AIS

2012/0

Famiglie ricongiunte: un articolato processo di negoziazione tra dimensione transnazionale e stratificazione civica (Reunited Families: a Complex Process of Negotiation Concerning Transnational Practices and Civic Stratification), di B. Bertolani, M. Rinaldini, M. Tognetti Bordogna


L’articolo presenta i risultati di una ricerca sui processi di ricongiungimento di famiglie immigrate provenienti dal Marocco, Pakistan e India. La ricerca si è proposta di trattare i processi di ricongiungimento e le famiglie migranti attraverso un approccio transnazionale e in particolare di mettere in luce come la collocazione delle famiglie migranti in una dimensione transnazionale possa aprire spazi alla rivisitazione di pratiche e codici tradizionali. Allo stesso tempo si è considerato come la regolazione normativa del ricongiungimento famigliare inserito in un regime di stratificazione civica interagisca con le strategie transnazionali delle famiglie migranti.

Reunited Families: a Complex Process of Negotiation Concerning Transnational Practices and Civic Stratification

The article presents the main results of an empiric study on reunited families from Morocco, Pakistan and India in Italy. The study has analysed the processes of reunification and the nature of migrant families through their transnational practices, revealing in particular that these practices enable a reinterpretation of traditional codes of conduct and behaviours. At the same time, the article looks at how the normative regulation of family reunification in a system of civic stratification interacts with the transnational strategies of immigrate families.

Introduzione

La realtà dinamica delle famiglie della migrazione costituisce un ambito di studio proficuo (Bruegel 1999) per la pluralità dei modelli che origina. Ciò nonostante è stato rilevato un certo ritardo fra gli autori a focalizzarsi sul tema (Kofman 2001). Come la letteratura mostra (George 2005; Finch e Mason 1993; Foner, 1997; Kraler et al. 2011; Tognetti Bordogna, 2004, 2011), il modo di costruire famiglie in emigrazione e le forme che queste assumono non solo variano a seconda dei contesti culturali e sociali da cui ha origine la migrazione, ma anche a seconda delle strategie migratorie della famiglia, del contesto sociale e culturale dei paesi d’arrivo e delle scelte di politica migratoria di questi ultimi. Ciò porta a considerare le famiglie migranti come il risultato dinamico di un processo complesso esteso a diversi spazi sociali e generato dalla competizione di regolazioni di varia natura.

Il presente saggio intende trattare le famiglie migranti attraverso l’approccio transnazionale e in particolare mostrare come la loro collocazione in una dimensione transnazionale possa aprire spazi alla rivisitazione della tradizione. Allo stesso tempo l’obbiettivo è quello di mostrare come la produzione normativa legale in materia di immigrazione dei paesi di arrivo interagisca con le strategie transnazionali delle famiglie migranti e a riguardo si utilizza come prospettiva teorica quella della stratificazione civica. All’illustrazione di queste due prospettive sono dedicati i paragrafi iniziali. Nei paragrafi successivi, invece, sono discussi attraverso le prospettive adottate i risultati di una ricerca sui processi di ricongiungimento di alcune famiglie marocchine, pachistane e indiane presenti nel territorio della provincia di Reggio Emilia (Tognetti Bordogna 2011).

1. L’approccio transnazionale nello studio dei processi migratori

L’approccio transnazionale nello studio dei processi migratori ha aperto un nuovo campo di ricerche, permettendo all’analisi antropologica e sociologica di studiare fenomeni nuovi e di riconcettualizzarne altri noti, collocandoli nell’ambito dei processi di globalizzazione. Tale approccio insiste sulla capacità del migrante di esprimere una progettualità positiva agendo in campi sociali che attraversano confini geografici, culturali e politici (Grillo 2000; Riccio 2000) e comporta l’analisi dei «modi costanti (…) in cui (…) gli immigrati costruiscono e ricostituiscono la loro simultanea embeddedness in più di una società» (Glick Schiller, Basch e Szanton Blanc 1999, p. 73, traduzione nostra).

In questa prospettiva, la condizione di doppia appartenenza non è vissuta dai trasmigranti come passeggera, in attesa di una più o meno definitiva stabilizzazione nel paese di elezione o di un ritorno in patria, ma, al contrario, può costituire l’elemento di forza che consente al migrante di trovare un inserimento sociale o economico, investendo le proprie risorse (relazionali, finanziarie, ecc.) nella società globalizzata (Scidà 2002). La mobilità internazionale (fisica e/o solo simbolica) che i migranti incarnano si fonda sui network (e sul capitale sociale in essi attivabile): sono cioè le reti che permettono ai soggetti di agire in più ambiti territoriali trasformandoli in un unico campo sociale. Il transmigrante può agire sulla base di un insieme di legami sociali, obbligazioni, rapporti di reciprocità o di fiducia corroborati da riferimenti valoriali e simbolici comuni, che vengono riletti, reinterpretati, manipolati dai soggetti. In generale l’approccio transnazionale sembra rivalutare la dimensione relazionale della migrazione.

È possibile ricondurre il concetto di transnazionalismo ad alcune principali accezioni. La prima è quella che ricalca l’originaria formulazione di Glick Schiller, Basch e Szanton Blanc (1999). Secondo queste autrici la prospettiva transnazionale consiste principalmente nello studio dei legami e delle relazioni sociali multistratificate che i transmigranti formano e mantengono nel tempo e che collegano in un unico campo sociale le società di origine e di insediamento, attraversando i confini degli stati nazionali. Una delle principali critiche a questa accezione riguarda la figura del transmigrante ed il suo supposto costante pendolarismo, dal momento che la mobilità geografica frequente fra più spazi geografici e nazionali riguarda di solito un numero assai limitato di migranti, mentre la grande maggioranza vive una condizione di stanzialità nel paese di approdo.

Una seconda accezione è riconducibile a Portes, Guarnizo e Landolt (1999) e a Portes (1999). Gli autori propongono di applicare il concetto ad una serie di attività ben identificabili come quelle che comportano una continuità delle relazioni sociali attraverso le frontiere, da parte di attori che vi profondono un regolare e significativo impegno. L’unità d’indagine privilegiata divengono gli individui e l’attenzione è posta su fenomeni di «transnazionalismo dal basso» (Smith, Guarnizo 1999) contrapposti a fenomeni di globalizzazione dall’alto (Ambrosini 2008). Questo orientamento sposta il focus dell’attenzione analitica dai legami transnazionali in generale alle azioni e alle pratiche sociali quotidiane dei migranti, che possono mostrare il perdurare di un forte orientamento affettivo o di vincoli ben identificabili con la società di origine (o con alcuni gruppi di persone che continuano a vivere in essa). (Guarnizo 2003, Boccagni 2009).

