AIS

2012/0

La fiducia dei cittadini europei in una moneta senza Stato (The Confidence of European Citizens in a Currency without a State), di Fiammetta Corradi


A partire dalle intuizioni di G. Simmel (1900) sul tradizionale, virtuoso “doppio legame” tra Moneta e Stato, si esamina e si indaga un fatto sociologicamente sorprendente – confermato, almeno fino alla fine del 2011, dai sondaggi d’opinione condotti da Eurostat per la Commissione Europea, ovvero la resistenza del supporto all’euro da parte dei cittadini europei nel corso della crisi economico-finanziaria. Nonostante il carattere esplorativo dell’analisi, se ne ricava, soprattutto con riferimento al caso italiano, l’impressione dell’esistenza di qualche nesso tra la fiducia riposta in alcune istituzioni europee (con l’eccezione significativa di quella riposta nella Banca Centrale Europea, fortemente corrosasi negli ultimi anni) e la “sfiducia” nelle istituzioni politiche nazionali (Governo e Parlamento): un nesso che, tra l’altro, sembra diventare sempre più forte nel corso della crisi economico-finanziaria. Infine si propongono alcune considerazioni e congetture, prefigurando alcuni possibili percorsi di ricerca che potrebbero eventualmente permettere di comprendere più a fondo la resistenza della fiducia dei cittadini europei in una moneta “acefala”.

The Confidence of European Citizens in a Currency without a State

Building on Georg Simmel’s insights about the traditional and virtuous «double bind» between Money and State (1900), the essay questions and analyses the enduring popularity of the Euro throughout the current economic crisis, a situation confirmed (at least up till the end of 2011) by the surveys undertaken by Eurostat for the European Commission. Despite the explorative character of the analysis, the essay shows, with special reference to the Italian case, the existence of some kind of «correlation» between trust in some European Institutions (with the relevant exception of trust in BCE, strongly declined over time) and «distrust» in national political Institutions (Government and Parliament), which moreover seems to get stronger during the crisis. The paper ends with some considerations, a few conjectures and a proposal suggesting potential new avenues of empiric research which can afford more knowledge of such a surprising fact like the almost stable support by European citizens to an a-cephalous common currency.

Introduzione

La gravità della crisi che oggi investe l’economia mondiale ci fa guardare alla scelta di una moneta unica per l’Europa come alla decisione saggia di costruire la casa sulla roccia.Carlo Azeglio Ciampi[1]

Accogliere l’invito di Carlo Azeglio Ciampi a «guardare alla scelta di una moneta unica per l’Europa come alla decisione saggia di costruire la casa sulla roccia» potrebbe sembrare particolarmente difficile oggi, in un momento – aprile 2012 – in cui si moltiplicano e si rincorrono le profezie negative sulla (presunta) incapacità dell’euro di resistere all’onda d’urto della speculazione internazionale, in cui c’è già chi prefigura la necessaria, improrogabile costituzione di una task force per smontare l’intera architettura dell’unione monetaria europea e tornare «ordinatamente» alle valute nazionali[2]. Data l’incertezza che contingentemente avvolge e adombra il destino dell’euro, saggio sembrerebbe piuttosto astenersi da qualsiasi genere di valutazione e, a maggior ragione, di previsione economico-finanziaria; non pare invece eccessivamente temerario avventurarsi in un’analisi e in una discussione del problema della fiducia[3] nell’euro da una prospettiva sociologica.

Come noto, sono ormai numerose le indagini sociologiche (alcune delle quali saranno anche qui ricordate) che analizzano gli atteggiamenti europeisti o euroscettici (talvolta mediante attente problematizzazioni dei vari, possibili indicatori), la complessa questione del senso di appartenenza all’entità sovranazionale «Europa» e l’intera costellazione degli aspetti simbolici di tale auto-riconoscimento identitario, non ultimi quelli legati all’esistenza e all’uso della moneta unica.

Il presente lavoro si concentra invece sul tema più specifico del sostegno dei cittadini europei all’euro, con l’intenzione di esplorarlo da una particolare prospettiva. Anzitutto si proverà ad esaminare e ad esibire, a partire dal pensiero di Georg Simmel (1900), il problema teorico della fiducia in una moneta senza Stato (par. 2). Poi, riferendosi alle principali indagini demoscopiche condotte da Eurostat per la Commissione Europea, si mostreranno alcuni dati relativi al sostegno dei cittadini dell’area euro nella moneta unica, dall’anno della sua introduzione fino al 2011, nonché i dati relativi alla fiducia riposta dai cittadini europei (italiani in particolare) in alcune istituzioni comunitarie e nazionali (par. 3).

I due obiettivi, pur attestandosi a livelli diversi (il primo è prevalentemente teorico, il secondo empirico), si riveleranno alla fine, come conviene subito anticipare, complementari rispetto al tentativo di comprendere un fenomeno sociale che dal punto di vista sociologico dovrebbe apparire sorprendente: ovvero la «resilienza» – qui intesa come tenace resistenza – della fiducia nella moneta unica da parte dei cittadini europei, nonostante la crisi economico-finanziaria e nonostante la natura «acefala» dell’euro.

1. Il problema della fiducia in una moneta senza Stato

Come noto, la crisi finanziaria globale iniziata nel 2007 negli Stati Uniti, successivamente trasformatasi in una crisi del debito sovrano per molti stati europei, ha incentivato alcuni economisti e operatori finanziari a calcolare gli effetti finanziari ed economici di un’eventuale fine dell’euro[4], considerato incapace di sopravvivere ai ripetuti attacchi di una speculazione finanziaria internazionale ancora «sregolata» (Mutti 2008; 2010), nonostante i recenti, gravi precedenti (che tra l’altro hanno portato al fallimento, nell’autunno 2008, la grande banca di investimento americana Lehman Brothers)[5].

Negli ultimi due anni almeno, gli hedge funds (i fondi di investimento speculativi), le grandi banche d’affari di Wall Street sopravvissute alla crisi dei mutui subprime[6], e gli altri attori che si muovono entro la cosiddetta «finanza ombra» (Morris 2008; Roubini e Mihm 2010; Stiglitz 2010) hanno infatti diretto, in più di un’occasione, la loro auri sacra fames laddove erano palesi o si intravedevano crepe e fragilità strutturali, sintomi o evidenze di cedimento entro un’architettura istituzionale afflitta da antichi, ma ancor oggi perduranti disequilibri economici tra nazioni europee (questo è stato senz’altro il caso dell’Irlanda, in parte della Spagna, e meno di Grecia e Italia).

