AIS

2015/5

Editoriale (Editorial), di Marita Rampazi


Il numero cinque della Rivista si apre con tre contributi dedicati a Werner Sombart: una scelta motivata, innanzi tutto, dall’intenzione di ricordare che, nel 2013, è stato celebrato il centenario della pubblicazione di Der Bourgeois, che, come si sa, ha avuto un ruolo centrale nel dibattito sulle origini del capitalismo e della società moderna. L’anniversario ha, fra l’altro, offerto l’opportunità di tornare al suo pensiero, facendone un bilancio critico, in occasione di un convegno organizzato, nel 2014, dal Dipartimento di Storia, Società e Studi dell’Uomo dell’Università di Lecce. L’incontro, al quale hanno partecipato i più autorevoli studiosi italiani dell’Autore, ha contribuito a restituire gran parte della sua attualità all’opera di Sombart – che, in anni recenti, è stato frequentemente ignorato o frainteso –,

riportando alla luce un insieme di questioni d’indubbio interesse per la sociologia contemporanea. Da questa «riscoperta», nasce la seconda ragione della nostra scelta: proporre ai lettori di Sociologia Italiana-Ais Journal of Sociology alcuni spunti di riflessione che si ritrovano in Sombart, con particolare riferimento a tre aree tematiche. La prima, oggetto del contributo di Vitantonio Gioia, riguarda le differenti prospettive analitiche che caratterizzano l’analisi sombartiana del capitalismo moderno e il modo in cui tali differenze si sono riflesse nella sua prefigurazione del futuro del capitalismo. La seconda, proposta da Roberta Iannone, si riferisce alle sfide che la modernità pone all’umanizzazione, mettendo in crisi le idee stesse di «uomo» e di «persona». La terza, al centro del saggio di Leonardo Allodi, riguarda l’intreccio fra la dimensione storico-comparativa della lunga durata, da un lato, e quella fenomenologico-comprendente, dall’altro, che si riscontra nei lavori di Sombart e si ripropone con grande attualità nel dibattito epistemologico contemporaneo.

La rubrica teoria e ricerca, in cui compaiono questi contributi, ospita, inoltre, un saggio di Paolo Jedlowski sui rapporti fra sociologia e studi culturali, in particolare, sull’esistenza di numerosi punti di contatto tra questi ultimi e la sociologia critica, oltre a quella fenomenologica, in cui si celano interessanti opportunità di «feconde interazioni e ibridazioni reciproche». L’ultimo contributo della rubrica, di Sabrina Perra ed Elisabetta Ruspini, prende spunto dalla recente campagna «Women Against Feminism» (Waf), molto seguita sui social network, per interrogarsi sul significato del femminismo e dell’antifemminismo, oggi, proponendo una lettura del fenomeno Waf nei termini di un cortocircuito generazionale, che viene analizzato con particolare riguardo al caso italiano.