Una terza accezione è quella proposta da Faist (2000) che ha parlato di «spazi sociali transnazionali» di tre tipi: i gruppi di parentela (basati su legami di reciprocità), i circuiti transnazionali che presuppongono legami strumentali di scambio (come ad esempio le reti commerciali) e le comunità transnazionali, basate su solidarietà che si ancorano ad una concezione condivisa dell’identità collettiva. Il concetto di spazio sociale transnazionale proposto da Faist è intrinsecamente legato a quello di network e di capitale sociale; sebbene difficile da circoscrivere analiticamente, sembra suggerire che questo spazio possa essere studiato empiricamente anche attraverso l’analisi delle reti e delle forme di capitale sociale in esse circolanti.

Un’altra accezione è quella formulata da Levitt e Glick Schiller (2004). Gli autori ripropongono il concetto di «campo sociale transnazionale», originariamente elaborato dagli studiosi che possiamo ricondurre alla scuola antropologica di Manchester (Mayer e Mayer 1994). L’utilizzo di questo concetto fa sì che l’analisi si concentri maggiormente sullo studio dei network che collegano migranti e non migranti, sia in senso morfologico e strutturale che qualitativo, relazionale e simbolico. Il focus dell’analisi tende a spostarsi dal singolo migrante al soggetto in quanto parte di una rete di relazioni e al network in quanto tale. Per i migranti, far parte di un campo sociale transnazionale significa ad esempio assumere nello stesso tempo ruoli e obblighi riconducibili sia al gruppo di origine (che può risiedere nel contesto migratorio o trovarsi nella madrepatria), sia ai gruppi di elezione nella società di approdo. Significa anche poter attingere ad una serie di risorse materiali, affettive e simboliche che fanno riferimento a tutte le sponde comprese nel campo. D’altra parte, il concetto mette in luce la multidirezionalità delle relazioni: i non migranti possono partecipare attivamente ai legami transnazionali attraverso la comunicazione a distanza, o influenzando la circolazione di risorse di varia natura, o intervenendo in modo da modificare la struttura del network di cui anch’essi sono membri. La nozione di campo sociale transnazionale rimanda infatti ad un ambito relazionale circoscritto, ad esempio ego-centrato, costituito da scambi e relazioni empiricamente rilevabili e da un insieme incrementale di pratiche sociali a distanza. Essa si può coniugare con quella di «bifocalità» proposta da Vertovec (2004) come frame o schema cognitivo di riferimento nelle pratiche di vita quotidiana dei migranti. La bifocalità comporta che alcuni aspetti del qui e del siano percepiti come dimensioni fra loro complementari da tenere in considerazione costantemente, in quanto parte di un unico spazio di esperienza. Questa accezione, proprio perché concentra l’attenzione sul soggetto in quanto membro di un network di relazioni, ci sembra particolarmente feconda per lo studio delle famiglie ricongiunte e delle loro pratiche transnazionali.

2. Famiglie ricongiunte, pratiche transnazionali e stratificazione civica

Considerare le famiglie della migrazione e, in particolare, quelle ricongiunte nelle loro pratiche transnazionali significa fare un salto di prospettiva. In quanto nodi di una rete, esse (e ciascuno dei loro membri) non smettono di allacciare e coltivare legami che travalicano i confini degli stati-nazione, né di far circolare nei network capitali e risorse di varia natura. Ne deriva che il ricongiungimento non è necessariamente simile – al pari della migrazione – ad uno spostamento da uno spazio (fisico e socio-culturale) di partenza ad un altro di approdo, e non è un avvenimento che ha un inizio ed una fine, coincidente ad esempio con l’arrivo della persona ricongiunta nel paese di immigrazione. Il ricongiungimento si configura piuttosto come un processo di avvicinamento/allontanamento spaziale e simbolico che continua nel tempo, fra i vari nodi della rete (Shaw e Charsley 2006). Occorre quindi rivedere il modo di considerare il ricongiungimento, non più come un processo che, se ha successo, è lineare e tendenzialmente unidirezionale. Allo stesso modo, occorre riconsiderare il concetto di famiglia ricongiunta.

Talvolta, anche nell’analisi sociologica, pesano modelli interpretativi mutuati da categorie di tipo legislativo o normativo. L’idea di famiglia ricongiunta, ad esempio, sembra coincidere, almeno nel senso comune, con la famiglia che le politiche migratorie di un paese definiscono, secondo un modello di famiglia nucleare culturalmente specifico e diffuso nei paesi occidentali. La famiglia ricongiunta, quindi, tende ad essere un artifizio legislativo (Tognetti Bordogna 2004), che molto spesso non coincide con l’esperienza di famiglia che i migranti hanno vissuto prima della partenza. Si tratta di un costrutto parziale e statico, come se, una volta ricongiunta nel paese di accoglienza, la famiglia ed i soggetti che ne fanno parte si dimenticassero di tutta una serie di legami e di «pezzi» che sono rimasti nel paese di origine, solo per il fatto che la normativa vigente non ne permette la migrazione. In effetti, questo non è un esito scontato, ed è anzi spesso minoritario. Superare questo punto di vista significa quindi concepire le famiglie ricongiunte come intrinsecamente transnazionali.

Seguendo Wiltshire (1992) la famiglia transnazionale è una struttura ampia ed amorfa, costituita da unità coniugali e nucleari, così come da segmenti di consanguinei sparsi attraverso i confini nazionali. Essa è caratterizzata da un network di legami interdipendenti e dal fatto che le funzioni familiari critiche come il sostegno economico, il prendere decisioni e il nutrimento sono suddivise fra i collegamenti centrali entro la rete. Dal nostro punto di vista, lo studio della famiglia ricongiunta in un’ottica transnazionale si propone di cogliere legami simbolici e sociali, pratiche economiche e rappresentazioni identitarie al di là dei confini del paese di approdo, collocandoli in un unico campo sociale che comprende la madrepatria, il contesto di arrivo e i reticoli transnazionali stessi. Facendo riferimento al concetto di «bifocalità» proposto da Vertovec (2004), possiamo dire che la famiglia transnazionale è costituita da una serie di legami di natura parentale attivi nonostante la lontananza fisica e temporale. Ogni componente della relazione è coinvolta in una quotidianità sociale e relazionale nel paese in cui risiede; al tempo stesso, però, si definisce in relazione ad un più ampio network parentale che, a sua volta, retroagisce sulle singole parti della famiglia in un processo dinamico (Sai 2008).

