritti di bambini e bambine – su 14mila ragazze tra i 15 e i 25 anni il 58% ha sperimentato una forma di molestia online sui social network. Tra le ragazze europee il fenomeno è ancora più evidente poiché riguarda il 63% di esse. Dalla distribuzione statistica appare chiaro che nelle code generazionali in cui si ritrovano i bambini e la popolazione più anziana, le probabilità di essere esposti a molestie o violenze non risente particolarmente dell’appartenenza di genere. Mentre nelle fasce centrali d’età sono le donne (adolescenti e giovani in particolare) a diventare bersaglio di violenze specifiche legate al genere e alla sessualità.

La fluidità sempre maggiore fra esperienze online e offline, oltre ad affievolire l’opposizione classica fra reale e virtuale, sfuma anche la consapevolezza (soprattutto fra gli adolescenti) delle implicazioni, dei rischi e delle responsabilità che alcuni comportamenti ritenuti «virtuali» implicano (Save the Children, 2024). Questo fenomeno si riflette in particolare sul sexting, cioè la pratica, sempre più diffusa, di scambiare foto intime con connotati sessuali espliciti. Innumerevoli dati raccolti in tutto il mondo dimostrano che per gli adolescenti, soprattutto nella fascia di età compresa fra i 12 e i 16 anni, risulta normale pubblicare informazioni personali online, comprese le proprie foto con connotazioni sessuali (Smahel et al., 2020). Ciò, sebbene non implichi necessariamente un uso non consensuale di tali immagini, crea le condizioni tecniche per la loro diffusione anche in termini malevoli di sextorsion o di revenge porn.

La creazione e la diffusione d’immagini che rappresentano violenza sulle donne o sui bambini (soprattutto sulle bambine) hanno avuto un’esplosione inarrestabile con la diffusione del web, quando ad aumentare a dismisura sono stati soprattutto gli user generated content, e questa tendenza si è estesa anche alla produzione pornografica. Considerata anche la crescente legittimazione e normalizzazione culturale della pornografia e dei comportamenti sessuali espliciti, per i quali la privacy non è considerata necessaria, il fenomeno sembra difficilmente contenibile e i suoi confini possono sfumare facilmente dalla sfera della «normalità» a quella dell’abuso e della violenza.

2 I limiti del correttivo tecnologico

La diffusione in rete di contenuti violenti, pornografici e illegali (Gillespie, 2018) ha evidenziato una fondamentale rottura fra la visione ideale di una tecnologia aperta e inclusiva e la necessità di tutelare gli utenti dai comportamenti dannosi. La resistenza strutturale alla regolamentazione propria degli ambienti digitali – «una caratteristica distintiva della rete, ancor prima che un suo limite» (Boyle, 1997, 178) – coniugata alla retorica individualista che affiderebbe al web un potere emancipatore (Geiger, 2016), hanno reso la moderazione dei contenuti da parte dei player privati l’unica via di governance percorribile di fronte alle difficoltà poste dalla regolazione tradizionale. Come è emerso recentemente, tuttavia, la qualità e la disponibilità di dati, nonché le procedure algoritmiche, come ogni tecnologia, integrano by design e by default le concezioni specifiche del contesto sociale in cui operano e tendono perciò a cristallizzare e a «naturalizzare» anche le discriminazioni di genere (Stradella, 2020; Tafani, 2023).

L’approccio tecno-soluzionista (che mira a fornire soluzioni tecniche per ogni problema, compresa la VAW) è particolarmente diffuso, e quasi tutte le piattaforme (anche Pornhub) stanno lavorando alla messa a punto di regole stringenti e strumenti di rilevazione automatica di contenuti sessuali non consensuali. Purtroppo si tratta di strumenti spesso inefficaci, non solo perché non sono in grado di cogliere una serie di sfumature e sottigliezze che solo lo sguardo umano è capace di intercettare e categorizzare, ma anche perché affidarsi a soluzioni tecnologiche per problemi che non hanno un’origine tecnologica, rischia di eludere le cause profonde dei problemi stessi e dare solo l’illusione del loro superamento[12].

Il ricorso alla moderazione automatica dei contenuti va inoltre considerato alla luce di quelli che sono alcuni caratteri peculiari del modello economico-produttivo delle piattaforme: l’imperativo della «crescita a tutti i costi» (Gillespie, 2020, 2), la quantità di contenuti ospitati e gli effetti in termini di scala che sono in grado di (ri)produrre impongono ai principali spazi online una finestra temporale ristretta per l’identificazione e la rimozione dei contenuti problematici o illegali (dall’hate speech, al materiale pornografico, alle minacce). Le maggiori piattaforme web attribuiscono così valenza salvifica alle procedure di moderazione automatica per mezzo dell’intelligenza artificiale (Clark e Le, 2022; Gillespie, 2020) come risposta alle problematiche generate dal nuovo abitare collettivo nella rete, senza considerare le loro criticità e la loro insufficienza.