La rubrica focus è dedicata al precariato intellettuale, alla luce dell’esperienza dei precari universitari. Si tratta di una questione centrale per il futuro dell’Università, oltre ad essere motivo di inquietanti interrogativi circa la fisionomia che il lavoro sta assumendo nelle prospettive di vita delle giovani generazioni. è un problema di cui l’Ais intende farsi portavoce presso la comunità scientifica e le sedi istituzionali, come testimoniano i due incontri organizzati, rispettivamente, a Parma e a Roma, per iniziativa della sezione Vita Quotidiana, con il pieno sostegno degli organi nazionali dell’Associazione. La rubrica, curata da Vincenza Pellegrino, autrice del saggio di apertura, ospita alcuni fra i contributi portati all’incontro di Parma da giovani sociologi precari provenienti da diverse regioni ed esperienze di lavoro. Ad essi è stato chiesto di prendere le mosse dalla propria storia personale, per sviluppare una riflessione più generale su che cosa significhi fare ricerca oggi, per un giovane; lavorare all’interno dell’Università, senza alcuna certezza di reddito, stabilizzazione, carriera; cercare di contrastare gli effetti perversi della situazione attuale: dall’isolamento, alla perdita d’identità professionale, al crescere della dimensione del «lavoro non pagato», al rischio che tempi/spazi/relazioni di lavoro finiscano per fagocitare tempi/spazi/relazioni della vita personale. Il quadro che emerge da questi interventi è desolante, se pensiamo al futuro che si prospetta a chi nutre la passione per la ricerca. Ma è anche denso di stimoli, se prendiamo in considerazione la tensione che anima la riflessione di questi giovani sulla natura della conoscenza e la figura dello scienziato sociale, oggi, anche alla luce della necessità di ripensare il rapporto tra l’università e il contesto socio-istituzionale in cui è inserita. è un filo rosso che ritroviamo in tutti i saggi, innanzi tutto, in quello di un gruppo di assegniste di Trento – Elisa Bellè, Rossella Bozzon, Annalisa Murgia, Caterina Peroni ed Elisa Rapetti –, coinvolte in un progetto di ricerca internazionale su genere e precarietà in accademia, le quali ragionano sull’ambiguo confine fra osservato e osservatore, che esse stanno sperimentando. Analoga ambiguità è oggetto del contributo di Antonio Ciniero – da anni impegnato nella ricerca su migranti e Rom presso l’Università del Salento –, sulle implicazioni metodologiche, teoriche e politiche del fatto di «fare ricerca sulla precarietà da precario». Il tema dell’emancipazione dalla precarietà, intesa più come una «condizione» che come una «classe» nei contesti capitalistici contemporanei, è al centro del saggio di Niccolò Bertuzzi e Paolo Borghi – due dottorandi di Milano, molto diversi «per età, percorso professionale, scelte di pianificazione familiare, prospettive di mobilità» –, che sottolineano l’importanza di trovare forme di riconoscimento adeguate per le risorse di cui sono portatrici le molteplici soggettività esistenti entro tale condizione. Il tema del riconoscimento torna nel saggio di Francesca Colella – borsista di ricerca di Roma –, sotto forma di difficoltà nella definizione della propria identità scientifica e disciplinare. Una difficoltà particolarmente acuta e demotivante, quando la socializzazione anticipata, su cui si fonda la riproducibilità del sistema accademico, si protrae, in condizioni molto difficili, per un tempo eccessivamente lungo e senza certezze di futuro. La difficoltà di una situazione che produce spesso forme faticose di pendolarismo, non solo fra luoghi di lavoro lontani gli uni dagli altri, ma anche fra attività molto differenti, è sottolineata da Chiara Marchetti – docente a contratto a Milano e collaboratrice di una onlus di Parma – la quale, tuttavia, mette in luce anche importanti sperimentazioni stimolate da tale condizione. Sono sperimentazioni di «forme e pratiche di produzione del sapere e di resistenza dentro e fuori l’università», che aprono nuovi orizzonti e profilano impensate risorse conoscitive, cui non sempre si ha accesso restando all’interno delle istituzioni accademiche.

L’intervista di questo numero è dedicata a Chiara Saraceno, una delle più note sociologhe italiane, di indiscusso prestigio internazionale. L’intervista, realizzata da Manuela Naldini, prende le mosse dalla sua formazione, prima, negli anni degli studi universitari alla Cattolica di Milano, poi, in quelli dell’assistentato volontario in filosofia – sempre alla Cattolica – e della partecipazione ai movimenti studenteschi, che hanno aperto la strada al suo impegno sui problemi della condizione femminile ed hanno preluso al «nuovo corso» della sua carriera professionale, da sociologa, a Trento, chiamata da Alberoni. In quella sede, è maturato l’interesse per la sociologia della famiglia, un tema considerato «marginale», allora, e che Chiara Saraceno ha contribuito a valorizzare, proponendo una prospettiva nuova, in cui lo studio della famiglia veniva intrecciato con la riflessione sulle questioni di genere. Tale prospettiva, unita a un approccio di tipo storico e comparato, ha rappresentato una radicale innovazione per l’analisi di questo tema, che, col tempo, ha contribuito a consolidare l’autorevolezza di cui hanno goduto e godono tuttora i lavori di Chiara Saraceno nel dibattito nazionale e internazionale. Gli anni successivi hanno portato a questa studiosa nuovi interessi – il sistema di welfare, la povertà, l’età e il corso della vita –, nuove sfide e nuovi riconoscimenti: dalla partecipazione a diverse Commissioni governative, alla nomina a Grandufficiale della Repubblica, fino a quella di corresponding fellow della British Academy e di professore di ricerca presso il Wissenschaftszentrum für Sozialforschung di Berlino. è stato un percorso complesso e difficile, che si può considerare esemplare, per la passione conoscitiva, l’onestà intellettuale, la tensione etica che l’hanno sorretto e che i lettori potranno apprezzare compiutamente dalle parole della sua protagonista.

  • Articolo
  • pp:7-9
  • DOI: 10.1485/AIS_5_APRILE_2015_EDITORIALE
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