Negli ultimi anni il tema delle famiglie transnazionali divise dalla migrazione di uno o più componenti è stato oggetto di una vasta letteratura, ma è stato indagato soprattutto per quanto riguarda l’accudimento a distanza.[1] Più rari sono gli studi che si sono concentrati su altri argomenti altrettanto cruciali, quali la rivisitazione della tradizione per quanto riguarda, ad esempio, i processi di stratificazione socio-economica in ambito macro-sociale, oppure l’organizzazione spaziale, la distribuzione dei ruoli e del potere nella famiglia (Foner 1997; Finch e Mason 1993; Kraler et al. 2011) e la scelta del partner fra i membri della famiglia transnazionale (Mand 2002; Bertolani 2012; Errichiello 2009; Charsley e Shaw 2006). Analogamente, molto rare sono ancora le analisi che indagano le pratiche transnazionali delle famiglie e dei loro componenti ponendole in relazione con gli effetti del sistema di stratificazione civica (Lockwood 1996) che si è consolidato nei paesi di immigrazione europei (Morris 2003), ovvero quell’articolato processo di inclusione formale dei migranti alla cui base si trova, da una parte, la distribuzione differenziata dei diritti civici e la proliferazione di differenti status di cittadinanza e, dall’altra, l’istituzione di regole di transizione da uno status all’altro ispirate ad un principio meritocratico (che nel concreto si declina nella dimostrazione da parte del migrante della capacità di auto-mantenersi).

Il presente contributo si concentra proprio su questi aspetti, a partire dai risultati di una ricerca empirica qualitativa, di taglio esplorativo, condotta per la provincia di Reggio Emilia (Tognetti Bordogna 2011).[2] Nello specifico la ricerca è stata svolta sui processi di ricongiungimento, sui vissuti e le pratiche quotidiane di alcune famiglie marocchine, pachistane e indiane presenti nel territorio della provincia di Reggio Emilia e di alcuni giovani ricongiunti delle stesse aree di provenienza. La scelta dei tre gruppi nazionali è stata condizionata dalle necessità della committenza di indagare la realtà di queste tre comunità, particolarmente numerose sul territorio provinciale. In tutti e tre i casi si tratta di migranti non comunitari, dunque sottoposti, per quel che riguarda il ricongiungimento, alla medesima normativa. Questi tre tipi di flussi, inoltre, presentano la caratteristica di essere prevalentemente originati, almeno sul territorio reggiano, da una migrazione maschile da lavoro, cui può seguire il ricongiungimento della donna e dei figli. Tutto ciò ha circoscritto le possibilità di operare una comparazione tra i diversi processi di riunificazione familiare. È stato, comunque, possibile individuare alcune peculiarità relative ai modelli familiari e considerare come queste si relazionino con il processo di ricongiungimento. In questa sede, tuttavia, non saranno esposti approfonditamente i risultati della comparazione per i quali si rimanda al volume della ricerca (Tognetti Bordogna 2011).

Sono state realizzate interviste in profondità ai singoli componenti di famiglie ricongiunte (parzialmente o totalmente) e a giovani ricongiunti.[3]. L’analisi qualitativa delle interviste in profondità ha permesso di comprendere le scelte e le motivazioni sottese al processo del ricongiungimento, i problemi, i condizionamenti e le potenzialità di questo istituto, i processi di rivisitazione della tradizione familiare per quanto riguarda la struttura, il funzionamento interno e i processi di riproduzione della famiglia ricongiunta transnazionale.[4] Di seguito sono discussi alcuni dei risultati a cui si è pervenuti.

3. La negoziazione della tradizione nelle famiglie ricongiunte transnazionali

La dimensione transnazionale della famiglia ricongiunta impone una negoziazione di aspetti della tradizione familiare diffusa nel paese d’origine. Tale processo riguarda sia ambiti di natura macro-sociale, che dinamiche micro-relazionali. Ad esempio, il fatto di essere residente all’estero può modificare la collocazione di una famiglia e dei suoi membri nei processi di stratificazione sociale, aumentandone il prestigio e l’influenza agli occhi dei propri connazionali rimasti nel paese di origine. Ciò ha delle ricadute importanti, soprattutto sulla riproduzione della famiglia stessa.

Per quanto riguarda le famiglie pachistane ed indiane, ad esempio, l’allargamento e la riproduzione dei nuclei avvengono di solito attraverso la prassi dei matrimoni combinati che segue regole ben precise.[5] Il matrimonio transnazionale è una pratica che, grazie all’opportunità migratoria che comporta attraverso il successivo ricongiungimento familiare, modifica la posizione sociale delle famiglie coinvolte. Infatti, da un punto di vista economico, il matrimonio transnazionale sostiene le aspirazioni di ascesa sociale di coloro che sono ancora nel paese di origine e anche di chi invece è già all’estero. Far sposare un proprio/a figlio/a con qualcuno che è in Italia garantisce l’apertura di un canale migratorio per il proprio network parentale, nonché un flusso di rimesse per chi resta nel paese di origine. Invece, dal punto di vista di chi vive all’estero, la posizione privilegiata di cui si gode in quanto migranti e in quanto promotori della migrazione altrui attraverso l’arrangiamento di un matrimonio ridefinisce al rialzo la propria collocazione nella gerarchia della stratificazione sociale. Accade cioè che famiglie migranti di status medio-basso possano ambire ad arrangiare matrimoni prestigiosi nel contesto di origine, in modi che non sarebbero altrimenti stati loro possibili, con evidenti ricadute in termini di prestigio nel campo sociale transnazionale (Charsley e Shaw 2006). Inoltre, a seconda delle modalità in cui avviene, il matrimonio transnazionale può esentare la famiglia della sposa dal pagamento della dote. In questo senso, le pratiche transnazionali contribuiscono a ridefinire i processi di stratificazione sociale, mettendo in discussione le tradizionali gerarchie ascrittive basate, ad esempio, sull’appartenenza di casta o di lignaggio.