Uno dei limiti di tale approccio è rinvenibile nei dati utilizzati per l’addestramento: «AI software is only as sensitive as the data being fed into it» (Birhane, 2021; Clark e Le, 2022). Sebbene infatti le piattaforme utilizzino tecniche raffinate per identificare, classificare e prevenire i casi di molestia, incitamento all’odio o alla pornografia, la maggior parte di esse si limita a procedure di pattern matching che confrontano i nuovi contenuti con una lista di esempi già noti (Gorwa, Binns e Katzenbach, 2020; Gillespie, 2020). Anche nei casi di impiego di tecniche di apprendimento automatico, gli algoritmi di machine learning devono essere addestrati su dati esistenti ed etichettati, rintracciabili nel corpus delle decisioni di moderazione precedenti. Questi dati costituiscono il risultato di scelte passate e posseggono, dal punto di vista tecnico, un limite intrinseco dovuto all’adattabilità nel tempo (Gillespie, 2020), sia rispetto alla mutevolezza degli ambienti tecnologici, sia rispetto alle forme di molestia e violenza che il medium specifico è in grado di intercettare. Un esempio in tal senso è fornito dai casi di interazione indesiderata subiti da avatar donna nel Metaverso (fra gli altri: Europol, 2022; Clayton, 2022; Horne, 2023) e le sfide che gli universi immersivi pongono in termini di «[…] shifting from moderating ‘content’ to moderating ‘behaviour’» (Clark e Le, 2022). Questa è una delle ragioni per cui le ricadute che la proliferazione dei contenuti problematici nella sfera «virtuale» produce su quella «reale» eccedono non solo le capacità di governo delle istituzioni tradizionali, ma anche quelle dell’automazione.

3 La presenza femminile online e il ruolo delle piattaforme web

Le speranze di affrancamento dai vincoli del corpo e dagli attributi di genere sono state (e sono tutt’oggi) un propulsore importante delle ideologie e delle pratiche legate all’innovazione tecnologica. Finora, tuttavia, le tecnologie digitali, sebbene siano il più rilevante passo verso un progressivo svincolamento della sessualità (e dell’intera esistenza) dal corpo, non consentono un affrancamento completo dalle «marcature» di genere che caratterizzano la vita sociale (Franks, 2011; Farci e Scarcelli, 2022). Nonostante le disparità di accesso alla rete Internet in Europa siano progressivamente diminuite (EIGE, 2020; ITU, 2023), persistono differenze significative tra donne e uomini nel modo di stare online (Eurostat, 2024). Dalle rilevazioni fornite da Eurobarometro (2022) e dal Digital News Report (Newman et al., 2022) emerge (sebbene lo scarto sia solo di poche unità) una tendenza generale che vede gli uomini in maggioranza sulle piattaforme dedicate al discorso politico e alla vita professionale; mentre le piattaforme che incoraggiano la condivisione di immagini sono popolate in percentuali maggiori dalle donne (Park et al., 2023). Su Reddit, la diversa composizione di genere a favore degli uomini – 69% di utilizzatori maschi – è associata alla presenza di community dove le donne diventano bersaglio esplicito d’odio (Farrel et al., 2019; Corradini et al., 2021), mentre Discord e Twitch – con il 70% di utilizzatori maschi – sembrerebbero ereditare la tradizione, nonché la popolazione, delle comunità di gaming online[13].

Secondo la recente pubblicazione dell’European Parliament’s Committee on Women’s rights and Gender Equality (Park et al., 2023) le differenze osservabili nella distribuzione della popolazione maschile e femminile sui principali social media sarebbero l’effetto della cultura di genere e dei ruoli sociali, nonché del tipo di contenuti, funzioni e stile comunicativo degli ambienti digitali. Malgrado infatti la massiccia presenza in rete e i cambiamenti che le donne sono riuscite a produrre negli ultimi decenni in termini di agency, il loro ruolo e la loro immagine online è ancora, in buona parte, prodotto del male gaze e conseguenza del male logos. La straordinaria quantità di immagini di donne ritratte in pose ammiccanti, sexy o pornografiche diffuse dai social media e dai siti web fa da pendant alla tendenza maschile a esprimere un maggior numero di argomentazioni e a ignorare o ridicolizzare i contributi femminili in quelle aree che non siano connesse alla sessualità, alle relazioni o all’intimità (Herring, 2003; Oliver, 2017). Una manifestazione di questa realtà è rinvenibile in quello che recentemente è stato denominato «mensplaining», particolarmente diffuso su Twitter (ora X). Si tratta del fenomeno per cui alcuni uomini, indipendentemente dalla loro effettiva competenza e da una presunta posizione di superiorità, esprimono la convinzione di essere meglio qualificati a spiegare alle donne argomenti di varia natura, specialmente politica (Koc-Michalska et al., 2021).

Le differenze di genere osservabili nei livelli di assertività e nella propensione a esprimere le proprie opinioni in rete, tuttavia, non sono effetto esclusivo della socializzazione e dei ruoli acquisiti: anche esperienze di molestie e abusi esperiti online contribuiscono a rendere donne e ragazze più caute nell’esprimere le proprie posizioni (Park et al., 2023). Il discorso d’odio basato sul genere e altre forme di violenza rivolte alle donne (cyberharassement, cyberstalking, deep-fake ecc.) costituiscono, infatti, un rilevante disincentivo all’espressione e al confronto (Musso, 2019; Musso, Proietti e Reynolds, 2020; UNESCO, 2020; Park et al., 2023).

Le norme di genere continuano dunque a condizionare non solo la VAW, ma anche lo stile di comunicazione, le rappresentazioni identitarie e le immagini di sé da mostrare online (Farci e Scarcelli, 2022). Dopo l’industria dell’intrattenimento, i social network e le logiche maschili che in essi dominano (Oliver, 2017) hanno contribuito in larga misura a ridefinire ciò che è considerato desiderabile dalle ragazze e dalle donne. L’identità femminile rappresentata online e sui media in generale – pur essendosi trasformata significativamente (Giomi e Magaraggia, 2017) per un insieme di ragioni in cui rientrano anche le logiche economico-politiche della produzione mediale (Musso, 2021) – e pur acquistando, insieme a un carattere più androgino (McKay, 2013), anche indipendenza e agency – rimane spesso ancillare e iper-sessualizzata (Oliver, 2017; Marling, 2020).

