AIS

2012/0

Dinamica e prospettive del reclutamento nel sistema universitario italiano (The Dynamics and Outlook of Recruitment in the Italian University System), di Paolo Rossi


L’evoluzione della docenza nelle università italiane negli ultimi 40 anni è analizzata dal punto di vista quantitativo, individuando le tendenze di lungo periodo relative al numero annuo dei reclutati, all’età media di ingresso, di promozione e di uscita, alla dipendenza dall’area disciplinare e dal genere. Sulla base delle tendenze evidenziate e della nuova normativa sono effettuate proiezioni relative ai prossimi due cicli triennali.

The Dynamics and Outlook of Recruitment in the Italian University System

The evolution of the teaching body in Italian universities over the last 40 years is analysed from a quantitative point of view. Long term trends are identified with regard to the number of lecturers recruited yearly, the average age at recruitment, career advancement and retirement, and factors linked to discipline and gender.  Forecasts for the next two 3-year cycles are made, based on the joint effect of the long term trends and the new legislation.

1. La necessità di un’analisi di lungo periodo

Il sistema universitario italiano ha subito nel corso degli ultimi decenni numerose trasformazioni di natura qualitativa e quantitativa, alcune delle quali hanno avuto certamente carattere epocale, segnando il passaggio dall’università elitaria all’università di massa e da un regime rigidamente centralistico a una (relativa) autonomia amministrativa e gestionale.

Per una comprensione effettiva delle dinamiche anche profonde che operano nel sistema e che molto presumibilmente continueranno in un modo o nell’altro ad operarvi, non è quindi certamente sufficiente un’analisi di breve periodo, né tanto meno potrà bastare l’esame delle modifiche normative recentemente introdotte. Alcuni elementi strutturali, anche di natura quantitativa, hanno un carattere così stabile nel tempo da indurre il legittimo sospetto che il sistema riuscirà a sviluppare meccanismi di retroazione capaci di mantenere, o almeno di ripristinare a medio termine, quelle caratteristiche che sono evidentemente funzionali al sistema stesso, anche indipendentemente dalle scelte soggettive di chi lo dirige e di chi vi opera.

Un esempio per tutti varrà ad illustrare l’assunto di questa premessa. Per un periodo molto lungo (più di un cinquantennio), la crescita del numero dei professori ordinari appare correlata alla crescita del numero totale degli studenti, che tuttavia si riflette sul numero dei professori con un ritardo temporale valutabile all’incirca in sei anni. In altri termini, il rapporto tra il numero degli ordinari in servizio negli atenei italiani in un determinato anno accademico e il numero totale degli studenti iscritti all’università sei anni prima si mantiene all’incirca costante nel tempo, oscillando tra 1:90 e 1:110. La correlazione risulta imperfetta soprattutto a causa dell’andamento erratico dei concorsi universitari, per cui dopo il 1980 il valore di riferimento, pressappoco pari a un ordinario ogni cento studenti iscritti, viene raggiunto e superato solo a salti, in ovvia corrispondenza con le scadenze concorsuali.

Questa correlazione tuttavia scompare nell’ultimo quinquennio, nel quale alla stabilità numerica del corpo studentesco corrisponde invece una riduzione tendenziale del numero degli ordinari. A fronte di circa 1.800.000 studenti iscritti (un valore stabile ormai da quasi un decennio), il numero dei professori di prima fascia è passato dai circa 20.000 del 2006 ai circa 15.000 del 2012 e, inoltre, nel prossimo quinquennio, gli ordinari andranno in pensione al ritmo di un migliaio all’anno, mentre non è certamente prevedibile un reclutamento di dimensioni paragonabili.

Da un lato, i dati demografici suggeriscono la possibilità di una riduzione del numero degli studenti iscritti nel corso dei prossimi anni e, dall’altro, le indicazioni della normativa più recente spingono verso un forte contenimento del reclutamento nella fascia degli ordinari. In ogni caso, appare a nostro avviso molto probabile che il sistema universitario, nel medio periodo, tenderà a ritrovare un equilibrio nel rapporto tra le dimensioni della domanda di formazione cui deve dare risposta e quelle del suo nucleo dirigente, su valori non troppo lontani da quelli storici, che peraltro sono caratteristici anche di altri sistemi universitari europei, pur nell’ampiamente differenziata articolazione dei modelli organizzativi.