Il comportamento di questo vasto e variegato insieme di attori, che ricorda la pirateria forse ancor più del gioco d’azzardo, non è, almeno dal punto di vista sociologico, particolarmente interessante: non fa che confermare la «miopia» tipica della tecnofinanza, le sue «euforie irrazionali» (Shiller 2000), la sua esaltazione del «tempo breve» (Padoa-Schioppa 2002) a discapito del tempo lungo della crescita economica, la sua preferenza per il «guadagno facile», contro e a discapito della fatica della produzione; ovvero alcuni dei vizi tipici del «finanzcapitalismo» (Gallino 2011).

Ad essere invece sociologicamente interessante è il fatto che questi attori – che altrove ho definito «mercanti di rischio» (Corradi 2012) – abbiano percepito occasioni di guadagno nell’atto di scommettere contro l’euro, che il loro istinto degli affari li abbia condotti a investire sulla dissoluzione di un’unione monetaria priva di politiche economiche e fiscali comuni[7], dotatasi di una moneta nata e cresciuta «orfana di un governo» (De Cecco 2010); con una Banca Centrale de jure priva del diritto di farsi prestatore di ultima istanza (a differenza, per esempio, della Federal Reserve Bank americana); con un Patto di Stabilità e Crescita così rigido da risultare inosservabile in momenti di grave crisi economica perfino per i paesi tradizionalmente più virtuosi di Eurolandia (si veda per esempio il caso olandese).

Pur nella loro miopia economica (e sistemica), i grandi investitori finanziari internazionali – e probabilmente anche le agenzie di rating americane[8] – sembrano avere visto quello che, riferendomi alla Filosofia del Denaro di Simmel, proverò ora a presentare come il problema della fiducia in una moneta senza Stato (par. 2.1). Dell’esistenza di tale problema, del resto, erano ben consapevoli anche i padri fondatori dell’unione monetaria europea, che ciononostante scelsero, per ragioni che verranno qui solo brevemente ricordate, di scommettere sul possibile effetto leva di una moneta comune per costruire l’ Europa unita (par. 2.2.).

1.1 L’interdipendenza tra moneta e stato

Nella sua illuminante analisi del denaro come istituzione pubblica tipica della modernità, come noto, Simmel (1900) identificava la principale condizione non-economica del denaro proprio nella fiducia: fiducia nell’aspettativa che il denaro (materiale «fragile e deteriorabile» nella sua forma cartacea, aggiungerei «invisibile» nelle molteplici forme oggi disponibili per effettuarne transazioni) possa sempre trovare una contropartita in beni concreti. Secondo Simmel, tale fiducia, per essere edificata, rinsaldata e protetta, necessita di istituzioni che la stimolino, la rinnovino e la garantiscano. Agli albori della modernità, tali istituzioni erano, per le singole valute nazionali, gli Stati centralizzati e l’esercizio dei loro monopoli (conio della moneta, esercizio legittimo della forza militare, potere fiscale, potere giuridico…) sui loro rispettivi territori nazionali.

In pagine che oggi converrebbe rileggere con molta attenzione, Simmel affermava anzitutto l’interdipendenza «virtuosa» – la reciproca relazione di sostegno e mutuo legame – tra moneta e stato, sottolineando come, da un lato, «il valore del denaro si basa sulla garanzia fornita dal potere politico centrale (che gradualmente sostituisce la garanzia immediata costituita dal contenuto metallico)» (1900, p. 272); e, dall’altro, che «lo Stato centralizzato moderno si è rafforzato anche grazie all’immenso sviluppo dell’economia monetaria […]. L’autosufficienza delle condizioni feudali fu distrutta dall’introduzione nel commercio della moneta e dal fatto che questa implica un potere centrale […]» (p. 273). Così, per esempio, «quando l’Impero russo era già stato unificato, Ivan III assegnò la sovranità su parti del territorio ai suoi figli più giovani, ma mantenne al potere centrale il diritto di batter moneta e i gradi più elevati dell’amministrazione della giustizia» (p. 273), in questo modo dimostrando di avere ben compreso l’importanza di tale interdipendenza. Allo stesso modo, «i re francesi e inglesi già nel XIII e XIV secolo fondarono l’unità dei loro regni sulla spinta di questa tendenza verso l’economia monetaria» (p. 273).

Non solo. Simmel sosteneva, basando la sua argomentazione su varie evidenze storiche, che «la separazione del potere di battere moneta dal potere centrale va di pari passo con il deprezzamento della moneta stessa» e che «il deprezzamento della moneta contribuì alla dissoluzione e alla decadenza della cerchia più ampia, dalla cui unità essa dipendeva» (p. 274). Così, per esempio, «una delle cause fondamentali della disgregazione dell’Impero Germanico è da ricercarsi nel fatto che gli imperatori tedeschi si lasciarono sottrarre dai principati territoriali questo strumento di centralizzazione (p. 273)».

Spostandosi a più alti livelli di astrazione, Simmel riformulava l’interdipendenza tra moneta e stato in termini simbolici[9]:

In questi fenomeni ha agito probabilmente in qualche modo anche un rapporto puramente formale e simbolico. […]. Mentre la maggior parte degli oggetti viene consumata, scompare nel moto perpetuo e viene sostituita, la moneta non è intaccata da questo movimento delle cose individuali […]. Essa si eleva così al di sopra delle cose, come l’unità oggettiva del gruppo si eleva sulla fluttuazione delle persone che lo compongono. La forma di vita caratteristica di quelle funzioni astratte del gruppo che sono concrete, consiste appunto nel fatto che esse si collocano al di là delle singole realizzazioni di queste funzioni. Sono formazioni stabili nel flusso effimero delle manifestazioni individuali […]. In ciò consiste l’immortalità del re, al di là della sua casuale personalità, dei suoi singoli atti, dei destini mutevoli del gruppo. La relativa eternità della moneta, che porta la sua effigie, ne è in un certo senso il simbolo e la prova (p. 274).