L’enfasi sulla spettacolarità e la popolarità, connaturata alle politiche algoritmiche delle maggiori piattaforme, si basa su visioni che esercitano un effetto conservativo sui ruoli e le rappresentazioni di genere (Park et al., 2023). È stato evidenziato, infatti, come gli incentivi al profitto guidino i risultati algoritmici (Roberts, 2018; Bishop, 2018; Birhane, 2021) che tendono a promuovere contenuti in linea con visioni tradizionali del corpo e degli interessi femminili (Bishop, 2018) considerati più redditizi (Diepeveen, 2022). Le piattaforme social, non di rado, si trasformano in una vera e propria vetrina per promuovere attività su siti come Pornhub e OnlyFans (Rama et al., 2022), i quali facilitano la circolazione di contenuti lesivi della dignità delle donne e contribuiscono a fenomeni di self-objectification (Bell, Cassarly e Dunbar, 2018).

4 La Manosphere e la vittimizzazione invertita

Comprendere l’intreccio di fattori che concorrono all’esistenza di un lato oscuro della rete, fatto di odio, violenza e misoginia, non può prescindere dall’analisi del mutamento sociale e delle dinamiche identitarie collegate al genere, in particolare dalla torsione radicale che queste hanno subito nell’ultimo secolo, grazie al femminismo e al ruolo assunto dalle donne in termini di potere e di agency, di partecipazione economica, politica e d’incisività culturale. In questo quadro, un ultimo tassello – a cui qui si può solo brevemente accennare – è quello relativo all’humus culturale e all’immaginario misogino che alimenta, sia pure indirettamente, la VAW nel mondo digitale.

Secondo alcuni autori, oltre al fenomeno del backlash che ha caratterizzato gli anni Ottanta del Novecento (Faludi, 1991), anche la più recente espansione della misoginia in rete, in particolare nella Manosphere – termine utilizzato per identificare una vasta congerie di gruppi e comunità online, non necessariamente coerenti e organizzati, che mettono al centro della loro discussione il ruolo dell’uomo nella società contemporanea e la difesa delle sue prerogative (Nagle, 2018; Farci, 2022) –,

può essere considerata una reazione all’empowerment femminile (Ging, 2019; Lindsay, 2022). All’interno di una galassia eterogenea di siti web, blog, comunità online, diversi gruppi alimentano, infatti, sentimenti misogini ed espressioni di offesa e dileggio nei confronti delle donne, sostenuti dall’idea di vivere una condizione di ingiusta discriminazione e addirittura di subalternità, specie per quanto riguarda i diritti sessuali e di riproduzione. Il caso più noto è quello degli INCEL (involuntary celibate), una fra le comunità più aggressive e violente del web (Witt, 2020; Brooks, Russo-Batterham e Blake, 2022; Hart e Huber, 2023). Nata con l’intento di favorire forme di supporto e sostegno agli uomini con difficoltà a stabilire relazioni intime, è poi diventata una realtà fortemente misogina e aggressiva (Fontanesi et al., 2022), nel cui contesto sono maturati anche eventi tragici come la strage di Toronto del 2018 (Minassian, 2018). In altre community, come i MGTOW – uomini che hanno deciso di eliminare la presenza femminile dalla loro vita – le implicazioni misogine e aggressive sono più velate, ma le motivazioni sottostanti e i presupposti di partenza restano simili (Farci, 2022).

Conclusioni

Le evidenze empiriche e i fenomeni discussi in questo lavoro confermano il fatto che la VAW, a differenza di tutte le altre forme di violenza «comune», sebbene non sia necessariamente in aumento, rimane endemica. La sua specificità deriva dall’essere un fenomeno di tipo polimorfo e adattivo, dal carattere tuttora «quasi» universale (Musso, Proietti e Reynolds, 2020), le cui radici sono da rinvenire in un complesso di ragioni sistemiche non riconducibili agli strati superficiali della cultura e dei comportamenti e pertanto non risolvibile (esclusivamente) mediante raccomandazioni etico-comportamentali e palliativi tecnici. Sul versante del contrasto, come si è visto, l’attuale configurazione che vede l’intervento umano, culturale e legislativo svolgere un ruolo residuale nella moderazione dei contenuti online, a fronte di un ricorso massiccio alle tecniche algoritmiche, si è a oggi rivelata insufficiente ad arginare un fenomeno le cui origini non sono tecnologiche, e la cui logica non confligge necessariamente con quella della vita digitale.

Come si è visto, nei contesti digitali la VAW e le discriminazioni di genere non solo non sono scomparse, ma assumono manifestazioni peculiari, a seconda dell’ambiente mediale in cui si producono. L’ormai comprovato continuum della VAW – che va dalle micro-aggressioni fino al femminicidio (Kelly, 1988) – trova una ulteriore espansione nel nuovo habitat digitale (GREVIO, 2021), in cui azioni «virtuali» hanno effetti «reali» e alcune peculiarità della VAW tradizionale si ripresentano sia in termini di dinamiche sia di protagonisti (per esempio il cyberstalking è compiuto prevalentemente dai partner o dagli ex, analogamente allo stalking nella vita offline). Ma oltre alla riedizione tecnologicamente avanzata delle vecchie forme di violenza, il mezzo digitale abilita nuove forme di aggressività e, soprattutto, è in grado di facilitare, estendere e ampliare la VAW nelle sue diverse manifestazioni, sia sul piano spaziale (sganciandosi dai luoghi fisici), sia sul piano temporale (prima, durante e dopo il compimento di un reato). Le tecnologie digitali aumentano, infatti, l’accessibilità delle potenziali vittime, facilitano ed estendono la comunicazione con esse, consentono la reiterazione e la prosecuzione della violenza nel tempo e nello spazio, anche al di là del contatto comunicativo o fisico.