L’analisi di lungo periodo qui presentata si fonda su un’ampia base documentaria, che per gli anni dal 1971 al 1987 consiste nei Ruoli di anzianità del personale insegnante e negli Annuari delle università prodotti dal Ministero della Pubblica Istruzione. Si tratta purtroppo di una collana intrinsecamente incompleta per l’erraticità delle date di pubblicazione, mediamente distanziate tra loro di tre anni e per una certa inattendibilità dei dati relativi al periodo successivo al 1980. La documentazione successiva al 1987 si basa invece sostanzialmente sui dati CINECA e su quelli dell’Ufficio di Statistica del Ministero, e rappresenta certamente una fonte più solida e accurata.

2. L’evoluzione quantitativa della docenza e la crescita dell’età media

Al di là delle considerazioni specificamente focalizzate sulla fascia degli ordinari, occorre, più in generale, prendere in esame i dati quantitativi relativi al complesso della docenza e alle sue diverse fasce, tenendo conto dell’esistenza di un vero e proprio tornante segnato dagli effetti del D.P.R. 382 del 1980, con il quale numerose posizioni precedentemente caratterizzate da rapporti contrattuali a termine (professori incaricati, assegnasti e borsisti) furono trasformate in posizioni di ruolo (professori associati, ricercatori), mentre fu posto a esaurimento l’antico ruolo degli assistenti.

Nel 1971, il numero dei professori ordinari superava di poco i 3500, a fronte di oltre 6500 incaricati e soprattutto di oltre 25.000 soggetti indicati come «altro personale insegnante». Nel 1981, quando il numero degli ordinari era nel frattempo già salito a 9000, furono immessi in ruolo con la prima tornata dei giudizi d’idoneità circa 12.000 associati e altrettanti ricercatori, cui si aggiunsero rapidamente, nel giro di tre anni, altri 3000 associati e un pari numero di ricercatori per effetto della seconda tornata di idoneità, per un totale di oltre 40.000 soggetti qualificabili, seppure a vario titolo, come personale docente.

Nel successivo trentennio si è verificata una crescita pressoché lineare del numero dei ricercatori, a un ritmo superiore al 3% annuo, fino a raggiungere gli attuali 25.000, valore che rappresenterà un massimo storico in quanto il ruolo è stato posto definitivamente a esaurimento nel 2011, con l’accompagnamento di un piano straordinario per favorire il passaggio di un buon numero degli attuali ricercatori nella fascia dei professori associati. La crescita degli associati, trattandosi di un ruolo di transito, è stata più moderata, fino a un massimo di 19.000 nel 2006, ed è stata seguita da una decrescita fino agli attuali 16.500, anche se la tendenza dovrebbe invertirsi rapidamente per effetto del suddetto piano straordinario. Vedremo più avanti quale scenario potrebbe determinarsi nei prossimi anni a partire da queste premesse.

La differenza di stato giuridico (e quindi i differenti diritti e doveri) di professori e ricercatori suggerisce di valutare anche l’andamento temporale cumulativo del numero dei professori come un dato intrinsecamente significativo. Il totale dei professori, dopo aver superato la soglia dei 30.000 all’inizio degli anni Novanta, si è mantenuto stabile per un decennio intorno a tale valore, per poi impennarsi rapidamente a partire dall’anno 2000 fino a raggiungere in poco più di un quinquennio la quota di quasi 39.000, e in seguito ridiscendere altrettanto rapidamente sotto i 32.000 (dato 2012). Le stime più attendibili sembrano indicare che tale valore resterà sostanzialmente stabile nel corso del prossimo quinquennio.

Per effetto della fase di espansione del sistema universitario, le coorti più anziane sono state a lungo meno popolate di quelle più giovani e, di conseguenza, il flusso annuale in uscita è stato per molto tempo più scarso di quello in transito da uno scaglione d’età al successivo, mentre il flusso in entrata si è presto tendenzialmente stabilizzato. Di conseguenza, le fuoriuscite non potevano compensare il naturale invecchiamento del personale già in servizio, almeno fin quando non si fosse raggiunta una situazione a regime, con l’equilibrio dei flussi in entrata, in transito e in uscita. Pertanto, per molti anni l’età media è andata crescendo costantemente in tutte le fasce.

