Editoriali

30/06/2016

Marita Rampazi

Editoriale (n.7 2016)


Questo numero si apre con un saggio di Franco Rositi, che richiama l’attenzione della comunità sociologica su una questione di fondo, tuttora irrisolta: la definizione dello specifico «luogo» che la sociologia occupa nell’ambito delle scienze umane. A fronte dell’attuale crisi di prestigio, di fiducia, per certi versi persino di credibilità, che ha investito la nostra disciplina, l’autore sostiene che la difficoltà di offrire una precisa immagine pubblica della sociologia, oggi, vada ricercata nell’assenza di un comune quadro teorico di riferimento al quale ricondurre le molteplici articolazioni verso cui si sta orientando la ricerca. Il risultato è una dispersione, quando non una frammentazione del lavoro sociologico, che le pratiche interdisciplinari rischiano di enfatizzare, in mancanza di una chiara definizione dell’oggetto della sociologia e dei suoi confini. In tal senso, Rositi si richiama ai rapporti con le altre discipline dell’area umanistica, in particolare con l’economia, per mostrare «l’insufficienza e la subalternità di alcuni occasionali prestiti interdisciplinari». È un problema con cui occorre tornare a confrontarsi, particolarmente se si considera che, dall’esito di questo confronto, dipende la capacità delle attuali generazioni «adulte» di orientare la formazione e il lavoro dei giovani, a cui è affidato il futuro della nostra disciplina.

Ed è precisamente al lavoro dei giovani che sono dedicati i successivi contributi della rubrica teoria e ricerca.

L’articolo di Maria Grazia Gambardella ha per oggetto lo spaesamento dei giovani, oggi, con particolare riferimento alla crisi della sfera pubblica e allo sgretolamento dello spazio politico. L’ipotesi di Maria Grazia Gambardella riguarda l’esistenza, per una parte dell’universo giovanile, di strategie di resistenza a questo processo di disgregazione. Si tratta di strategie, volte alla riconquista e alla risignificazione degli spazi urbani, ridisegnando limiti e frontiere, inventando itinerari e riconfigurazioni inedite per la vita quotidiana, allo scopo di ricostruire memorie e di tornare a pensarsi nel futuro. Questa volontà di memoria e di futuro è particolarmente evidente nell’attività dei centri sociali, che l’autrice ha studiato nella realtà milanese, mostrando come essi rappresentino uno «spazio protettivo, di formazione, laboratorio di sperimentazione», che sposta il baricentro del conflitto dall’idea di accettazione passiva delle delimitazioni metropolitane a quella di sperimentazione e messa in discussione dei suoi confini.

Il terzo saggio, di Paolo Iagulli, è dedicato al contributo di Norbert Elias alla sociologia delle emozioni, o meglio a «una storia della sociologia delle emozioni, ancor prima che alla sociologia delle emozioni». L’obiettivo di Iagulli non è tanto di avanzare ipotesi interpretative sulle emozioni nella società contemporanea, quanto di mettere a fuoco le tracce di un interesse pionieristico per questo tema nel pensiero di Elias e di mettere in evidenza come queste tracce abbiano orientato uno dei suoi principali discepoli, l’olandese Cas Wouters, verso un’analisi dell’evoluzione contemporanea del processo di civilizzazione. Wouters guarda al cambiamento nelle modalità di controllo delle emozioni come a una chiave interpretativa centrale della condizione del soggetto nella realtà attuale, contrassegnata da un inedito processo di «informalizzazione». L’«informalizzazione» significa che il rispetto delle norme sociali dipende sempre meno da controlli esterni interiorizzati e sempre più da un «tipo di autoregolazione emozionale più riflessiva e flessibile» da parte dei singoli. Ne consegue una pluralità di alternative comportamentali, insieme alla crescente differenziazione degli stili di relazione, caratterizzati in misura crescente da informalità e flessibilità.