Era quindi già in Simmel l’intuizione – (fino a quel tempo) storicamente validata – che l’interdipendenza «virtuosa» tra moneta e stato fosse il fondamento della fiducia individuale e sociale nel valore del denaro come mezzo generalizzato di scambio. Una interdipendenza su cui l’euro, sin dalla sua nascita, non ha potuto contare.

1.2 La scommessa dei padri fondatori dell’euro

La storia della genesi della moneta unica europea[10] ci ricorda che l’euro nacque da una coraggiosa scommessa, abbracciata tra l’altro con piena consapevolezza dai suoi padri fondatori: dare vita a una moneta comune, prima e in vista della costruzione di istituzioni politiche comuni, per unire l’Europa e garantirle la pace, dopo due devastanti conflitti mondiali che hanno avuto proprio nel cuore del continente europeo il loro epicentro. Come affermò Luigi Einaudi, con parole destinate a rimanere celebri:

La necessità di unificare l’Europa è evidente. Gli Stati esistenti sono polvere senza sostanza. Nessuno di essi è in grado di sopportare il costo di una difesa autonoma. Solo l’unione può farli durare. Il problema non è tra l’indipendenza e l’unione, è fra l’esistere uniti e lo scomparire. (cit. in Castronovo, 2004, pp. 14-15).

Era del resto ben chiaro a quegli stessi padri nobili dell’unità europea che la scommessa di realizzare l’Europa a partire dalla costruzione di una moneta comune fosse tanto necessaria quanto ardita. Altrettanto celebri sono infatti rimaste le parole di Jean Monnet, secondo cui, anche se «l’Europa non è mai esistita […], si deve onestamente provare a crearla»; e quelle di Robert Schuman, pronunziate nel maggio 1950, secondo cui l’Europa non si sarebbe fatta «in un colpo solo né attraverso una costruzione di insieme» (cit. in Castronovo, pp. 23-24). Sia Monnet sia Schuman, comunque, erano convinti che il primo passo da muovere verso l’integrazione europea fosse creare «una solidarietà di fatto», instillando nei (futuri) cittadini europei «lungo la strada, la convinzione dei vantaggi e dei benefici materiali che essi potevano trarre reciprocamente dagli sviluppi del processo di integrazione» (Castronovo, p. 24).

Credo sia comunemente noto che a monte di tale interpretazione funzionalista della moneta unica – tra l’altro, non pienamente condivisa da un altro illustre padre dell’europeismo, Jacques Delors[11] – il sogno (o l’utopia) europeista trovò prima espressione nel Manifesto di Ventotene (1941), realizzato da tre militanti antifascisti italiani di diverse estrazioni culturali (Eugenio Colorni, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli[12]); così come immagino a tutti noto il fatto che l’euro si fece di fatto attraverso un «onesto baratto» tra Helmut Kohl e François Mitterand[13], entro un lungo e travagliato percorso di ritessitura di intese cordiali o perfino di patti di amicizia (come quello tra Konrad Adenauer e Charles De Gaulle), volti a superare le antiche e atroci rivalità politiche economiche e militari tra Germania e Francia (proprio per evitare che l’industria bellica fosse ricostruita su basi nazionali era nata la Ceca - Comunità Carbosiderurgica)[14].

Ciò che tuttavia mi preme soprattutto evidenziare in questa sede è il fatto che la scommessa abbracciata dai padri dell’europeismo comportava, oltre che benefici contingenti e la prefigurazione di grandi benefici attesi nel lungo termine, anche alcuni costi immediati sia di natura economica sia di natura politica. A livello economico, soprattutto per i paesi periferici meno avanzati, l’ingresso nell’euro è equivalso alla rinuncia alla possibilità di svalutazioni competitive delle valute nazionali e ha richiesto grandi sacrifici economici ai cittadini; a livello politico, per tutti gli stati aderenti all’unione monetaria, l’adesione alla moneta unica ha imposto la rinuncia a (e il trasferimento di) una parte significativa della propria sovranità nazionale. Ragione che, certamente insieme ad altre di natura non politica, ha fino ad oggi trattenuto la Gran Bretagna (e pochi altri paesi del continente) dall’unirsi alle sorti dell’Unione Europea adottando l’euro.

Meriterebbe inoltre particolare attenzione il fatto che la decisione di cedere tale parte di sovranità in favore dell’adesione all’unione monetaria sia stata effettuata dai singoli capi di governo senza indire referendum, cioè senza consultare l’unica, legittima fonte di sovranità dello stato di diritto moderno: il popolo, i cittadini.

2. La fiducia dei cittadini europei nella moneta unica

I due caratteri storicamente determinati dell’euro – l’essere una moneta senza Stato e l’essere frutto di una decisione per così dire imposta dall’alto (top down), pur entro un contesto di memoria sociale collettiva ancora segnata dagli orrori della guerra – rendono piuttosto sorprendente il consenso (quasi ovunque) maggioritario dei cittadini europei alla moneta unica (quale registrato dai sondaggi Eurobarometro), sia nelle sue prime fasi come moneta circolante (2002), sia nel corso della crisi economica esplosa nel 2008.

In questo paragrafo si proverà innanzitutto a mostrare, sia attingendo alla letteratura pertinente, in particolare a un lavoro realizzato per il CEPS (Center for European Policy Studies), significativamente intitolato The Enduring Popularity of the Euro throughout the Crisis (Roth, Jonung e Nowak-Lehmann 2011), sia mediante alcuni dati raccolti autonomamente, che la fiducia dei cittadini europei (italiani in primis) nell’euro non è fragile (par. 2.1), come invece taluni hanno recentemente sostenuto nel nostro (ma non solo nel nostro) paese.