L’età media dei ricercatori, che nei primi anni Ottanta era di poco superiore ai 35 anni (anche perché era stata reclutata di fatto una singola generazione) è andata salendo fino all’attuale valore di 45 anni, anche perché il passaggio alla fascia degli associati non è stato affatto generalizzato

L’età media degli associati, inizialmente intorno ai 45 anni, è cresciuta più lentamente per poi stabilizzarsi intorno ai 53 anni, trattandosi appunto di una fascia di transito. Analogo è stato l’andamento dell’età media degli ordinari, che dall’iniziale valore di circa 52 anni è salita fino all’attuale valore, relativamente stabile, ma comunque prossimo ai 60 anni.

3. Condizionamenti di area disciplinare e di genere sull’evoluzione della docenza

Nell’esame degli effetti dovuti alla differenza tra le aree disciplinari, per evitare che un’analisi troppo disaggregata renda poco leggibili i risultati, è sembrato opportuno raggruppare le discipline in sei grandi macroaree relativamente omogenee, e così definite e composte:

· Scienze Esatte e Naturali (Matematica, Informatica, Fisica, Chimica, Geologia)

· Scienze della Vita (Biologia, Agraria, Veterinaria)

· Medicina

· Ingegneria (Civile, Industriale, dell’Informazione)

· Scienze Umane (Lettere, Lingue, Storia, Filosofia, Psicologia)

· Scienze Sociali (Giurisprudenza, Economia, Scienze Politico-Sociali)

Per le caratteristiche delle basi di dati disponibili, un’analisi dettagliata è stata possibile soltanto per l’ultimo quindicennio, quando tutti i docenti sono stati ripartiti in settori scientifico-disciplinari.

Le dimensioni delle sei macroaree risultavano inizialmente abbastanza confrontabili, andando dai circa 7000 docenti delle Scienze della Vita e dell’Ingegneria ai circa 8000 delle Scienze Sociali e agli oltre 9000 delle altre tre macroaree (dati del 1996).

La successiva evoluzione è stata, per quattro macroaree su sei, sostanzialmente omogenea, con una crescita importante intorno al 2000 e una decrescita negli ultimi anni, ma con il mantenimento del peso relativo all’interno del sistema universitario. Le due importanti eccezioni sono rappresentate dalla mancata crescita dell’area delle Scienze Esatte e Naturali (che passano dal 18,5% al 16,5% del sistema) e dall’impennata delle Scienze Sociali che, grazie a una continua e forte crescita dal 2000 al 2007, partendo dal 15,5% hanno ormai raggiunto il primo posto per dimensioni nel sistema universitario, con circa 11.000 docenti (19,5%) nel 2012. Seguono (al 17,5%) le Scienze Umane e la Medicina con circa 10.000 docenti ciascuna, poi nell’ordine le Scienze Esatte e Naturali, l’Ingegneria (15%) e le Scienze della Vita, che restano ultime con meno di 8000 docenti (pari al 13,7% dell’intero sistema).

Un altro, e ancor più importante, elemento di squilibrio nella distribuzione e nell’evoluzione della docenza si riscontra nella dipendenza dal genere. Il primo dato disponibile che consente un confronto della composizione per genere tra le diverse fasce della docenza è quello del 1986, quando la percentuale delle ricercatrici era di poco superiore al 40%, mentre nella fascia degli associati la presenza femminile era del 23% e in quella degli ordinari si riduceva addirittura all’8%. La situazione del 1996 mostrava ancora un notevolissimo sbilanciamento, con le ricercatrici stabili al 40%, le professoresse di II fascia salite al 26% e le professoresse di I fascia all’11%.

Nel decennio successivo la percentuale delle ricercatrici ha ripreso a salire ma, una volta raggiunto (intorno al 2005) il livello del 45%, la crescita sembra ormai cessata da almeno sette anni.