A livello micro-sociale, invece, il matrimonio transnazionale, soprattutto quando è combinato, è una pratica che permette di aggirare le restrizioni imposte dalla normativa vigente e di ricongiungere a sé in altro modo alcuni dei familiari rimasti nel paese di origine. Esso può quindi essere visto anche come uno strumento di ristrutturazione e di riorganizzazione interna della famiglia transnazionale. In questo senso, «le pratiche apparentemente tradizionali del matrimonio combinato sono strumenti pienamente moderni di negoziazione dei confini di cittadinanza imposti dagli stati» (Mooney 2006, pp. 389-390, traduzione nostra). Queste pratiche hanno una ricaduta sulla morfologia della famiglia ricongiunta, modificandone la struttura consueta. Ad esempio, quando è la donna a risiedere in Italia, a sposare e a ricongiungere un proprio connazionale, è lo sposo che, migrando, entra a far parte della famiglia e della casa della sposa. In questi casi, si accantona il tradizionale principio della patrilocalità (che sancisce simbolicamente l’ingresso della donna e della sua discendenza nel lignaggio del marito), ed è spesso il marito ad essere «ospite» presso i suoceri e a dipendere dalla moglie, sia da un punto di vista socio-economico che giuridico, almeno nelle prime fasi del processo migratorio.

Vediamo un primo esempio. Sonni è un ragazzo di 15 anni che, nove anni fa, è stato ricongiunto dal padre insieme al fratello, alla sorella minore (Reggy) e alla madre. Sua sorella maggiore non è stata ricongiunta insieme a loro perché già maggiorenne. Il padre ha allora arrangiato il matrimonio della figlia maggiore con un connazionale che aveva conosciuto in Italia: queste nozze hanno consentito la riunificazione della famiglia di origine. In un secondo tempo, il cognato ha proposto a Reggy, sorella minore di Sonni, uno sposo.

La storia mostra come lo strumento tradizionale del matrimonio combinato possa essere utilizzato per raggiungere obiettivi che con la tradizione non hanno nulla a che fare. Attraverso le nozze, una figlia che era rimasta indietro viene fatta arrivare in Italia. Questa unione, però, ne determina un’altra, poiché il cognato – nei confronti del quale la famiglia di Sonni ha maturato un debito – propone un proprio parente per il matrimonio di Reggy. Quindi, il primo matrimonio combinato crea i presupposti – in termini di crediti/debiti ed obbligazioni morali – affinché se ne verifichi un altro. La famiglia, attraverso le sue pratiche transnazionali, ridefinisce la propria struttura interna ed allarga i suoi confini. Questa volta, però, è la sposa ad effettuare il ricongiungimento, e ciò determina una serie di novità per la coppia. Infatti, Reggy coabita insieme a suo figlio di pochi mesi e a suo marito da poco giunto in Italia nello stesso appartamento dei genitori. Dunque, il tradizionale principio della patrilocalità è stato accantonato: la donna può contare sull’appoggio ed il sostegno della sua famiglia di origine, anche per la cura del figlio piccolo; ciò le permette di lavorare fuori casa e di partecipare attivamente al bilancio della famiglia allargata.

L’esempio descritto mostra come il matrimonio combinato transnazionale possa configurarsi in modo da mettere in discussione una serie di pratiche tradizionali legate all’identità di genere e ai rapporti di potere fra uomini e donne. Mooney (2006) sottolinea a questo riguardo che, se risiede all’estero, il gruppo familiare che cede la sposa gode di uno status superiore rispetto a quello del gruppo di origine dello sposo, poiché la possibilità migratoria garantita col ricongiungimento a seguito del matrimonio è socialmente più importante dello status dell’uomo. In molti casi, quando è la moglie a ricongiungere il marito, la coppia coabita coi genitori della donna: come nell’esempio descritto, i ruoli e la gerarchia familiare legati al genere e connessi alle regole della patrilocalità vengono quindi messi in discussione, assecondando in senso lato l’elaborazione di un diverso vissuto di coppia. Ciò può favorire una gestione dei legami transnazionali con il resto del campo sociale parentale che si traduce, ad esempio, nella ricerca di maggiore autonomia rispetto alle influenze esterne e in una certa insofferenza nei confronti delle obbligazioni verso i suoceri.

Questo secondo aspetto è indirettamente confermato dalle parole di una ragazza che, a sua volta, abita con la propria famiglia di origine e che ha sposato e ricongiunto un proprio connazionale. La testimonianza mostra anche come, per i parenti del marito che sono ancora nel paese di origine, il matrimonio transnazionale del proprio congiunto significhi davvero un investimento economico ed ingeneri aspettative di rimesse, fatte pesare nei termini di un dovere morale.

Mi piaceva rimanere in India, è una bella vita, però non c’è tranquillità…. (…) Noi siamo andati in India a dicembre… mio marito non lavorava, eravamo in una situazione molto difficile… allora da India [hanno detto] “Ah, no, tu devi venire al matrimonio di tua nipote…” Abbiamo detto “Non possiamo venire… 1000 euro solo per il biglietto…” [Hanno insistito:] “No, dovete venire…” Siamo andati in India… “Ah, dovete dare [per il matrimonio dei] soldi [per la sua dote]…” Mamma mia, che casino! Se non [li] dai litigano… Mio marito è contento [di stare qui]… perché in India fanno casino tanto… (ragazza indiana, 24 anni)

Si è visto come le pratiche transnazionali delle famiglie possano sostenere la prassi tradizionale del matrimonio combinato, modificandone però il significato intrinseco; si è detto anche che il matrimonio transnazionale combinato può indurre una ridefinizione dei ruoli ed una redistribuzione del potere intrafamiliare. In altri casi, però, la ricontrattazione può riguardare le stesse regole attraverso cui questi matrimoni sono arrangiati, ovvero i criteri e le modalità di scelta del partner.

A fronte dei due opposti estremi del conformismo e del rifiuto (comunque minoritari) del matrimonio combinato, la grande maggioranza dei giovani intervistati si è infatti espressa per una negoziazione, più o meno radicale, delle sue regole. I giovani si aspettano una certa elasticità da parte dei genitori, che riguarda ad esempio la possibilità di potere conoscere il proprio futuro coniuge prima delle nozze, sebbene nella pratica che cosa significhi concretamente «potersi conoscere» sia assai variabile e contingente, oggetto di contrattazione.