Recentemente, infatti, i media hanno cavalcato le attese apocalittiche tornate oggi così di moda sulla base della credenza che l’attuale crisi economico-finanziaria sia radicalmente diversa da ogni precedente crisi – credenza problematizzata e dimostrata infondata da Reinhart e Rogoff (2009) – commissionando alcune indagini demoscopiche nazionali per sondare la fiducia degli italiani nell’euro[15]; forse, mossi dalla discutibile speranza che ne derivassero risultati clamorosi, per esempio segnali di un nuovo euroscetticismo, in un paese che ha dato i natali a Giuliano Amato, Guido Carli, Carlo Azeglio Ciampi, Luigi Einaudi, Tommaso Padoa-Schioppa, Romano Prodi, Altiero Spinelli e molti altri illustri propugnatori dell’europeismo. È del 16 gennaio 2012, per esempio, la pubblicazione di un sondaggio ISPO (commissionato da Rai Uno, per Porta a Porta)[16], secondo cui alla domanda «Lei quanta fiducia direbbe di avere nell’euro», la maggioranza assoluta del campione (costituito da 801 casi) risponde in modo negativo (38% poca, 17% pochissima), a fronte di un 36% che dichiara di averne molta, e solo di un 7% che rivela di averne «moltissima» (il 2% non sa). Ad apparire immediatamente problematico è in questo caso soprattutto l’indeterminatezza del quesito, che ammette diverse interpretazioni: qualcuno può avere pensato, nel rispondere, all’eventuale impatto della crisi economico-finanziaria in assenza dell’euro, qualcun altro al ruolo della moneta unica nel processo di integrazione europea; alcuni all’ultima spesa al supermercato, risultata più costosa della settimana precedente; altri, forse, alla comodità di viaggiare in Eurolandia senza dovere cambiare valuta al passaggio di ogni frontiera.

Per quanto siano ben noti i limiti delle indagini demoscopiche (anche quelle comunitarie realizzate da Eurostat non sono prive di difetti, ma almeno coprono archi temporali lunghi e permettono comparazioni tra paesi), il loro interesse risiede, forse più ancora che nei risultati cui pervengono, nelle domande che esse pongono agli intervistati. Se ne può trarre, come si vedrà, un ventaglio piuttosto eterogeneo di ipotesi sulle possibili basi motivazionali della fiducia dei cittadini europei nella moneta unica. Infatti, incrociando i risultati dei sondaggi Eurobarometro relativi al sostegno alla moneta unica con quelli relativi alla fiducia verso altre istituzioni comunitarie, si ha l’impressione che il sostegno dei cittadini europei all’euro sia sostenuto da una diffusa (anche se forse non del tutto consapevole) tolleranza per il carattere acefalo della moneta unica: tolleranza che tuttavia non sembra spiegabile a partire dalla fiducia riposta in alcune istituzioni comunitarie (certamente non da quella, scarsissima, riposta nella Banca Centrale Europea). Soprattutto nel caso italiano il sostegno all’euro sembra invece in qualche modo connesso alla crescente sfiducia nelle istituzioni politiche nazionali (par. 3.2).

2.1«La resistenza» della fiducia nell’euro

Già importanti lavori scientifici, pubblicati a pochi anni di distanza dal primo gennaio 2002 – data ufficiale dell’introduzione dell’euro come moneta circolante nei primi 12 paesi aderenti all’Unione monetaria[17] – hanno evidenziato l’entusiasmo maggioritario dei cittadini italiani per la moneta unica, l’atteggiamento ambivalente dei tedeschi (divisi sulla scelta di separarsi dal Deutsche Mark, ma anche preoccupati per l’eventuale perdita di potere della Bundesbank) e la ferma opposizione degli inglesi.

Thomas Risse (2003), in un’acuta analisi dell’impatto della moneta unica sul senso di appartenenza identitaria all’Europa, evidenziava inoltre (basandosi sui dati emersi da un rapporto Gallup del 2002), come ben due terzi dei cittadini degli stati aderenti all’Unione Monetaria condividesse l’opinione che la nascita dell’euro rappresentasse uno degli eventi storici più importanti nella storia dell’integrazione europea, e come il 64% del campione, nel gennaio 2002, fosse d’accordo con l’affermazione: «By using euros instead of National currencies, we feel a bit more European than before»[18] (Risse 2003, p. 487).

Per quanto riguarda l’Italia, già nel 1998 Roberto Biorcio, mentre problematizzava «la tradizionale immagine del nostro paese come di un solidale blocco europeista» analizzando i dati relativi alla posizione degli italiani nei confronti dell’euro per area territoriale e scelta di voto, perveniva a due importanti risultati. Da un lato, notava che:

La relazione tra europeismo e orientamenti politici si è quasi capovolta rispetto a quella che esisteva nella fase della guerra fredda. Fino agli anni Ottanta l’adesione dell’Italia alla Comunità europea, anche se largamente maggioritaria, otteneva meno consenso tra gli elettori di sinistra […]. La situazione è radicalmente cambiata negli anni Novanta […]. Mentre tra gli elettori di sinistra e di centrosinistra l’europeismo diventava un valore sempre più positivo, nelle aree di destra e di centrodestra si sono diffuse posizioni critiche sulle istituzioni comunitarie e opinioni scettiche sull’Unione economica e monetaria[19] (1998, pp. 542-543).

Dall’altro, riscontrando una pluralità «di significati dell’europeismo degli italiani», Biorcio sottolineava come «il sostegno degli italiani all’euro non appare tanto fondato su un calcolo degli interessi personali o di gruppo, quanto sul valore che viene attribuito all’appartenenza all’Europa» (p. 540). Tuttavia, egli non mancava di rilevare che:

L’opinione che occorra qualcosa di più dell’euro («l’Europa dei Popoli») trova un sostegno plebiscitario nell’opinione pubblica italiana (83%). Questa posizione è condivisa spesso anche da chi non approva l’unione monetaria. La scelta per l’Europa sembra assumere un significato esistenziale, importante per la definizione del sé, che va al di là del semplice calcolo degli interessi. Per questa ragione l’unione monetaria appare a molti insufficiente per garantire un reale processo di integrazione europea. Un’integrazione limitata al piano della moneta unica rende plausibile il sospetto che si stia realizzando solo il progetto dell’“Europa dei banchieri” (p. 540)[20].

Un recente lavoro condotto per il CEPS da F. Roth, L. Jonung e F. Nowak-Lehmann (dicembre 2011) dimostra, a partire dai risultati dei sondaggi Eurobarometro, la resistenza del sostegno[21] all’euro da parte dei cittadini europei; sostegno che, invece di essere fortemente indebolito dalla crisi economico-finanziaria internazionale e dalle recenti difficoltà dell’euro (manifestatesi anche nel rapporto euro/dollaro, come si dirà tra poco), si è invece mantenuto mediamente a livelli simili a quelli raggiunti nel 2003/04 e 2006/07, come si vede dalla Figura 1[22].

fig.1_La fiducia dei cittadini

Tra l’altro, questo stesso studio proverebbe mediante un’analisi econometrica basata sull’approccio delle funzioni di popolarità (popularity functions) che il sostegno dei cittadini europei all’euro, mantenutosi, come si è visto, mediamente alto nonostante la crisi, non avrebbe risentito delle variazioni registrate su variabili macroeconomiche standard quali il tasso di inflazione, il tasso di disoccupazione, e la crescita del Prodotto Interno Lordo. Risulterebbe così difficilmente sostenibile, sia a partire dai risultati Eurobarometro, sia a livello di analisi econometrica, l’affermazione di Erik Jones (2009, p. 1085) secondo cui «The global economic crisis has sapped support for the euro»[23].