Ovviamente, nessuna delle manifestazioni della violenza contro le donne online può essere imputata, tout court, allo strumento digitale e all’esistenza del web. Tuttavia, la molteplicità e la persistenza delle diverse forme di VAW online rendono evidente come le tecnologie digitali non costituiscano uno scarto sostanziale nella continuità del dominio maschile e neppure creino un terreno necessariamente favorevole al contrasto e all’eliminazione della violenza contro le donne. Attraverso la comunicazione mediata dal computer, infatti, non solo le diverse forme di violenza e misoginia di tipo tradizionale possono essere agevolmente diffuse in modi più pervasivi e capillari rispetto a quanto avviene nella vita offline, ma la logica di funzionamento dei social media può offrire, sotto certi profili, un terreno favorevole[14] per la creazione di nuove forme di attivismo misogino e di violenza che non sarebbero possibili senza gli strumenti digitali. Al tempo stesso, le logiche proprie delle piattaforme: datafication, mercificazione, diffusione su larga scala delle immagini, auto-produzione di contenuti, selfbranding, self-objectivation ecc. creano un terreno favorevole all’espressione di forme più o meno larvate di pregiudizio e abuso.

L’esposizione delle donne a specifiche forme di violenza online non può essere considerata, dunque, un semplice residuo della tradizione e della cultura patriarcale, né si tratta di isolate occorrenze di comportamenti devianti ascrivibili esclusivamente a individui particolarmente inclini alla violenza e alla misoginia. Uno sguardo, sia pure sommario, alle origini e alle connotazioni maschili del web (Farci, 2022) – oltre alle riflessioni più sopra riportate sul funzionamento tecnico-politico delle piattaforme, sulle culture della Manosphere e delle networked masculinities[15] – fa emergere un quadro più complesso in cui l’impianto identitario della maschilità (non solo di quella egemone, ma anche di quella derivata nella cultura hacker, nerd, geek ecc.) si nutre di memorie, propositi e aspirazioni male-centered. La loro trasposizione nell’humus digitale favorisce l’espansione e la riproduzione del male gaze e del male logos come elementi di uno sfondo epistemico-simbolico tendente a legittimare il dominio maschile, anche nelle più esplicite manifestazioni di violenza misogina.

In base a quanto si è evidenziato fin qui, c’è un ultimo elemento da sottolineare: le espressioni della violenza online contro le donne, oltre a costituire nuovi tasselli del già variegato puzzle sistemico della VAW in tutte le sue forme, costituiscono una sfida, dal punto di vista teorico, per una comprensione più accurata del rapporto tra mutamento sociale, genere e tecnologia. Si tratta di un rapporto la cui complessità necessita di un approfondimento ulteriore relativo al nesso fra costruzione identitaria, dominio e violenza, nonché di una «laica» interpretazione del ruolo della tecnologia sganciata da facili dicotomie (come quella fra tecno-ottimisti e tecno-catastrofisti) e attenta all’analisi degli strati più profondi della maschilità e del suo immaginario, da cui anche la rivoluzione digitale e l’Intelligenza Artificiale traggono linfa.

Riferimenti bibliografici

Acquadro Maran, D. e Begotti, T. (2019). Prevalence of cyberstalking and previous offline victimization in a sample of Italian university students. Social Sciences, 8(1), 30.

Alaghband, M. e Yee, L. (2022). Even in the metaverse, women remain locked out of leadership roles. McKinsey & Company. Disponibile a: https://www.mckinsey.com/featured-insights/diversity-and-inclusion/even-in-the-metaverse-women-remain-locked-out-of-leadership-roles#/ (Consultato il 16 febbraio 2024).

Amnesty. (2020). Il barometro dell’odio. Sessismo da tastiera. Amnesty International Italia.

Balistreri, M. (2018). “Uccidere” e “stuprare bambini” ai videogiochi: considerazioni morali sul dilemma del giocatore. Lessico di etica pubblica, 1, 73-81.

Belamire, J. (2016, 20 ottobre). My First Virtual Reality Groping. Medium. Disponibile a: https://medium.com/athena-talks/my-first-virtual-reality-sexual-assault-2330410b62ee (Consultato il 25 marzo 2024).

Bell, B.T., Cassarly, J.A. e Dunbar, L. (2018). Selfie-Objectification: Self-Objectification and Positive Feedback (“Likes”) are Associated with Frequency of Posting Sexually Objectifying Self-Images on Social Media. Body Image, 26, 83-89.

Benanti, P. e Maffettone, S. (2022, 31, gennaio). Gli effetti reali degli abusi virtuali. Corriere della Sera, 1.

Birhane, A. (2021). The impossibility of automating ambiguity. Artificial Life, 27(1), 44-61.

Bishop, S. (2018). Anxiety, panic and self-optimization: Inequalities and the YouTube algorithm. Convergence, 24(1), 69-84.

Boyle, J. (1997). Foucault in cyberspace: Surveillance, sovereignty, and hardwired censors. Law and society approaches to cyberspace. London: Routledge.

Brooks, R.C., Russo-Batterham, D. e Blake, K.R. (2022). Incel activity on social media linked to local mating ecology. Psychological science, 33(2), 249-258.

Cannito, M., e Mercuri, E. (2022). Fatherhood and gender relations in the manosphere: Exploring an Italian non-resident fathers’ online forum. European Journal of Cultural Studies, 25(4), 1010-1029.

Citron, D.K. (2014). Hate Crimes in Cyberspace. Cambridge, MA: Harvard University Press.

Citron, D.K., e Franks, M.A. (2014). Criminalizing revenge porn. Wake Forest Law Review, 49(2), 345-391.