La crescita nelle due fasce dei professori nell’ultimo quindicennio è stata più significativa (anche per il basso livello dei valori di partenza), ma con ritmi che fanno prevedere tempi ancora molto lunghi, prima del raggiungimento di una relativa parità. I livelli attuali sono infatti del 35% per la seconda fascia, con un evidente rallentamento della crescita nell’ultimo quinquennio e del 21% per la prima fascia, che cresce costantemente ma al ritmo irrisorio dello 0,6% annuo, che richiederebbe un altro cinquantennio per il raggiungimento dell’equilibrio.

Un’analisi scomposta per aree disciplinari mostra che all’origine dello squilibrio ci sono anche forti condizionamenti culturali che rendono l’accesso femminile molto differenziato a seconda delle discipline. La differenza è già forte nella fascia dei ricercatori, dove si va dal 57% di presenze femminili nelle Scienze Umane e nelle Scienze della Vita al 28% nell’area di Ingegneria, e diventa ancora più marcata tra gli ordinari dove si passa dal 37% delle Scienze Umane al 16% delle Scienze Esatte e Naturali, al 13% della Medicina e al 10% dell’Ingegneria.

4. L’evoluzione quantitativa del reclutamento

L’andamento annuale del reclutamento riflette necessariamente il carattere erratico delle scadenze concorsuali, in particolare per la fascia degli ordinari (dopo i concorsi conclusi nel 1986, nel 1990 e nel 1994, si ebbe una lunga interruzione fino al 2000, quando decollò la riforma avviata dalla legge 210 del 1998, che introdusse le abilitazioni) e in quella degli associati (le tre tornate concorsuali nazionali si conclusero rispettivamente nel 1987, nel 1992 e nel 1998). Sono evidenti anche gli effetti dei blocchi al reclutamento, con motivazioni prevalentemente finanziarie (nel 2003-2004, poi di nuovo a partire dal 2008 per le sole fasce dei professori). Si nota invece una certa regolarità dei comportamenti, sia nel tempo che nella proporzione tra le fasce, nei (brevi) periodi in cui il sistema ha potuto operare in condizioni di relativa autonomia. Ben diversi sono, invece, gli esiti dell’analisi quando si concentri l’attenzione sull’andamento del reclutamento iniziale e dei passaggi di fascia in relazione alle coorti anagrafiche.

Il reclutamento dei ricercatori nel 1980 per effetto del D.P.R. 382 ha tutte le caratteristiche tipiche di un processo che coinvolge una singola generazione: i valori si concentrano su una o poche coorti, con una rapidissima decrescita nelle classi d’età più giovani o più anziane. Viceversa, il reclutamento nel successivo venticinquennio, se riferito alla distribuzione per coorti, appare molto regolare e la dipendenza dall’età può essere descritta con grande accuratezza da una distribuzione di Gompertz (Rossi 2007), sulla cui base è possibile calcolare un valore di plateau intorno ai 1700 reclutati per coorte, fatto salvo il picco lievemente anomalo delle coorti nate intorno al 1965 e la riduzione anomala del reclutamento nelle coorti più giovani, fenomeno da ricondursi probabilmente all’esigenza di assorbire l’eccesso di soggetti inseriti nel sistema universitario con profili precari (assegnisti, borsisti, docenti a contratto) nel primo decennio di questo secolo, con una dinamica pericolosa che purtroppo ricorda quanto già avvenuto negli anni Ottanta del secolo scorso.

Il reclutamento degli associati avvenuto per effetto del citato D.P.R. 382 mostra una lunga coda nelle coorti più anziane (presumibilmente per effetto delle cosiddette «stabilizzazioni») e una rapidissima decrescita per le coorti nate dopo il picco del 1947 (ovvia conseguenza della normativa che definiva gli aventi titolo all’idoneità). Il reclutamento a regime degli associati esibisce invece le caratteristiche di regolarità già riscontrate per i ricercatori, con un valore di plateau intorno ai 1200 reclutati per coorte, fatto salvo il deficit di reclutamenti per i nati nella prima metà degli anni Cinquanta, conseguenza ineludibile del lungo periodo intercorso tra la fase delle idoneità e l’attivazione dei primi concorsi post-382. Il profilo dei reclutamenti relativi alle coorti più giovani appare poi connotato da una relativa stabilità temporale, indice di un funzionamento abbastanza buono dei meccanismi di feedback interni al sistema.