Anche l’analisi delle serie storiche relative al tasso di cambio Euro/Dollaro americano, qui esibita dalla Figura 2 (su dati ufficiali della Banca Centrale Europea dal 1° gennaio 1999 al 26 aprile 2012)[24], suggerisce che l’euro stesso in qualità di valuta entro il mercato dei cambi abbia dato prova di capacità di tenuta nei confronti della moneta statunitense durante la crisi, nonostante le indubbie difficoltà (evidenti soprattutto nel 2010 e all’inizio del 2012), gli allarmismi dei media e certe profezie/previsioni di autorevoli economisti, finora non ancora avveratesi[25].

fig.2_La fiducia dei cittadini-2

Del resto, per convincersi ulteriormente della resistenza della fiducia nella moneta unica da parte dei cittadini europei, basterebbe consultare l’ultimo sondaggio Eurobarometro Standard (EB 76.3), realizzato nell’autunno 2011, in cui si legge:

Public support for the Euro remains solid despite a slight deterioration over time. As we approach the 10th anniversary of the introduction of Euro notes and coins, it is important to note that public support for the single currency remains stable. […]. In the Euro Area, the support for the Euro reaches 64% with only 29% against (EB 76.3, p.14)[26].

Volgendo lo sguardo ai dati disaggregati per paese e concentrando l’attenzione sull’Italia, va tuttavia rilevato come la quota del campione italiano che si dichiara favorevole all’euro sia scesa al 57% contro il 67% della rilevazione precedente (EB 75.3, primavera 2011), come sia leggermente salita quella degli sfavorevoli (dal 26% al 29%), ma soprattutto come sia aumentata la percentuale di coloro che non sono in grado di rispondere (dal 7% al 14%). A parte il sostegno ancora maggioritario alla moneta unica, i dati relativi al nostro paese devono essere letti in sinossi con la media europea a 27: nello stesso periodo di rilevazione, in Europa mediamente il sostegno all’euro si arresta al 53%, mentre la quota di sfavorevoli arriva al 40%, confermandosi invece relativamente contenuta la percentuale di indecisi (7%).

Gli italiani si confermano, quindi, tra i più tenaci sostenitori della moneta unica, nonostante siano stati tra i popoli europei a incontrare le maggiori difficoltà pratiche nel passaggio dalla lira all’euro (si vedano Sondaggi Eurobarometro 2002 e 2003) e nonostante abbiano erroneamente percepito tale passaggio come causa di inflazione[27].

2.2 La fiducia degli europei nelle istituzioni comunitarie

Illustrati, pur senza alcuna pretesa di esaustività, alcuni dati relativi al sostegno degli europei (e degli italiani) all’euro, può essere utile mostrare il grado di fiducia che i cittadini dell’Unione dichiarano di avere nei confronti di alcune istituzioni comunitarie. Il confronto tra le risposte europee (media EU 27) e quelle italiane al quesito posto dai sondaggi Eurobarometro Standard nella forma «For each of the following European Institutions, please tell me if you tend to trust or not to trust», limitatamente agli anni della crisi economico-finanziaria (fino agli ultimi dati disponibili), è illustrato dalla Tabella 1.

tab.1_La fiducia dei cittadini-3

Come si vede immediatamente, gli italiani nel corso della crisi economico-finanziaria si distinguono dalla media europea anzitutto per la scarsa propensione a fidarsi delle principali istituzioni politiche nazionali (i cittadini europei, in media, confidano nei rispettivi parlamenti e governi con percentuali molto maggiori, addirittura doppie nel 2011). Nello stesso tempo, però, dal 2007 al 2011 cresce la disposizione degli italiani a riporre fiducia in quasi tutte le istituzioni comunitarie, con variazioni percentuali progressivamente maggiori rispetto alla media europea.

Ciò è vero perfino per la propensione a fidarsi della Banca Centrale Europea, l’istituzione che a livello di variazioni percentuali sconta più caramente le difficoltà della crisi economico- finanziaria (per l’Italia dal 45% del 2008 di «disposti a fidarsi» la quota si riduce al 37%, nonostante l’annuncio della nomina di M. Draghi alla Presidenza della BCE). La «sfiducia» condivisa dai cittadini europei nei confronti della Banca Centrale, già evidenziata da una pluralità di autori, sembrerebbe confermare l’interpretazione di R. Biorcio prima ricordata, secondo cui sarebbe diffuso il sospetto che un’«Europa dei banchieri» possa sostituirsi a un’«Europa dei Popoli» (interpretazione che, tra l’altro, le recenti, più o meno pacifiche proteste degli indignados in più parti d’Europa e non solo, confermano nei fatti).

Altrettanto preoccupante appare, dalla tabella, il crollo generalizzato della propensione a fidarsi dell’Unione Europea, mentre decresce, pur se in modo meno evidente, la disponibilità a riporre fiducia nella Commissione Europea e nel Parlamento Europeo. Quanto al Consiglio dell’Unione Europea (i dati relativi al quale non sono stati inseriti nella tabella perché longitudinalmente non omogenei), esso pure registra un tracollo della fiducia (media) dei cittadini europei, raccogliendo nell’autunno 2011 solo il 32% di aspettative favorevoli (36% IT), contro il 44% dell’autunno 2007.

Per quanto concerne l’Italia va quindi osservato come la propensione a fidarsi delle istituzioni comunitarie (con la sola eccezione dell’Unione Europea) si confermi superiore a quella della media europea, mentre rimane confermata (anzi si è aggravata nel tempo) la propensione a diffidare delle istituzioni politiche nazionali (un rapporto inversamente proporzionale che solo indagini più approfondite potrebbero permettere di spiegare). Dai dati esibiti risulta comunque, mi pare con una certa evidenza, che gli italiani, coerentemente con la forte tradizione europeista tipica del nostro paese, siano più propensi a sostenere l’euro e a fidarsi delle (o ad affidarsi alle?) istituzioni comunitarie dei loro concittadini di Eurolandia, soprattutto in tempi di grave crisi economico-finanziaria.