Clark, K., E. e Le, T. (2022, 13 ottobre). Sexual assault in the metaverse isn’t a glitch that can be fixed. Lens by Monash University. Disponibile a: https://lens.monash.edu/@politics-society/2022/10/13/1385033/sexual-assault-in-the-metaverse-isnt-a-glitch-that-can-be-fixed (Consultato il 14 maggio 2023).

Clayton, M. (2022, ultimo aggiornamento 30 gennaio). Mother says she was virtually groped by three male characters within seconds of entering Facebook’s online world Metaverse. Mail Online (Consultato il 13 marzo 2024).

Corradini, E., Nocera, A., Ursino, D., e Virgili, L. (2021). Investigating the phenomenon of NSFW posts in Reddit. Information Sciences, 566, 140-164.

Council of Europe. (2018). Mapping study on cyberviolence. Cybercrime Convention Committee T-CY, Strasbourg.

Di Fazio, M. (2017, 17 gennaio). Stupro su Facebook, ecco cosa si dicono gli uomini che umiliano le donne. L’Espresso. Disponibile a: https://lespresso.it/c/inchieste/2017/1/17/stupro-su-facebook-ecco-cosa-si-dicono-gli-uomini-che-umiliano-le-donne/21907 (Consultato il 18 marzo 2024).

Diepeveen, S. (2022). Hidden in plain sight: how the infrastructure of social media shapes gender norms. ALIGN Report, London.

Douglas, D.M. (2016). Doxing: a conceptual analysis. Ethics and information technology, 18(3), 199-210.

Dragotto, F., Giomi, E. e Melchiorre, S.M. (2020). Putting women back in their place. Reflections on slut-shaming, the case Asia Argento and Twitter in Italy. International Review of Sociology, 30(1), 46-70.

EIGE (2017). Violenza virtuale contro le donne e le ragazze. European Institute for Gender Equality.

EIGE (2020). Gender Equality Index 2020: Digitalisation and Future Work. European Institute for Gender Equality.

EIGE (2022). Combating Cyber Violence against Women and Girls. European Institute for Gender Equality.

Eurobarometro (2022). Flash Eurobarometer FL011EP: Media & News Survey. https://data.europa.eu/data/datasets/s2832_fl011ep_eng?locale=en (Consultato il 15 marzo 2024).

Europol (2022). Policing in the metaverse: what law enforcement needs to know. An observatory report from the Europol Innovation Lab. Luxembourg: Publications Office of the European Union.

Eurostat (2024). Individuals. Internet activities (isoc_ci_ac_i). https://ec.europa.eu/Eurostat/databrowser/view/ISOC_CI_AC_I__custom_3569337/bookmark/table?lang=en&bookmarkId=a34b0232-2b32-4b51-b33a-884e30ac9bd9 (Consultato il 18 marzo 2024).

Faludi, S. (1991). Backlash: The Undeclared War Against American Women. New York: Crown Publishing Group.

Farci, M. (2022). Media digitali e tecnostrutture maschili. In Farci M. e Scarcelli C.M. (a cura di). Media digitali, genere e sessualità (271-289). Milano: Mondadori Università.

Farci, M. e Scarcelli, C.M. (2022). Lo studio dei media digitali, del genere e della sessualità. In Farci M. e Scarcelli C.M. (a cura di). Media digitali, genere e sessualità (49-64). Milano: Mondadori Università.

Farrell, T., Fernandez, M., Novotny, J. e Alani, H. (2019). Exploring misogyny across the Manosphere in reddit. In Proceedings of the 10th ACM conference on Web science, 87-96.

Fontanesi, L., Cosi, G., Di Crosta, A., Verrocchio, M.C., Jannini, E. A. e Ciocca, G.(2022). Involuntary Celibate (Incel): validation of the Incel Trait Scale (ITS) in the Italian male population. Journal of Psychopathology.

FRA (2014). Violence against women: an EU-wide survey. Main results. European Union Agency for Fundamental Rights. Luxembourg: Publications Office of the European Union.

FRA (2023). Online Content Moderation. Current challenges in detecting hate speech. European Union Agency for Fundamental Rights. Luxembourg: Publications Office of the European Union.

Franks, M.A. (2011). Unwilling avatars: Idealism and discrimination in cyberspace. Colum. J. Gender & L., 20, 224.

Geiger, R.S. (2016). Bot-based collective blocklists in Twitter: the counterpublic moderation of harassment in a networked public space. Information, Communication & Society, 19(6), 787-803.

Gillespie, T. (2018). Custodians of the internet: platforms, content moderation, and the hidden decisions that shape social media. New Haven, CT: Yale University Press.

Gillespie, T. (2020). Content moderation, AI and the question of scale. Big Data & Society, 7(2).

Ging, D. (2019). Alphas, betas, and incels: Theorizing the masculinities of the Manosphere. Men and masculinities, 22(4), 638-657.

Giomi, E. e Magaraggia, S. (2017). Relazioni Brutali. Genere e violenza nella cultura mediale. Bologna: Il Mulino.

Giuliani, F. (2019, 18 novembre). La “Bibbia” del porno è ancora online: ora si vende su Telegram e Whatsapp. Il Giornale.it. Disponibile a: https://www.ilgiornale.it/news/cronache/bibbia-porno-ancora-viva-ora-si-vende-su-telegram-e-whatsapp-1785912.html (Consultato il 20 aprile 2024).

Gorwa, R., Binns, R. e Katzenbach, C. (2020). Algorithmic content moderation: Technical and political challenges in the automation of platform governance. Big Data & Society, 7(1).

GREVIO (2021). Recommendation No. 1 on the digital dimension of violence against women. Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence. Council of Europe.

Harris, B.A. (2020). Technology and violence against women. In The Emerald handbook of feminism, criminology and social change, (317-336). Bingley: Emerald Publishing Limited.