Il profilo del reclutamento per coorte degli ordinari nel periodo antecedente gli importanti effetti del D.P.R. 382 appare abbastanza regolare, con valori massimi caratterizzati da una moderata crescita dovuta all’espansione del corpo docente. La distribuzione post-382 è invece segnata dalla comparsa di un elevatissimo picco anomalo in corrispondenza delle coorti nate intorno al 1947. Tale picco riflette il corrispondente picco di reclutamento nelle fasce inferiori per effetto delle idoneità e la successiva carriera accademica di un numero percentualmente ragionevole, ma complessivamente troppo elevato, di soggetti idonei. Depurata dai valori di picco (e dai valori troppo ridotti per le coorti nate nei primi anni Cinquanta, già segnalati per gli associati), la distribuzione sembra indicare un valore di plateau tendenziale prossimo agli 800 reclutati per coorte.

Questi dati indicano chiaramente la presenza di tendenze strutturali che, non essendo legate né a disposizioni normative né all’entità delle risorse finanziarie disponibili nel breve periodo, devono essere considerate come caratteristiche relativamente permanenti del sistema e quindi come parametri rilevanti anche per le prospettive del futuro reclutamento. In particolare ne discende il fenomeno empiricamente verificato per cui se il reclutamento annuale in una fascia risulta inferiore al valore atteso dal sistema l’età media d’ingresso nella fascia s’innalza proporzionalmente all’entità della riduzione, mentre accade ovviamente il contrario in caso di reclutamento superiore alla media.

5. L’andamento dell’età media al reclutamento

La crescita dell’età media al reclutamento è, come si è visto, una conseguenza inevitabile del disallineamento tra i valori medi tendenziali del reclutamento per coorte e i valori medi del reclutamento annuale, in quanto la frazione dei non reclutati di ciascuna coorte nell’anno di pertinenza si scarica sull’anno successivo aumentando l’età media dei nuovi reclutati.

L’innalzamento dell’età d’ingresso nella fascia dei ricercatori, anche depurato dai picchi anomali dovuti al reclutamento degli ex-tecnici laureati, è di circa sette anni in un trentennio, a partire dai circa 30 anni dei primi anni Ottanta. Lievemente minore è l’effetto nella fascia degli associati, in cui si passa dai circa 41 anni del 1980 ai circa 45 del 2011. Importante invece la crescita dell’età di reclutamento degli ordinari, che nel 1980 superava di poco i 43 anni mentre nell’ultimo decennio si è ormai stabilmente attestata sopra i 50 anni.

Relativamente stabile è invece l’ampiezza dell’intervallo temporale intorno all’età media entro il quale si colloca la stragrande maggioranza dei reclutati. Questo intervallo arriva a circa cinque anni sopra e sotto la media nel caso dei ricercatori e degli associati, ed è un poco più largo (circa sette anni) per l’accesso alla fascia degli ordinari.

L’analisi dell’età media al reclutamento disaggregata per aree mostra importanti differenze, che si riflettono sistematicamente nelle diverse fasce della docenza e che permangono sostanzialmente inalterate nel tempo, pur nel quadro di una comune deriva verso l’alto. La differenza, in ciascuna fascia, è quantificabile in circa tre anni (al massimo) al di sopra o al di sotto della media generale.

Le aree che vedono il reclutamento più precoce sono le Scienze Esatte e Naturali (salvo che per gli ordinari), l’Ingegneria e le Scienze Sociali. Il reclutamento più tardivo si ha invece nelle aree delle Scienze Umane e della Medicina.

La distribuzione della durata del periodo di permanenza in ciascun ruolo prima della promozione alla fascia superiore (riferita ovviamente solo ai soggetti che hanno avuto almeno una promozione) segue un andamento del tutto analogo, anche sul piano quantitativo, sia per il passaggio da ricercatore ad associato, sia per il passaggio da associato a ordinario.