3. Qualche considerazione

Tanto l’attuale incertezza riguardo al destino dell’euro quanto la natura essenzialmente esplorativa dell’indagine condotta per il presente lavoro non permettono di pervenire a vere e proprie conclusioni. Ciononostante, l’analisi della letteratura pertinente e i dati raccolti consentono almeno di proporre alcune considerazioni (qui esposte in ordine di crescente generalità) e di prefigurare alcuni possibili percorsi di ricerca.

La prima evidenza emersa dalle indagini demoscopiche condotte da Eurostat è il drammatico tracollo della fiducia dei cittadini europei negli anni della crisi economico-finanziaria nei confronti della Banca Centrale Europea, ovvero proprio nei confronti dell’istituzione comunitaria investita del compito di garantire la stabilità dei prezzi e incaricata dell’attuazione della politica monetaria nell’Eurozona: un fatto che meriterebbe senz’altro ulteriori indagini empiriche e conseguenti riflessioni. Per esempio, sarebbe molto interessante verificare tra qualche semestre quale impatto abbia prodotto la successione alla Presidenza Trichet da parte di Draghi sul sentiment pubblico europeo e in particolare italiano, mentre per ora sono note soltanto le reazioni «schizofreniche» (Roubini) dei mercati internazionali alle «iniezioni di liquidità» recentemente promosse dall’ex Governatore della Banca d’Italia.

In secondo luogo, da quanto esposto si può ricavare l’impressione che, pur entro grandi differenze tra popoli europei (che in questa sede purtroppo non vi è stato modo di evidenziare adeguatamente), i cittadini di Eurolandia abbiano accettato, senza essere direttamente interrogati in materia dai rispettivi governi, una moneta senza Stato (come confermerebbe la persistenza del sostegno dei cittadini europei all’euro, si veda par. 3). Per spiegare questo fatto servirebbero indagini più approfondite, ma senz’altro i contenuti livelli di fiducia riposti nelle istituzioni comunitarie registrati dai sondaggi Eurobarometro non permettono di ipotizzare che tale tolleranza sia stata sostenuta o rafforzata dalla fiducia in un pluralismo istituzionale che, nella sua attuale incompletezza, distingue l’assetto della comunità europea. Di fatto, all’Europa manca ancora non solo un potere esecutivo centrale (e un potere legislativo realmente dotato di libertà normativa su questioni decisive e non solo marginali), ma anche un sistema fiscale (attualmente allo studio) e una «spada» (un esercito) comune; ancora, non ha trovato attuazione la possibilità, già delineata nel Manifesto di Ventotene e caldeggiata, tra gli altri, da Altiero Spinelli ma anche da Jacques Delors, di qualche forma di federalismo europeo.

Dai dati raccolti e analizzati, però, si intuisce che a livello europeo la moderata perdita di fiducia nelle istituzioni comunitarie (con l’eccezione della Banca Centrale Europea e dell’Unione Europea nel 2011) sia correlata a una grave corrosione della fiducia negli Stati Nazionali, ammettendo che questa possa essere colta dai forti e diffusi segnali di diffidenza da parte dei cittadini nei confronti dei rispettivi Governi e Parlamenti nazionali.

Il caso italiano appare particolarmente emblematico a questo proposito, soprattutto negli anni dell’ultima crisi-economico finanziaria. Gli italiani intervistati dai sondaggi comunitari sembrano infatti condividere più dei loro concittadini europei l’intima esigenza espressa dalle parole di Carlo Azeglio Ciampi, ricordate all’inizio di questo lavoro: ovvero un bisogno di stabilità e di sicurezza, sia a livello politico, sia a livello economico. L’euro come valuta e l’Unione Monetaria come istituzione potrebbero non rivelarsi nei fatti la «roccia» su cui edificare una casa «sicura»: ma gli italiani dimostrano di riporre maggiore fiducia nelle istituzioni comunitarie rispetto ai loro concittadini europei e nello stesso tempo maggiore sfiducia nelle istituzioni politiche nazionali (nonché di essere più inclini a confermare il loro sostegno alla moneta unica). Da ciò non si può in alcun modo dedurre che gli italiani abbiano meglio compreso le potenzialità della moneta unica e non solo il suo carattere «difensivo» – sia in relazione al bellicoso passato europeo, sia rispetto al futuro di un mondo ormai globalizzato con nuove, potenti economie emergenti (in primis Cina ed India); né si può affermare che gli atteggiamenti europeisti in Italia assumano, in questa contingenza storica, natura prevalentemente o addirittura unicamente reattiva, interpretando l’europeismo solo come rimedio psicologico all’insicurezza politica ed economica (aggravata dalla scarsa fiducia nelle istituzioni politiche nazionali). Tuttavia oggi sembra reale il rischio che nuove élite populiste riscuotano consenso politico proprio mediante strategie demagogiche di delegittimazione della moneta unica e delle istituzioni europee, con l’effetto non auspicabile di un drammatico abbassamento degli attuali livelli di fiducia.

Anche alla luce dei dati qui mostrati, non appare quindi superfluo tornare a riflettere sull’intuizione originaria di Simmel, riguardo al fatto che le fondamenta (tra queste anche il reddito spendibile) su cui ogni cittadino avrebbe diritto di edificare la propria esistenza siano mantenute ferme e tutelate da qualche istanza/entità sovra-collettiva, da qualche Leviatano sovra-nazionale (o suo equivalente funzionale) che si impegni a garantirne la durata, la stabilità e la sicurezza. Per ora, invece, è come se al tradizionale legame tra moneta e stato (così ben descritto da Simmel) si fosse momentaneamente sostituito un «vuoto» di ideazione, programmazione e concretizzazione politica – di cui sono colpevolmente responsabili le attuali élite politiche europee – abitato (per quanto non colmato) dalla resistente, tenace fiducia dei cittadini europei nella moneta unica. Una moneta che ancora, nonostante tutto, contiene l’eco di una promessa di pace e la speranza di una Europa unita, politicamente coesa ed economicamente competitiva.