Hart, G. e Huber, A.R. (2023). Five Things We Need to Learn About Incel Extremism: Issues, Challenges and Avenues for Fresh Research. Studies in Conflict & Terrorism, 1-17.

Henry, N. e Powell, A. (2015). Embodied Harms: Gender, Shame, and Technology-Facilitated Sexual Violence. Violence Against Women, 21(6), 758-779.

Henry, N. e Powell, A. (2016). Sexual Violence in the Digital Age: The Scope and Limits of Criminal Law. Social & Legal Studies, 25(4).

Herring, S.C. (2003). Gender and power in on‐line communication. In Holmes J. e Meyerhoff M. (eds.). The handbook of language and gender (202-228). Hoboken, NJ: Blackwell Publishing.

Horne, C. (2023). Regulating rape within the virtual world. Lincoln Memorial University Law Review, 10(2), 159-176.

ICRW (2018). Technology-facilitated gender-based violence: What is it, and how do we measure it? Washington, D.C.: International Center for Research on Women,

ISTAT (2015). Il bullismo in Italia: comportamenti offensivi e violenti tra i giovanissimi.

ISTAT (2021). L’effetto della pandemia sulla violenza di genere.

ITU (2023). The Gender Digital Divide. ITU-D Reports and Statistics. International Telecommunication Union. Disponibile a: https://www.itu.int/itu-d/reports/statistics/2023/10/10/ff23-the-gender-digital-divide/ (Consultato il 22 marzo 2024).

Jane, E. (2016). Online misogyny and feminist digilantism. Continuum (Society for Social Work Administrators in Health Care), 30, 284-297.

Kelly, L. (1998). Surviving sexual violence. Cambridge: Polity Press.

Koc-Michalska, K., Schiffrin, A., Lopez, A., Boulianne, S. e Bimber, B..(2021). From Online Political Posting to Mansplaining: The Gender Gap and Social Media in Political Discussion. Social Science Computer Review, 39(2), 197-210.

Laffier, J. e Rehman, A. (2023). Deepfakes and Harm to Women. Journal of Digital Life and Learning, 3(1).

Light, B. (2013). Networked Masculinities and Social Networking Sites: A Call for the Analysis of Men and Contemporary Digital Media. Masculinidades y cambio social, 2(3), 245-265.

Lindsay, A. (2022). Swallowing the black pill: Involuntary celibates’ (Incels) anti-feminism within digital society. International Journal for Crime, Justice and Social Democracy, 11(1), 210-224.

Lombardi, M. (2020, 18 luglio). Revenge porn, stupri virtuali e minacce: in rete donne sotto attacco. Il Messaggero. Disponibile a https://www.ilmessaggero.it/mind_the_gap/violenza_rete_nunzia_ciardi_polizia_postale_donne_attacco-5352880.html?refresh_ce (Consultato il 2 febbraio 2024).

Marling, B. (2020, 7 febbraio). I don’t want to be the strong female lead. The New York Times. Disponibile a: https://www.nytimes.com/2020/02/07/opinion/sunday/brit-marling-women-movies.html (Consultato il 20 marzo 2024).

Martellozzo, E. (2017). Online sexual grooming: children as victims of online abuse. In Martellozzo E. e Jane E. (eds.). Cybercrime and its victims (108-128). London: Routledge, Taylor & Francis.

Marx, F.E. (2010). Iniuria in cyberspace. Obiter, 31(1), 146-155.

Massanari, A. (2017). # Gamergate and The Fappening: How Reddit’s algorithm, governance, and culture support toxic technocultures. New media & society, 19(3), 329-346.

McGlynn, C. e Rackley, E. (2017). Image-Based Sexual Abuse. Oxford Journal of Legal Studies, 37, 1-17.

McGlynn, C. Johnson, K., Rackley, E., Henry, N., Gavey, N., Flynn, A. e Powell, A. (2021). ‘It’s torture for the soul’: The harms of image-based sexual abuse. Social & legal studies, 30(4), 541-562.

McGlynn, C., Rackley, E. e Houghton, R. (2017). Beyond ‘Revenge Porn’: The Continuum of Image-Based Sexual Abuse. Feminist Legal Studies, 25, 25-46.

McKay, T. (2013). Female self-objectification: Causes, consequences and prevention. McNair Scholars Research Journal, 6(1), 7.

Minassian, A. (2018, 26 aprile). L’attentatore di Toronto aveva postato un messaggio di odio verso le donne. Il Post. Disponible a: https://www.ilpost.it/2018/04/26/alek-minassian-incel/ (Consultato il 20 marzo 2023).

Musso, M.G. (2019). Violence against women in the age of digital reproduction. In Proceedings of the 1st International Conference of the Journal Scuola Democratica “Education and postdemocracy”, vol. 1, Politics, Citizenship, Diversity and Inclusion (158-163).

Musso, M.G. (2021). Social change and media representations of rape: how TV series reshape the global imaginary on violence against women (and why). H-ermes. Journal of Communication, 2021(20), 219-246.

Musso, M.G., Proietti, M. e Reynolds, R.R. (2020). Towards an integrated approach to violence against women: persistence, specificity and complexity. International Review of Sociology, 30(2), 249-278.

Nagle, A. (2018). Contro la nostra realtà. Come l’estremismo del Web è diventato mainstream. Roma: Luiss University Press (ed. or. Kill all normies. Online culture wars 4Chan and tumblr to Trump and the Alt-Right. Washington, D.C.: Zero Books, 2017).

Newman, N., Fletcher, R., Robertson, C., T., Eddy, K. e Nielsen, R.T. (2022). Reuters Institute Digital News Report 2022.

Oliver, K. (2017). The male gaze is more relevant, and more dangerous, than ever. New Review of Film and Television Studies, 15(4), 451-455.