Il valore medio della durata di tale permanenza è in entrambi i casi di circa dieci anni, ma questo dato non è molto significativo in quanto le relative distribuzioni sono fortemente asimmetriche ed esibiscono una regione di plateau compresa tra i 4 e i 9 anni di permanenza, entro la quale si colloca la maggioranza dei promossi. Il valore indicato dalla media armonica (media delle velocità di transito), che è in questi casi un indicatore più appropriato da un punto di vista statistico, risulta compreso tra i 6 e i 7 anni.

Il profilo demografico complessivo della docenza (che a regime dovrebbe rimanere immutato nel tempo) mostra invece una significativa evoluzione dovuta soprattutto allo spostamento del picco prodottosi nei primi anni Ottanta per effetto del D.P.R. 382 e del progressivo maggior popolamento delle fasce d’età più elevate (con l’innalzamento dell’età media dei docenti).

Fatto salvo quanto già osservato, il fenomeno più significativo si evidenzia dall’analisi del segmento della distribuzione compreso tra i 25 e i 35 anni d’età. Tale segmento mantiene sempre la stessa forma, come ci si dovrebbe aspettare, per le cinque rilevazioni che vanno dal 1986 al 2006, ma la distribuzione si sposta marcatamente verso l’alto nel profilo riferito al 2011, indicando per l’ultimo quinquennio un crollo del reclutamento nella fascia più giovane che non era mai avvenuto nel ventennio precedente, a fronte della creazione di un picco di docenti di età intorno ai 45 anni, potenziale fonte di futuri squilibri.

6. L’andamento dell’età media al pensionamento

L’età media al pensionamento, sia per gli ordinari sia per gli associati, risulta sostanzialmente stabile negli ultimi quindici anni, per lo meno fino ai più recenti interventi legislativi in materia.

La situazione dei ricercatori è inevitabilmente diversa, in quanto riflette la composizione anagrafica della fascia, che è andata evolvendo costantemente a partire dalla già descritta condizione iniziale di concentrazione su poche ben individuate coorti.

In tutti i casi, i valori dell’età media al pensionamento rilevati nel periodo immediatamente antecedente il 2010 (70 anni per gli ordinari, 65 anni per gli associati e 61 per i ricercatori) stanno a indicare un’anticipazione media di circa 5 anni rispetto all’età massima prevista dalle norme.

Anche se presumibilmente ridotta in futuro a causa delle modifiche legislative in materia, tale anticipazione appare come un dato strutturale di cui occorre tener conto nelle proiezioni.

I dati relativi all’entità dei pensionamenti mostrano quasi costantemente un andamento regolare, caratterizzato da una moderata crescita legata alle caratteristiche demografiche della docenza.

La singolarità relativa all’anno 2010 è dovuta a improvvidi interventi di legge il cui (forse imprevisto) effetto cumulativo è stato la simultanea quiescenza di cinque coorti di docenti.

Sul piano quantitativo si deve notare che, mentre fino all’ultimo quinquennio il pensionamento degli associati era allineato a quello degli ordinari, e circa doppio di quello dei ricercatori, negli anni più recenti (e nel prossimo futuro) il pensionamento degli associati è in linea con quello dei ricercatori, mentre quello degli ordinari è circa doppio. I valori più recenti, e quelli proiettati per il prossimo quinquennio (ipotizzando un’anticipazione media di due anni), sono di circa 500 pensionamenti annuali per associati e ricercatori, e circa 1000 pensionamenti annuali di ordinari.

7. Proiezioni e prospettive

Le proiezioni per il reclutamento (annuale) nei prossimi sei anni devono necessariamente basarsi:

· sull’analisi delle proiezioni per il pensionamento,

· sulle tendenze strutturali del sistema, e in particolare sulla stima dei valori di plateau per il

· reclutamento annuale nelle diverse fasce,

· sui possibili effetti della nuova normativa per la programmazione universitaria introdotta con i

· recenti decreti legislativi,

· su una valutazione degli effetti del piano straordinario per il reclutamento di associati.

Come si è visto, le proiezioni per il pensionamento, effettuate ipotizzando un’età media alla data del pensionamento inferiore di circa due anni all’età fissata dalla legge per la quiescenza (70 anni per i professori e 65 anni per i ricercatori), sono sostanzialmente stabili per i prossimi sei anni.