Se scelgono i genitori, non c’è problema, però vorrei conoscere la mia futura moglie… [prima di sposarla] vorrei conoscere i suoi atteggiamenti, il suo comportamento, il suo carattere, così. (…) [Per conoscerla la devo frequentare], ci vuole un po’ di tempo. [Credo che i miei genitori] saranno d’accordo. (ragazzo indiano, 17 anni)

Oppure, gli sposi possono scegliersi autonomamente ed accordarsi con le loro famiglie affinché si arrangino le nozze secondo la tradizione, garantendo così il rispetto formale delle consuetudini culturali. Un altro possibile ambito di contrattazione riguarda il mercato matrimoniale entro cui attingere per scegliere un partner. Molti intervistati hanno manifestato una evidente preferenza per giovani punjabi indiani che però siano nati in Italia (o in altri paesi di immigrazione), o quanto meno siano cresciuti in contesto migratorio (Ballard 1990). Si può ipotizzare che, oltre alle motivazioni di natura pratica, alla base di questi ragionamenti vi siano valutazioni di altro tipo, attinenti alla mentalità e alle abitudini, oppure alla comunanza di esperienze fra persone che vivono in uno stesso ambiente. Comunque sia, questo aspetto in apparenza secondario identifica un ambito di possibile scontro intergenerazionale e denota un progressivo cambio di prospettiva da parte dei giovani: il matrimonio non è più uno strumento con cui ribadire la propria appartenenza ad un network che si colloca soprattutto nel paese di origine. Da parte delle seconde generazioni, l’allargamento del mercato matrimoniale ai paesi della migrazione sembra testimoniare lo spostamento dello sguardo dal paese di origine (come universo relazionale e simbolico di riferimento) verso i paesi di elezione, e la possibile ridefinizione delle pratiche transnazionali della famiglia. Genitori e figli possono avere, su questo e altri punti, aspettative e necessità diverse.

Aspettative e necessità diverse tra genitori e figli emergono anche dalle interviste svolte con le famiglie marocchine. In questo caso l’attenzione si focalizza sui diversi stili di vita tra genitori e figli e sulla rimodulazione dei rispettivi spazi di autonomia.

Nella mia crescita, perché io sono femmina … ci sono state delle imposizioni più forti: non dovevo fare tardi, se dovevo uscire non potevo farlo con maschi … e io dicevo: ma scusa … se io è da l’asilo che frequento maschi … Io allora ho deciso di rompere. Sono anche andata via di casa a 18 anni, eh? Me lo ricordo, un bello strappo … per gli altri miei fratelli non è stata la stessa cosa … cambia il fatto che io sono una donna e loro uomini … (ragazza marocchina, 26 anni)

È l’età adolescenziale dei figli la fase che sembra essere maggiormente attraversata da divergenze esplicite e non è casuale che tali divergenze riguardino prevalentemente il rapporto tra padri e figlie assumendo una connotazione di genere (Kraler et al. 2011). La migrazione e la dimensione transnazionale, infatti, hanno la forza di ridefinire le relazioni intra-familiari e le identità individuali e di gruppo, ma la direzione di tale ridefinizione non è mai scontata. La dimensione transnazionale in cui si situano le famiglie migranti marocchine residenti in Italia, ad esempio, è evidentemente informata da differenti regolazioni riconducibili a pratiche, valori e identità di diversa origine, ma, come nota Salih (2001), tutte basate sulla stessa interpretazione egemonica della relazione tra i generi come fortemente asimmetrica. Ciò non significa che anche a fronte di costrizioni generate e in una certa misura rafforzate dalla competizione di diverse regolazioni non sia possibile mettere in atto un vasto ventaglio di strategie di negoziazione e proprio la stessa dimensione transnazionale si presenta come spazio d’opportunità per l’ampliamento di questo ventaglio. In questo senso, le complesse strategie di negoziazione messe in atto dalle e nelle famiglie (tra le famiglie e il contesto in cui si collocano, ma anche tra i singoli membri della stessa famiglia) risultano essere comprensibili non tanto in termini di adattamento o di assemblaggio tra identità, pratiche e codici diversi, ben conosciuti e situabili territorialmente, ma piuttosto in termini di invenzione di un nuovo spazio sociale le cui pratiche, identità e codici sono da scoprire di volta in volta anche attraverso l’attenta gestione delle relazioni tra il qui, il là e l’altrove (Foner 1997).

Io sono marocchina, oggi mi sento ancora marocchina, ma anche … mi sento italiana da molti anni e allo stesso tempo nessuno dei due … adesso non ricordo l’hanno esattamente … mi ricordo che con la strage di Capaci, mi ricordo che mi colpì, ero una bambina ancora e mi ero detta, come dicono i bambini, che da grande volevo fare il magistrato! Lì cominciai … a pensare che forse il mio futuro potrebbe essere qui. Cominci ad avere un desiderio che vorresti realizzare e quando inizi ad avere un desiderio, bene, sei fregato, nel senso che hai già deciso: vuoi rimanere qui … io poi sono tornata in Marocco a 18 anni … dopo che avevo litigato con mio padre … perché … mi sono detta: l’unico posto dove potrei andare e dove potrei essere tranquilla è in Marocco … mi sono presa tre mesi e ho riscoperto il Marocco, ma perché avevo proprio bisogno di riscoprirlo … sono andata da sola però [senza famiglia] e ho visto zone che non avrei mai potuto vedere se fossi andata a fare le vacanze dalla famiglia … e la cosa incredibile è che ne sentivo parlare non da marocchini ma da italiani … La cosa bella è che i marocchini non conoscono il Marocco … quando vanno giù vanno solo … dai loro parenti … e quindi … io ne ho approfittato che ero sola per scoprire il Marocco … (ragazza marocchina, 26 anni)