Riferimenti bibliografici

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1

Dall’intervento di C.A. Ciampi pubblicato in Italia da Degli Esposti, Giacomin e Righi (2011, pp. 185-187), originariamente edito in Peter Ramsauer (a cura di), Weichenstellungen für Deutschland und Europa: Festschrift für Theo Waigel zum 70. Geburtstag, Olzog, München, maggio 2009.

2

Si veda l’articolo di Walter Riolfi (2012, p. 38). Neil Record, ex economista della Bank of England, tra i possibili vincitori di un premio bandito dalla Fondazione Wolfson, prefigura come unica soluzione per uscire dalla crisi la costituzione di una task force «assolutamente segreta», formata dalla Germania «o, possibilmente dalla Germania come leader e dalla Francia come junior partner», entro e non oltre il 30 aprile 2012.

3

Per un’analisi sistematica e approfondita della letteratura sul concetto di fiducia nelle relazioni di mercato si veda Sandro Castaldo (2002). Sulle «inerzie della fiducia sistemica» il saggio di Antonio Mutti (2004). Interessante anche l’articolo di Timothy C. Earle (2009), che si concentra sul ruolo della fiducia in America nella prima fase della crisi economico-finanziaria. Come in seguito si preciserà (si veda nota 21), in questo lavoro il concetto di fiducia nella moneta unica è identificato con il sostegno all’euro dichiarato dai cittadini europei.

4

Per esempio, tre economisti della banca svizzera Ubs (S. Dao, P. Donovan e L. Hatheway) hanno presentato in data 6 settembre 2011 uno studio intitolato Le conseguenze della rottura dell’euro nel quale si sosteneva che la rottura dell’euro non converrebbe a nessuno. Infatti, come anche ricordano Degli Esposti, Giacomin e Righi (2011) «le nazioni strutturalmente più deboli si troverebbero a pagare l’equivalente di una cifra che va tra i 9.500 e gli 11.500 euro a persona nel solo anno della rottura del patto sulla moneta unica, il che equivale a stimare un impatto sul prodotto interno lordo delle nazioni più deboli – Grecia in primis – che varierebbe tra il 40 e il 50% del Pil nel primo anno. Somma che poi varierebbe ulteriormente tra i 3 e i 4 mila euro pro capite, negli anni successivi. Non andrebbe meglio per i paesi più ricchi. In Germania, per esempio, si pagherebbe l’equivalente di una cifra tra i 6.000 e gli 8.800 euro nel primo anno, comprendendo adulti e bambini, il che significherebbe un impatto sul Pil tra il 20 e il 25%. Negli anni successivi la cifra varierebbe tra i 3.500 e i 4.500 euro per ogni tedesco, mentre il salvataggio completo di Grecia, Irlanda e Portogallo, nell’ipotesi più pesante costerebbe un migliaio di euro a persona, in un’unica soluzione» (pp. 55-56).

5

Nella ormai vasta letteratura internazionale dedicata alla crisi dei mutui subprime e in particolare alla vicenda Lehman Brothers si distinguono l’ormai famoso libro di A. R. Sorkin, intitolato Too Big to Fail (2009), tradotto anche in italiano nel 2010, e il meno famoso, ma certamente non meno avvincente racconto/testimonianza di L. G. McDonald (con P. Robinson), intitolato A Colossal Failure of Commonsense. The Inside Story of the Collapse of Lehman Brothers (2009).

6

Per un’illuminante racconto di come si è generata e sviluppata la crisi dei mutui subprime in America, si consiglia la lettura del libro di R. Bitner, intitolato Confessions of a Subprime Lender. An Insider’s Tale of Greed, Fraud, and Ignorance (2008). Sulla crisi dei mutui subprime andrebbe anche consultato il Rapporto Ufficiale del Governo Americano, dal titolo The Financial Crisis Inquiry Report. Final Report of the National Commission on the Causes of the Financial and Economic Crisis in the United States (2011).

7

In un recente articolo apparso su La Repubblica - Economia Supplemento Affari e Finanza (23 aprile 2012), Marcello De Cecco, interrogandosi sul «rebus dell’euro che resiste al dollaro» (in proposito si veda par. 3.1. del presente lavoro) ha sostenuto che «una possibilità è che gli investitori abbiano venduto i titoli della periferia dell’euro a compratori della stessa area, e che non abbiano cambiato gli euro ottenuti dalle vendite. In tal modo hanno mostrato di fidarsi degli altri paesi dell’euro, come Germania, Austria e Olanda. La loro sfiducia, dunque, non sarebbe verso la moneta europea, ma solo verso i titoli dei paesi periferici. Può darsi benissimo che, ad esempio, gli hedge funds americani abbiano venduto bonos spagnoli o Btp e comprato bund tedeschi o francesi o austriaci o olandesi. Sarebbe una strategia ragionevole, che non esprime sfiducia verso una moneta ma solo verso governi di paesi che si pensa non saranno in grado di restare nell’Unione Monetaria».

8

Sulla miopia dei presunti gatekeepers del sistema (tra cui le agenzie di rating) si veda in particolare il saggio di Maurizio Catino (2010).

9

Per un’analisi degli aspetti simbolici dell’euro si consiglia Kaelberer (2004).

10

Per una dettagliata e avvincente ricostruzione di tale genesi si veda Castronovo (2004), ma anche Padoa-Schioppa (2002).

11

Dichiara infatti Delors in un’intervista: «Vedete, non ho mai creduto a un effetto-ingranaggio (spill over effect), un effetto leva, dell’euro. O meglio, ho creduto a un effetto ingranaggio dell’economia e me ne sono servito per realizzare il grande Mercato comune e l’Atto unico, ma non ho mai ritenuto che questi passi avanti fossero sufficienti per realizzare l’integrazione politica» (cit. in Degli Esposti, Giacomin e Righi 2011, p. 136).

12

La genesi del sogno europeista è vividamente raccontata nell’autobiografia di A. Spinelli, in un libro intitolato Come ho tentato di diventare saggio, ripubblicato dalla casa Editrice il Mulino nel 1999.

13

« Si trattò di un vero e proprio baratto, ma onesto nella forma e lungimirante in termini politici. Dato che l’impegno assunto da Kohl di abbandonare il marco in favore dell’unione monetaria valse a rimuovere le preoccupazioni di Mitterand nei confronti della riunificazione della Germania» (Castronovo 2004, p. 89).