Dopo il 2018, il numero dei pensionamenti e, quindi, l’entità delle risorse liberate, è destinato a scendere progressivamente, per il minor popolamento delle coorti dei professori e in particolare per l’esaurimento della fascia dei ricercatori a tempo indeterminato.

Sulla base delle tendenze strutturali, si può ipotizzare che, nella fascia degli ordinari, l’età media d’ingresso resti prossima al valore attuale di 50 anni e che il numero annuo (per coorte) di reclutati si stabilizzi a circa 700-750. Per gli associati l’età di reclutamento nella fascia sembra invece destinata ad abbassarsi per la messa a esaurimento dei ricercatori a tempo indeterminato (la cui età media d’ingresso è attualmente 37 anni) sostituiti da ricercatori a tempo determinato di tipo b) che dovranno essere assunti (o espulsi) entro tre anni, per cui appare ragionevole ipotizzare per il futuro un’età media d’ingresso intorno ai 40 anni (anche per il limite di 12 anni imposto come durata massima delle posizioni a tempo determinato, da sommarsi all’età media di 28-29 anni per il conseguimento del dottorato). Il numero annuo di reclutati dovrebbe essere di circa 1200.

L’insieme delle considerazioni precedenti permette di disegnare un possibile profilo demografico virtuale a regime: circa 1200 professori per coorte distribuiti su circa 30 coorti corrispondono a un totale di 35.000-36.000 professori, dei quali circa 700 per circa 20 anni (ossia circa 14.000) nella prima fascia. Si noti che in questo schema la proporzione degli ordinari sul totale dei professori sarebbe prossima al 40%. Dovrebbero inoltre essere presenti nel sistema oltre 4000 ricercatori di tipo b), per un totale di circa 40.000 docenti.

I vincoli normativi possono essere raggruppati in due grandi categorie: limiti di spesa e vincoli sulla tipologia dei reclutati. I limiti di spesa saranno articolati a seconda della situazione finanziaria degli atenei. Nella grande maggioranza dei casi, e salvo sporadiche eccezioni, la possibilità di investire nel reclutamento si attesterà tra il 20% e il 50% del turnover.

Assumendo un valor medio del reclutamento nel primo triennio pari al 25% del turnover, poiché il costo del personale al momento del reclutamento è all’incirca del 30% inferiore al costo medio, è plausibile stimare che a un risparmio annuo da turnover superiore al 5% della spesa complessiva per personale docente potrà corrispondere una spesa effettiva per reclutamento inferiore all’1% della spesa per cui, se per tutto il triennio permarrà il blocco degli scatti stipendiali (corrispondenti in media a un aumento annuo della spesa pari al 2%), si potrà avere nello stesso periodo una riduzione importante (superiore al 10%) della spesa per personale docente.

Di conseguenza nel secondo triennio, se non diminuiranno i finanziamenti complessivi al sistema universitario, un grande numero di atenei potrebbe trovarsi nella categoria per la quale la spesa per reclutamento è autorizzata fino al 50% del turnover.

Il secondo gruppo di vincoli riguarda la distribuzione tra le fasce e la provenienza. In primo luogo sarà definito il rapporto massimo tra il numero degli ordinari e il totale dei professori. Anche se tale rapporto dovesse a regime attestarsi intorno al 40% si tratterebbe di un obiettivo, come si è visto, facilmente raggiungibile per molti atenei nell’arco di un triennio, anche risulterebbe molto problematico per gli atenei nei quali tale rapporto è oggi superiore al 50%.

Il numero dei ricercatori di tipo b) reclutati in un dato periodo non dovrà risultare inferiore al numero dei professori ordinari assunti nello stesso periodo. Il numero dei ricercatori abilitati che potranno essere reclutati nella fascia degli associati mediante chiamata diretta non potrà superare il 50% del totale degli associati reclutati. Infine, la percentuale di reclutamento da effettuarsi esternamente all’ateneo non dovrà risultare inferiore al 20% del reclutamento (numerico) totale.