4. Gli effetti della stratificazione civica sulle famiglie ricongiunte transnazionali

In un regime di stratificazione civica il riconoscimento del ricongiungimento familiare come diritto dei migranti non risulta essere in contraddizione con la presenza di vincoli e limitazioni riferiti ad esso. Il sistema di stratificazione civica, infatti, prevede che il ricongiungimento in quanto diritto possa essere riconosciuto in modo differenziato, ovvero solo a condizione che il soggetto dimostri di possedere specifici requisiti e ha in questa condizione uno dei suoi pilastri portanti e imprescindibili. I requisiti dal possesso dei quali dipende la possibilità di godere del diritto di ricongiungere la famiglia risultano essere stabiliti da regole di transizione che si ispirano a principi procedurali, impersonali e universalistici, di merito, secondo Lockwood, che si declinano nella capacità di auto-mantenimento, seguendo Morris. Il ricongiungimento, inoltre, oltre ad essere un diritto distribuito in modo differenziato a seconda dello status di residenza del soggetto richiedente, produce a sua volta una differenziazione nella distribuzione dei diritti nei confronti dei destinatari del ricongiungimento. È possibile, infatti, individuare elementi di differenziazione dei diritti di cittadinanza attribuiti ai familiari ricongiunti e una serie di vincoli, limitazioni e condizioni (diversi da paese a paese) a cui questi ultimi devono attenersi. È possibile distinguere a livello analitico diverse dimensioni familiari in cui la stratificazione civica in competizione con le strategie dei soggetti individuali e collettivi informa il processo di riunificazione delle famiglie e più o meno indirettamente anche lo spazio transnazionale in cui queste si collocano.

Una prima dimensione è quella della morfogenesi familiare. La stratificazione civica, regolando la possibilità di operare il ricongiungimento attraverso l’istituzione di precisi dispositivi, contribuisce a definire i tempi e le modalità della riunificazione familiare oltre che le caratteristiche della forma che la famiglia va ad assumere. La progettazione e le strategie di ricongiungimento familiare dei migranti devono necessariamente interagire con la regolazione normativa della stratificazione civica (anche la trasgressione di tale normativa implica una relazione con essa) e di conseguenza i tempi e le modalità per l’ottenimento dei requisiti per operare il ricongiungimento risultano essere inevitabilmente condizionati (Rinaldini 2010).

Allo stesso tempo l’adeguamento ai tempi e alle modalità stabilite dalla normativa per potere esercitare il diritto a ricongiungere la propria famiglia può produrre la necessità per il ricongiungente di selezionare i membri della famiglia, contribuendo a determinare la forma di quest’ultima ed influenzandone le pratiche transnazionali. Un esempio è quello dei figli che raggiungono la maggior età prima che il genitore emigrato riesca ad acquisire uno status di residenza che gli permetta di attivare il ricongiungimento. Alcuni tra coloro che sono stati intervistati nel corso della ricerca, invece, hanno raccontato di non avere potuto ricongiungere i genitori e che questo vincolo, oltre che condizionare negativamente l’integrazione della famiglia nella società d’accoglienza, ha anche mutato radicalmente la forma e l’estensione della famiglia stessa.

Se ci fossero i nonni, darebbero una mano per i figli e … quando mia moglie si è ammalata io mi sono rovinato tutto, ho dovuto mollare una cosa, un’altra … e andato tutto male … se c’erano nonni forse non dovevo lasciare lavoro, ma non c’era possibilità di fare il ricongiungimento dei nonni, non potevamo farlo … (uomo, marocchino, 50 anni)

È evidente, quindi, che la stratificazione civica ricopre un ruolo rilevante nel determinare tempi, modalità e forma della famiglia ricongiunta. Allo stesso tempo la stratificazione civica, limitando la migrazione dei membri del network parentale e costringendo al mantenimento di una distanza spaziale fra alcuni membri della rete, sostiene indirettamente la produzione e la riproduzione di pratiche transnazionali della famiglia. A fronte dell’obbligo di selezionare i membri della famiglia da ricongiungere, la dimensione transnazionale può essere una delle modalità attraverso cui, seppur a distanza, riarticolare e dunque mantenere i legami familiari. La prospettiva analitica della stratificazione civica permette quindi di superare alcuni limiti delle analisi basate sul transazionalismo, evidenziando i condizionamenti che il quadro normativo esercita sulle progettualità individuali.

Una seconda dimensione su cui è utile riflettere è quella dell’inclusione familiare. La stratificazione civica prevede l’istituzionalizzazione di diversi profili socio-giuridici all’interno dello stesso nucleo familiare, creando diseguaglianze civiche interne alla famiglia e contribuendo a tracciare distinte traiettorie di inclusione nella società di arrivo. Tutto ciò, però, in alcuni casi sembra avere esiti paradossali rispetto alla costruzione di un campo sociale transnazionale della famiglia. Infatti, la progressiva inclusione nel sistema di garanzie formali, connesso al passaggio fra diversi status di residenza del migrante – e dunque, il progressivo aumento di quelle sicurezze economiche (un lavoro fisso, una proprietà immobiliare) ed amministrative (la carta di soggiorno) che garantiscono una certa stabilità ed un certo grado di inserimento nella società italiana – può incentivare spinte opposte, stimolando i comportamenti transnazionali.

[I miei genitori sono ancora in Pakistan e non vogliono venire in Italia] mai. Forse adesso vado via anche io, perché non posso [lasciarli soli], tutta [la nostra] famiglia [è] qua [quindi] … ho pensato che un anno o due e vado via… torno [in Pakistan]…[Là abbiamo molta] terra… fanno aeroporto nuovo, internazionale vicino… Un sacco di soldi mi [danno] … per la terra… [Mio] padre [non vuole venire qui], come i vecchi che… non vuole lasciare la terra, tutti gli animali c’erano bufali molti… (…) [Prima] c’erano [i miei] fratelli [in Pakistan], [adesso sono] tutti qua, meglio che deve uno stare là [per curare i nostri interessi]… (uomo, pachistano, 39 anni)

Ciò che emerge da alcune interviste è il fatto che in un sistema di stratificazione civica, più lo status di residenza conferisce stabilità, tutele e sicurezza ai migranti, maggiore è la possibilità di risiedere fuori dall’Italia per lunghi periodi di tempo, oppure di vivere in due luoghi facendo ritorno di frequente in patria per curare anche là gli interessi economici della famiglia allargata.[6]

Quanto descritto può avere delle ricadute sui processi di inserimento nella società italiana. Parlando della relazione dinamica fra paese di origine e di accoglienza e del tipo di impegno dei migranti nelle diverse sponde del loro campo sociale transnazionale, Tsuda (2012) individua quattro possibili atteggiamenti: il primo corrisponde ad un gioco a somma zero, in cui ad un maggiore impegno e coinvolgimento su una sponda del campo corrisponde un simmetrico disimpegno sull’altra; il secondo comporta un coinvolgimento parallelo, laddove però le due dimensioni di vita sono mantenute separate; il terzo corrisponde ad una situazione in cui il coinvolgimento in un ambito rinforza anche l’impegno nell’altro; infine, il quarto atteggiamento corrisponde invece ad un disimpegno su entrambi i fronti. Non sempre cioè le pratiche transnazionali dei soggetti, sostenute anche dalla stratificazione civica, hanno risvolti immediatamente positivi per i processi di inclusione familiare.