14

Tra i protagonisti di quell’accordo, pensato per coordinare e regolare la produzione di due comparti di vitale importanza per gli sviluppi della grande industria europea, vi era anche il nostro Alcide De Gasperi, insieme a Robert Schuman e a Konrad Adenauer.

15

Del resto, già nel dicembre 2011 la trasmissione Ballarò aveva reso noti i risultati di un sondaggio commissionato all’Ipsos (pubblicato il 1° dicembre 2011), in cui si chiedeva a un campione statisticamente rappresentativo di 1.000 italiani se «dopo le notizie pubblicate in questi ultimi giorni lei personalmente è spaventato/a dall’ipotesi che l’Italia rischi di uscire dall’Euro per tornare alla lira»: il 35% del campione ha risposto in modo affermativo, ma ben il 61% in modo negativo (4% non sa). Il questionario del sondaggio «Il Governo Monti e i rischi per l’Euro» è consultabile on-line al link: http://www.sondaggipoliticoelettorali.it/asp/visualizza_sondaggio.asp?idsondaggio=5058.

16

Il questionario del sondaggio «Operato Governo, Euro e Futuro del Paese» è consultabile on-line al link: http://www.sondaggipoliticoelettorali.it/asp/visualizza_sondaggio.asp?idsondaggio=5147.

17

La data di nascita dell’euro risale però al 1° gennaio 1999, quando viene introdotta sui mercati per le transazioni finanziarie. Quel giorno il suo valore era pari a 1,16675 dollari.

18

«Utilizzando l’euro anziché le monete nazionali ci sentiamo un po’ più europei di prima» (traduzione mia).

19

Biorcio osserva come le posizioni euroscettiche, alla fine degli anni Novanta, si concentrassero a livello territoriale nel Nordest, ovvero nelle regioni più ricche e prossime alle aree centrali dell’Europa continentale. Egli riconduce il diffondersi di tesi euroscettiche in queste regioni al sostegno politico ivi ottenuto dalla Lega Nord, partito tradizionalmente avverso all’Unione.

20

«Per due terzi degli elettori della Lega e del Polo “l’euro è il segno che l’Unione europea è dominata dalle banche”. Questa opinione è condivisa anche da metà degli elettori dell’Ulivo» (Biorcio 1998, p. 540).

21

Si noti che a proposito della moneta unica i sondaggi Eurobarometro formulano il quesito in termini di «sostegno» e non di «fiducia», come invece avviene per le istituzioni comunitarie (si veda par. 3.2). In questo caso, data la struttura dei sondaggi, sembra ragionevole condividere l’identificazione effettuata dagli autori del rapporto CEPS tra sostegno e fiducia, soprattutto perché essi si impegnano a esplicitarla, opportunamente rinviando a un’opera di Luhmann (2000, p. 70) per le sottostanti argomentazioni (Roth, Jonung e Nowak-Lehmann 2011, p. 4, nota 3).

22

Per misurare e confrontare il sostegno pubblico all’euro nell’arco di tempo considerato (1990-2011) gli autori del citato lavoro svolto per il CEPS hanno utilizzato le risposte a uno dei quesiti posti dai sondaggi Eurobarometro appartenenti alla batteria di domande «Please tell me for each proposal, whether you are for or against it» (per ciascuno dei quali si danno tre possibili alternative: «For», «Against», «Don’t know»), in particolare il seguente: «A European Monetary Union with one single currency, the Euro». Tale domanda ha subito nel tempo lievi modifiche, opportunamente ricordate in nota dagli stessi autori (si veda nota 1, p. 2). La tabella mostra, come gli autori precisano, il sostegno medio «netto», quindi tutti i valori superiori allo 0 indicano che una maggioranza degli intervistati ha manifestato il proprio sostegno alla moneta unica. Per ulteriori chiarimenti relativi ai dati 1990-98 si rinvia direttamente al rapporto.

23

«La crisi economico-finanziaria globale ha minato/logorato il sostegno all’euro» (tradizione mia).

24

European Central Bank, Eurosystem, http://www.ecb.int/home/html/index.en.html.

25

È del 30 marzo 2012 la notizia apparsa sul sito Wall Street Italia (http://www.wallstreetitalia.com) che secondo l’economista Nouriel Roubini, noto come «Dr. Doom» per le sue previsioni ribassiste e pessimistiche (molte delle quali già avveratesi), «l’euro avrebbe bisogno di un deprezzamento reale della moneta nei paesi periferici affinché queste economie possano tornare a crescere e a essere competitive. I paesi periferici hanno bisogno di avere un euro più vicino alla parità con il dollaro». Ovvero, un rapporto 1 a 1 che, come si vede dal grafico, si è avuto, dall’introduzione dell’euro come moneta circolante, finora solo nei primi due anni dalla introduzione dell’euro come moneta circolante.

26

«Il sostegno pubblico all’euro rimane solido nonostante un lieve deterioramento nel corso del tempo. Mentre ci avviciniamo al decimo anniversario dall’introduzione delle monete e delle banconote in euro, è importante notare che il sostegno pubblico alla moneta comune rimane stabile. Nell’area euro, il sostegno all’euro raggiunge il 64%, con una quota di contrari che si arresta al 29%» (traduzione mia).

27

In proposito, si consiglia di leggere l’interessante introduzione di Degli Esposti, Giacomin e Righi (2011) alle interviste a R. Prodi e a J. Delors, in particolare il capitolo secondo, di cui si riporta qui solo un breve passo: «Mille lire uguale un euro. È la formula magica che ancora oggi, dopo un decennio, chiude qualsiasi disputa sugli effetti dell’euro, invariabilmente a favore dei detrattori […]. Frutto di un abbaglio collettivo, di una colossale manipolazione del ‘sentiment’ della stragrande maggioranza degli italiani […]. Una manipolazione che arrivò al punto di farsi essa stessa “dato statistico”, sovrapponendo all’indice dell’inflazione ufficiale l’assurdo indice dell’inflazione percepita. Siamo così a un paradosso tutto italiano: l’euro viene identificato con il carovita proprio nel Paese che mai dal dopoguerra a oggi aveva goduto di altrettanta stabilità dei prezzi» (pp. 57-58).

  • Articolo
  • pp:89-106
  • DOI: 10.1485/AIS_0_2012/TEORIA_RICERCA_4
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