Il piano straordinario ha validità triennale e, prescindendo dai tecnicismi relativi alla distribuzione temporale delle risorse, corrisponde in sostanza alla disponibilità di 80 milioni di euro annui per tre anni da destinarsi al reclutamento di associati. Tenuto conto del fatto che almeno il 20% dei posti dovrà essere destinato a esterni, il costo medio dei reclutamenti sarà del 50% più elevato di quello di una promozione interna, per cui le risorse disponibili corrispondono a circa 2000 reclutamenti annui nella fascia degli associati (di cui almeno 400 esterni all’ateneo reclutante).

Il piano straordinario inciderà significativamente, ma in misura ancora non decisiva, sull’ampiezza numerica della fascia dei ricercatori a tempo indeterminato. Poiché il numero attuale dei ricercatori (inclusi gli ultimi concorsi ancora in corso) è di circa 25.000, l’effetto cumulativo di pensionamenti e promozioni porterà tale numero nell’arco di un triennio a circa 17.500, una quantità tale da esercitare un condizionamento ancora importante, nel secondo triennio, sulle reali prospettive di reclutamento, nella fascia degli associati, per i ricercatori a tempo determinato di tipo b) reclutati nel primo triennio, il cui numero dovrà quindi necessariamente contenuto per evitare colli di bottiglia di cui i ricercatori a tempo determinato sarebbero inevitabilmente le prime vittime, tenuto conto anche del fatto che solo il 50% dei reclutamenti potrà avvenire per chiamata diretta, e per gli altri sarà inevitabile la competizione tra vecchi e nuovi ricercatori.

Sulla base di queste premesse è possibile ipotizzare uno scenario abbastanza realistico per i reclutamenti del prossimo triennio accademico.

Le risorse spendibili dovranno essere utilizzate per coppie ordinario–ricercatore tipo b). Tenuto anche conto dei vincoli sulla chiamata di esterni, si può ipotizzare che verranno reclutati ogni anno, per il triennio 2012-2015, circa 500 professori ordinari e poco più di altrettanti ricercatori di tipo b) (un numero che pare abbastanza compatibile con le prospettive di reclutamento degli stessi come associati nel triennio successivo 2015-2018).

Nel contempo, come si è detto, ogni anno circa 2000 tra gli attuali ricercatori di ruolo dovrebbero passare alla fascia degli associati. Al temine del prossimo triennio, lo scenario della docenza potrebbe essere quindi il seguente: circa 13.500 ordinari, circa 19.500 associati, circa 17.500 ricercatori di ruolo e circa 1500 ricercatori di tipo b). Il numero totale dei professori (33.000) sarebbe ancora inferiore a quello ipotizzato a regime sulla base del modello sopra discusso, mentre la percentuale degli ordinari, a livello di sistema, sarebbe già molto prossima al 40%.

La prospettiva per il secondo triennio è invece assai complessa e le valutazioni quantitative sono difficili perché esiste un’evidente discrepanza tra le risorse presumibilmente disponibili ogni anno e quanto necessario per promuovere 700 associati a ordinario e almeno 1500 ricercatori ad associato (tenendo conto anche del backlog nelle coorti più giovani e del persistente deficit di professori) e per reclutare almeno 1500 nuovi ricercatori di tipo b), tenendo conto delle possibili perdite per mancata abilitazione nella fase del passaggio in ruolo.

Il deficit di risorse risulta, anche nelle ipotesi moderatamente ottimistiche sulla cui base si è svolto fin qui il ragionamento, non inferiore a un terzo del fabbisogno, ed è destinato ad aggravarsi nel tempo per la riduzione dei pensionamenti, per il progressivo esaurimento dei ricercatori di ruolo e per un eventuale vincolo permanente del 50% nell’utilizzo del turnover.

Sembrerebbe quindi necessario un intervento su almeno due punti-chiave: la definizione di un secondo piano straordinario per il triennio 2015-18 per garantire adeguati sbocchi ai ricercatori abilitati e raggiungere un numero adeguato di professori, e l’eliminazione del vincolo del 50% nell’uso del turnover, che se mantenuto produrrebbe una costante riduzione del totale dei docenti.

Riferimenti bibliografici

Ministero della Pubblica Istruzione (1971), Ruoli di anzianità del personale insegnante delle università e degli istituti superiori d’istruzione, Roma.

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  • Articolo
  • pp:159-171
  • DOI: 10.1485/AIS_0_2012/FOCUS_2
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