Vediamo l’esempio della storia di Rabia, una donna pachistana. Quando la incontriamo per la prima volta, questa donna ha due figlie femmine, una frequenta la scuola elementare e l’altra quella materna. Rabia lamenta difficoltà nei rapporti con le istituzioni scolastiche e parla di conflittualità fra i suoi figli e gli altri bambini italiani. A suo avviso, il trattamento che le maestre riservano ai pachistani non è uguale a quello che è riservato agli altri alunni, c’è un certo pregiudizio che porta all’esclusione e all’isolamento in classe. D’altra parte, Rabia sostiene che, nei confronti dei genitori, l’istituzione scolastica ha scarsa tolleranza per comportamenti ritenuti poco rilevanti (come ad esempio arrivare tardi a scuola). La donna, però, non si attiva direttamente per affrontare, tramite il dialogo, la situazione. Rabia ipotizza quindi di tornare in Pakistan per qualche anno, almeno per la durata dei cicli primari di studio, ma questo progetto è avversato dalle figlie che, essendo nate e cresciute in Italia, si sentono maggiormente legate della madre al proprio ambiente di vita. L’intenzione materna tradisce in effetti anche una forte diffidenza nei confronti delle istituzioni scolastiche, portatrici di valori e modelli comportamentali che, soprattutto per quanto riguarda l’educazione delle bambine, sono considerati molto diversi da quelli della propria tradizione.

Poi qualche volta ritardo, mamma mia, è molto… sempre dicono che pakistani [sono in] ritardo a bimbi prendere: (…) qualche volta si può ritardare, anche! (…) Prima io sto bene, però adesso troppo peggiorato. Adesso qualche volta mi sento… perché quando vanno a scuola i bambini, non tanto vogliono bene ai nostri figli qua… per questo penso che vado nel mio paese per studiare anche i miei figli, così un po’… (…) Io non tanto fatto colloquio con la maestra, perché io non vado al colloquio, qualche volta vado, qualche volta non vado. [Mio marito, però, non vuole che torni in Pakistan]. Perché difficile anche per i bambini, per questo non vado, perché quando vado là, sono stata anno scorso quattro mesi, bambini vogliono venire qua con suo padre…(…) Perché due o tre mesi vacanza va bene, però sempre abitare, non vogliono. E’ difficile per me. (Rabia, pachistana, 24 anni)

I servizi scolastici e per l’infanzia possono quindi divenire, come in questo caso, un terreno di possibile scontro e di rafforzamento di reciproci stereotipi. D’altra parte, l’utilizzo che talvolta viene fatto da parte dell’utenza pachistana di questo tipo di risorse appare molto strumentale. La scuola materna, ad esempio, pare essere soprattutto percepita come un veicolo per facilitare l’apprendimento della lingua italiana da parte dei propri figli e come un modo per alleviare le fatiche e le incombenze domestiche della donna. Accade così che i bambini vi possano essere lasciati anche solo per poche ore al giorno (e richiamati a casa per il pranzo a metà mattina, anche per evitare che si consumino cibi non permessi o comunque un tipo di cucina non gradita) o per pochi giorni alla settimana, quando insomma la madre ne ha la necessità. Questo atteggiamento tradisce il fatto che, nel caso in questione, non si percepisce fino in fondo il valore educativo del servizio, né la finalità socializzante o l’importanza per i bambini di stare fra propri pari, di creare legami e di apprendere regole e comportamenti comunitari, sebbene in parte connotati culturalmente. Rabia non è spaventata dall’idea di vivere un po’ qui e un po’ là con pezzi della propria famiglia, o di andare e venire fra una realtà e l’altra anche per periodi temporali lunghi; questa soluzione è anzi percepita come dimensione di vita conveniente e desiderabile. Sentirsi parte di un network parentale allargato – in parte ricostruito nel contesto migratorio, in parte ancora nel paese d’origine – permette di percepire se stessi come appartenenti a due mondi relazionali paritetici e di risignificare la lontananza fisica dal partner come evento contingente e non particolarmente drammatico, poiché si accompagna al ricongiungimento contestuale con la propria famiglia di origine in Pakistan. Shaw e Charsley (2006), riferendosi ai pachistani in Gran Bretagna, sottolineano a questo riguardo come la migrazione a seguito del ricongiungimento sia un processo che allo stesso tempo cancella le distanze fra i coniugi e ne genera delle nuove, ad esempio fra la donna e la sua famiglia di origine. Questo processo crea le precondizioni di ulteriori migrazioni nel tempo (che possono essere intese come ritorni per periodi più o meno prolungati da parte del soggetto ricongiunto), in un processo che non si esaurisce. Per Rabia, vivere a cavallo fra due mondi rende ad esempio possibile, nel paese d’origine, godere dei benefici che derivano dall’essere emigrati (una certa ricchezza economica, un certo prestigio sociale, ecc.), sentirsi parte del contesto senza doversi assumere particolari ruoli o responsabilità, accettare o rifiutare di volta in volta le abitudini ed i modelli comportamentali dei due mondi in cui si vive a seconda della convenienza e delle circostanze, rinegoziare in modo strumentale la propria appartenenza e la propria identità, ritrovare periodicamente i propri affetti familiari.

Potremmo dire che un certo grado di inclusione nel sistema delle garanzie della società italiana (ad esempio il fatto di avere documenti di lungo soggiorno) permettono alla donna di concepire la possibilità di un proprio disimpegno nei confronti della dimensione sociale in cui si trova a vivere, a favore di un maggiore impegno e presenza nel paese di origine, oppure di un coinvolgimento di volta in volta ridefinito e contingente, sulla base di un uso anche strumentale della doppia appartenenza e della condizione di «bifocalità». Tutto ciò però può avere delle conseguenze nei confronti delle figlie e dei processi di inclusione della famiglia nel suo complesso.