Park, K., Ging, D., Murphy, S. e McGrath, C. (2023). The Impact Of The Use Of Social Media On Women And Girls. Policy Department for Citizens’ Rights and Constitutional Affairs Directorate-General for Internal Policies. European Parliament.

Pew (2014). Online Harassment. Washington, D.C.: Pew Research Center.

Pew (2017). Online Harassment. Washington, D.C.: Pew Research Center.

Pew (2021). The State of Online Harassment. Washington, D.C.: Pew Research Center.

Plan International (2020). The State Of The World’s Girls Report.

Poland, B. (2016). Haters: Harassment, Abuse, and Violence Online. Lincoln: University of Nebraska Press.

Powell, A. e Henry, N. (2017a). Sexual Violence in a Digital Age. London: Palgrave Macmillan.

Powell, A. e Henry, N. (2017b). Sexual violence and harassment in the digital era. In The Palgrave handbook of Australian and New Zealand criminology, crime and justice (205-220). London: Palgrave Macmillan.

Rama, I., Bainotti, L., Gandini, A., Giorgi, G., Semenzin, S., Agosti, C. e Romano, S . (2022). The platformization of gender and sexual identities: an algorithmic analysis of Pornhub. Porn Studies, 1-20.

Roberts, S.T. (2018). Digital detritus: Error and the logic of opacity in social media content moderation. First Monday, 23(3).

Save the Children (2024). Le ragazze stanno bene? Indagine sulla violenza di genere Onlife in adolescenza.

Semenzin, S. e Bainotti L. (2020). The use of Telegram for non-consensual dissemination of intimate images: gendered affordances and the construction of masculinities. Social Media + Society, 4, 1-12.

Smahel, D., Machackova, H., Mascheroni, G., Dedkova, L., Staksrud, E., Ólafsson, K., e Hasebrink U. (2020). EU Kids Online 2020: Survey results from 19 countries.

Stradella, E. (2020). Stereotipi e discriminazioni: dall’intelligenza umana all’intelligenza artificiale. Consulta Online (Liber Amicorum per Pasquale Costanzo), 1-10.

Striano, F. (2018). Fenomenologia del cyber-stupro. Note ontologico-filosofiche sulla violenza informaticamente mediata. Lessico di etica pubblica, 1, 92-106.

Tafani, D. (2023). Intelligenza artificiale e impostura. Magia, etica e potere. Filosofia Politica, 1, 129-148.

Turkle, S. (1997). La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni sociali nell’epoca di Internet. Milano: Apogeo.

Turkle, S. (2012). Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri. Torino: Codice Edizioni.

UNESCO (2020). Online violence against women journalists: a global snapshot of incidence and impacts.

United Nations (2022). Intensification of efforts to eliminate all forms of violence against women and girls. Report of the Secretary-General.

UN Women (2022). Innovation and technological change, and education in the digital age for achieving gender equality and the empowerment of all women and girls. Commission on the status of women, CSW67.

van der Nagel, E. (2020). Verifying images: Deepfakes, control, and consent. Porn Studies, 7, 1-6.

Vera-Gray, F. (2017). Men’s Intrusion, Women’s Embodiment: A critical analysis of street harassment. London-New York: Routledge.

Witt, T. (2020). ‘If I cannot have it, I will do everything I can to destroy it.’ The canonization of Elliot Rodger: ‘Incel’ masculinities, secular sainthood and justifications of ideological violence. Social Identities, 26(5), 675-689.

Ziccardi, G. (2016). L’odio online, la violenza, lo stalking, il cyberbullismo. Milano: Raffello Cortina.


1

Si tratta di una letteratura che s’interseca con quella sulla cyber-violence e spazia dalla cyber-psychology alla digital sociology e alla criminologia tecno-femminista (cfr. fra gli altri Citron, 2014; McGlynn e Rackley, 2017; Vera-Gray, 2017; Henry e Powell, 2015 e 2016; ICRW, 2018; EIGE, 2022).

2

Oltre alle donne, i gruppi considerati tipicamente un bersaglio sono le persone di discendenza africana, di religione ebraica e di etnia Rom, cioè le categorie di utenti tipicamente definite «protette» nei termini di servizio delle piattaforme (FRA, 2023).

3

In italiano «umiliazione da sgualdrina» o anche «stigma della puttana».

4

Fra le manifestazioni che costituiscono un upgrading digitale delle forme di violenza tradizionale vi è anche il traffiking online, ossia l’adescamento e il commercio di esseri umani spesso riservato a donne e bambine e finalizzato alla prostituzione (EIGE, 2022; UN, 2022).

5

I deep-fake consentono di creare contenuti audio-visivi fittizi e di sovrapporre il volto di qualcuno al corpo di un altro. Si tratta di applicativi ormai accessibili anche a utenti con competenze informatiche limitate, con cui è possibile generare finti video porno e diffonderli anonimamente sulla rete (van der Nagel, 2020). Noto è il caso della giornalista indiana Rana Ayubb, punita, per aver denunciato lo stupro di una bambina di 8 anni, a causa delle sue dichiarazioni radicali contro l’acquiescenza del governo e della cultura indiana. A sua insaputa sono stati creati finti tweet in cui diceva di «odiare l’India e gli indiani» ed è stato diffuso un finto porno in cui il suo volto veniva integrato al corpo della porno-attrice.

6

L’espressione stupro virtuale viene ormai usata anche dalla Polizia Postale e si riferisce a un comportamento che è più diffuso di quanto si pensi (Lombardi, 2020; Europol, 2022) e i cui risvolti sono reali e virtuali al tempo stesso. I casi di stupro virtuale accompagnano l’evoluzione della CMC (comunicazione mediata dal computer) dalle origini testuali (dei MUD) fino ai videogiochi e agli sviluppi immersivi del Metaverso (Marx, 2010; Striano, 2018; Horne, 2023). Fra i casi noti vi è quello denunciato dalla giocatrice Jordan Belamire (2016), avvenuto sulla piattaforma Quivr, ma ve ne sono stati molti altri disseminati nei videogiochi e nei SN di realtà virtuale. Uno dei più recenti è quello avvenuto in Horizon Worlds, creato da Meta, dove una beta tester ha riportato un’esperienza di molestia sessuale discussa dai vertici della compagnia e riportata dalla stampa (cfr. Benanti e Maffettone, 2022). Il dibattito sullo stupro virtuale – che qui è impossibile trattare per esteso – è molto ampio e riguarda non solo il tema della violenza, ma anche il rapporto tra reale e virtuale, il ruolo dell’anonimato e quello dell’efficacia dei tools tecnologici nell’opera di contrasto (cfr. fra gli altri Turkle, 1997 e 2012; Striano, 2018; Balistreri, 2018).

7

Si pensi al noto caso di Tiziana Cantone o a quello di Michela Deriu, che si sono tolte la vita per sfuggire alle conseguenze devastanti della diffusione dei video di un’esperienza sessuale che le ritraeva.

8

Si tratta in generale di gruppi segreti (con numeri che variano da 18.000 a 100.000 iscritti) attivi sui SN (in particolare Reddit e Telegram) in cui migliaia di uomini «normali» (che raramente ricorrono all’anonimato) condividono foto di amiche, partner o sconosciute, corredate da testi sessisti e misogini. Fra i siti più noti (chiusi dalle autorità, ma poi riattivati) vi sono Babylone 2.0, Blokes Advice e Bibbia 3.0 (poi evoluta in Bibbia 4.0 e Bibbia 5.0). Quest’ultimo caso, tutto italiano, ha permesso la costruzione di un enorme inventario di scatti, spesso pedo-pornografici, e di video-porno amatoriali che circolano in rete, raccolti (e spesso corredati dei dati personali delle vittime), per essere scrupolosamente archiviati in categorie specifiche e servire al meglio i gusti, anche i più raccapriccianti, dei fruitori (fra le inchieste giornalistiche cfr. Di Fazio, 2017; Giuliani, 2019).

9

Il reato di revenge porn solo da poco è stato introdotto in Italia con la Legge n. 69 del 19 luglio 2019, denominata Codice Rosso. Oltre alle novità in ambito procedurale, fra cui un’accelerazione per l’avvio del procedimento penale per alcuni reati (fra cui: maltrattamenti in famiglia, stalking, violenza sessuale), e altri provvedimenti di protezione delle vittime, la legge in questione inserisce quattro nuovi reati: il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate (cd. revenge porn); il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso; il reato di costrizione o induzione al matrimonio; il reato di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

10

Circa il 61% delle donne dice che le molestie online sono un problema importante. Al contrario, il 61% degli uomini che sono stati molestati online dice di essere rimasto per niente o poco turbato dall’incidente più recente (Pew, 2021).

11

Già nel 2017 la probabilità che una donna dichiari di aver subito molestie sessuali online era più del doppio rispetto a quella degli uomini (21% vs. 9%). E tra i giovani adulti – tra 18 e 24 anni – questa probabilità era tre volte più elevata per le donne (20% vs. 6%) (Pew, 2017). In un’indagine precedente che ha coinvolto più di 9000 utenti di Internet tedeschi di età compresa tra 10 e 50 anni, le donne erano notevolmente più suscettibili rispetto agli uomini di essere vittime di molestie sessuali online e di comportamenti persecutori perpetrati attraverso mezzi informatici (cyberstalking). Anche in questo caso le ripercussioni di queste forme di violenza risultavano più traumatiche per le vittime di sesso femminile (EIGE, 2017).

12

Ovviamente questo non significa che in alcuni casi le soluzioni tecnologiche non possano avere una certa utilità. Molte applicazioni antiviolenza a carattere informativo, di tracciamento o di emergenza si sono rivelate utili, anche se non abbiamo dati sufficienti a suffragarne l’efficacia.

13

Nel Metaverso, che si avvia a diventare il nuovo habitat dell’interazione digitale, secondo i risultati di una survey condotta da McKinsey (Alaghband e Yee, 2022) pare siano le donne a trascorrere un numero superiore di ore online; contemporaneamente esse si mostrerebbero propense a utilizzi ibridi che comprendono allenamenti, lezioni, partecipazione a eventi dal vivo e shopping online tramite tecnologie AR/VR. Gli utenti maschi, al contrario, prediligerebbero utilizzi specifici, fra cui il gaming, il trading di criptovalute e la partecipazione agli eventi virtuali.

14

È stato evidenziato, per esempio, come le funzionalità della nota piattaforma di messaggistica Telegram svolgano un ruolo decisivo nel sistematizzare e amplificare la diffusione non consensuale di immagini intime e, di conseguenza, nel perpetuare la violenza di genere online (Semenzin e Bainotti, 2020). L’anonimato, la scarsa regolamentazione e la possibilità di creare legami omosociali maschili, offrirebbero incentivi alla creazione di ambienti in cui le molestie divengono normalizzate e la responsabilità maschili minimizzate (ibidem).

15

Forme di maschilità co-prodotte all’interno dei pubblici digitalmente connessi (Light, 2013) che giocano un ruolo cruciale nel plasmare, negoziare e reificare alcuni modelli di maschilità e che alimentano la perpetuazione di atteggiamenti sessisti e misogini (Cannito e Mercuri, 2022).

  • Articolo
  • pp:225-242
  • DOI: 10.1485/2281-2652-202426-12
Indice

Archivio della rivista