5. Conclusioni

Il saggio ha messo in evidenza come le partiche di rivisitazione delle tradizioni e la generale riconfigurazione delle relazioni parentali delle famiglie migranti siano parte costitutiva della dimensione transnazionale in cui gli immigrati, in una certa misura, sono sempre situati. Tutto ciò però non si situa in un vacuum normativo legale. I processi di riconfigurazione delle pratiche matrimoniali e di rimodulazione dei rapporti parentali, tra generazioni e tra generi, sono stati quindi osservati attraverso la prospettiva della stratificazione civica e ciò che emerge sembra indicare che quest’ultima svolga un ruolo tutt’altro che secondario nelle dinamiche relazionali intra-familiari. In particolare, l’analisi ha mostrato che la stratificazione civica determina i tempi, i modi e la forma della famiglia ricongiunta e, in tal senso, ne condiziona anche le pratiche transnazionali, costringendo talvolta ad una rivisitazione della tradizione stessa. Nello stesso tempo, l’analisi ha evidenziato anche la capacità dei soggetti intervistati di elaborare – a partire dai condizionamenti normativi – soluzioni innovative, adattando le pratiche quotidiane o le scelte tradizionali, rivisitando gli equilibri interni alla famiglia e ridefinendo le consuetudini culturali in modo utile e costruttivo nell’ambito del proprio campo sociale transnazionale.

In questo senso ci sembra che l’utilizzo del paradigma analitico della stratificazione civica possa permettere di superare alcune delle lacune dell’approccio teorico del transnazionalismo, poiché evidenzia i condizionamenti esterni ed oggettivi che gravano sull’agency e la progettualità transnazionale dei soggetti e delle famiglie migranti. In altre parole, questa prospettiva analitica permette di superare una lettura eccessivamente iposocializzata dei processi migratori familiari, una lettura che tende cioè a sovrastimare l’autonomia delle reti migratorie ego-centrate (in rapporto a cui si costruisce il campo sociale transnazionale dei soggetti) e dell’iniziativa individuale in esse esercitata. Allo stesso modo, però, l’indagine sulle scelte ed i comportamenti transnazionali favorisce il superamento della rigidità analitica che può caratterizzare un’analisi top-down, unicamente basata sul paradigma della stratificazione civica, che a sua volta può correre il rischio opposto di offrire un’interpretazione ipersocializzata, trascurando così la progettualità transnazionale degli individui e delle loro famiglie.

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1

Si tratta di una letteratura assai ampia. A titolo puramente esemplificativo, si veda Ehrenreich e Hochschild (2004).

2

La ricerca condotta per conto della provincia di Reggio Emilia ha avuto per oggetto le famiglie ricongiunte. La ricerca di durata triennale ha previsto una prima fase di indagine, in cui sono stati coinvolti operatori ed amministratori del territorio tramite interviste semi-strutturate e focus group, ed una seconda fase, durante la quale sono stati intervistati i membri di famiglie ricongiunte. Nel presente saggio faremo riferimento solo alle testimonianze di questi ultimi.

3

In totale sono state effettuati 33 colloqui con membri di famiglie ricongiunte (10 marocchini, 13 pakistani, 10 indiani), solitamente con i coniugi e, in quattro casi per ragioni di età, anche con i figli di nuclei familiari marocchini. Volendo indagare il punto di vista dei figli relativo soprattutto alle questioni della rivisitazione della tradizione familiare e del matrimonio combinato, si è reso necessario un approfondimento che ha portato a svolgere anche una quarantina di interviste semi strutturate, rivolte a giovani ricongiunti indiani e pachistani. Tutte le interviste sono avvenute in lingua italiana, tranne che in due casi (una donna indiana e una pachistana) in cui si è resa necessaria la presenza del mediatore culturale. E’ stata usata una tecnica di campionamento a valanga, basato sulla progressiva segnalazione da parte di amici o conoscenti connazionali. Questo tipo di campionamento ha permesso di abbattere una serie di iniziali diffidenze e di affrontare più facilmente alcuni temi delicati, come la scelta del partner e i possibili scontri intergenerazionali. Le interviste ai membri delle famiglie si sono svolti nella maggior parte dei casi presso le rispettive abitazioni; le interviste ai giovani ricongiunti, invece, sono avvenute presso luoghi pubblici di ritrovo. L’esiguità dello spazio a disposizione non ci permette di indagare aspetti importanti del campione, in particolare l’anzianità migratoria, la condizione occupazionale o scolastica, lo status giuridico, ecc. per i quali si rimanda a Tognetti Bordogna (2011).

4

Soprattutto per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, l’analisi ha preso in esame la dimensione di genere, esplorando il mutamento dei ruoli e degli equilibri di potere in seno alla famiglia ricongiunta. Esigenze di sintesi espositiva non ci permettono di analizzare l’influenza di altre variabili come l’origine socio-economica, la casta, il lignaggio dei soggetti intervistati, su cui ci si è maggiormente soffermati in Tognetti Bordogna (2011).

5

In particolare, fra i pachistani il matrimonio deve essere combinato fra coniugi che appartengono alla stessa casta e allo stesso lignaggio; per gli indiani, invece, vige la regola dell’endogamia di casta e dell’esogamia di lignaggio (Bertolani 2012).

6

La frequente mobilità transnazionale è stata spesso definita marginale, perché tipica di una migrazione «ricca» oppure attribuita a flussi provenienti da paesi geograficamente vicini all’Italia. In realtà, nel nostro campione questo aspetto è emerso come una prassi effettiva in almeno tre casi, ha riguardato una famiglia indiana e due pachistane e, solo in un caso, ha avuto motivazioni di tipo prettamente economico. Questo aspetto necessita dunque di essere ulteriormente approfondito in altre ricerche, che si soffermino sulla eventuale maggiore predisposizione al pendolarismo transnazionale di alcuni gruppi nazionali o soggetti, in relazione al genere, all’età, alla fase del ciclo di vita familiare, ecc. Questi argomenti, qui solo accennati, sono stati meglio approfonditi in Tognetti Bordogna (2011).

  • Articolo
  • pp:69-87
  • DOI: 10.1485/AIS_0_2012/TEORIA_RICERCA_3
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