Di fatto, riteniamo di poter aggiungere all’analisi di Iagulli, l’informalizzazione si sviluppa intrecciandosi strettamente con il processo di individualizzazione. Un processo, come si sa, osservabile in tutti gli ambiti significativi della vita associata, oggi, a partire da quelli che coinvolgono l’uso e i significati dello spazio. Ed è sul rapporto tra il soggetto e lo spazio fisico, anzi su una specifica porzione di spazio particolarmente carica di significati, strumentali, affettivi, relazionali – la casa –, che si focalizza il quarto e ultimo contributo di questa rubrica, a opera di Irene Sartoretti. Il saggio illustra parte di una ricerca sui modi di vivere la casa e di configurare lo spazio domestico, in un gruppo di giovani coppie milanesi di status medio e medio-alto. La risonanza fra dinamiche sociali di ampia portata – quali, la mobilità geografica, la flessibilità di percorsi e carriere, la temporaneità –, da un lato e gli spazi e i vissuti domestici, dall’altro, è stata colta analizzando le logiche che sottendono l’acquisto, la disposizione e le forme di manipolazione fisica e simbolica del mobile Ikea. Nel saggio, il mobile Ikea è considerato «come fatto sociale totale, ossia come condensatore della realtà sociale nella sua totalità» nella misura in cui è entrato nell’immaginario culturale come un’icona della contemporaneità. In tal senso, esso si propone come l’espressione di vissuti domestici dominati dall’idea dell’instabilità/provvisorietà della propria collocazione nel tempo e nello spazio, di stili di vita centrati sulle esperienze extradomestiche e sui consumi immediati, di identità sociali in continua reinvenzione, di nuove «grammatiche del gusto, incentrate più che sul valore economico dell’oggetto, sull’esibizione enfatica di una sua creativa appropriazione».

La rubrica focus ospita un ampio contributo di Alessandra Decataldo, Carla Facchini, Barbara Mazza, che si propone come una sorta di completamento degli esiti della ricerca nazionale sui laureati in Sociologia – presentati sul numero 6 della Rivista – promossa dall’Ais e realizzata dal Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale di Milano-Bicocca, con il contributo di ricercatori di diverse sedi universitarie. Nel corso della ricerca, insieme al campione nazionale di laureati triennali in Sociologia, sono stati considerati anche i laureati di primo livello in Scienze della Comunicazione presso la Sapienza, Università di Roma, nel periodo 2004/05 e 2009/10.

L’articolo ospitato su questo numero analizza e compara la condizione occupazionale di questi laureati con quelli dei Corsi di laurea in Sociologia. Nel complesso, si considerano quattro corsi di laurea che, pur avendo una comune matrice sociologica, prevedono difformi profili formativi e professionali. E si presta particolare attenzione a quei laureati che hanno trovato un’occupazione dopo la laurea, al fine di cogliere elementi comuni e differenze per quanto concerne sia le chances di inserimento nel mercato del lavoro, sia i profili professionali.

L’intervista è dedicata a Marzio Barbagli, una figura di primo piano nella sociologia italiana degli ultimi quarant’anni, intervistato da Paola Di Nicola. Barbagli evoca gli esordi della sua carriera, caratterizzati da impegni lavorativi extra-universitari, sino all’ingresso, nel 1968, nell’Istituto «Cattaneo» di Bologna – a quel tempo, un crogiolo di idee e di sviluppi innovativi della ricerca sociale –, che ha diretto sino al 1970 e con il quale ha continuato a collaborare negli anni successivi, quando ha intrapreso un percorso accademico, che lo ha portato a Urbino, quindi a Bologna, a Trento e nuovamente a Bologna, dove ha fatto parte, sin dal 1970, dell’Associazione «il Mulino». La sua attività di docente e ricercatore è sempre stata orientata al dibattito internazionale, come testimonia, fra l’altro, la cooptazione, nel 2006, nella European Academy of Sociology. Un dibattito di cui ha contribuito a far conoscere nel nostro paese le novità più significative, particolarmente quelle di demografia storica, ma al quale ha altresì offerto un importante contributo con i propri studi. È stato visiting scholar presso università internazionali prestigiose e, in Italia, ha promosso importanti iniziative per lo sviluppo della sociologia. Ha collaborato con l’ISTAT, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno, nella ricerca e nell’elaborazione di politiche a sostegno delle famiglie e sui temi di sicurezza e migrazioni.

Dall’intervista emerge la figura di uno studioso, non solo estremamente rigoroso, sotto il profilo teorico e metodologico, ma anche e soprattutto dotato di quella «curiosità», che rappresenta il motore della conoscenza scientifica. Una curiosità che nasce dalla capacità di guardare la realtà con occhi attenti, liberi da preconcetti e pregiudizi, sperimentando «sorprese», che suscitano interrogativi, spesso inediti per la propria formazione disciplinare. Si spiega, così, la capacità di questo autore di precorrere i tempi, con studi pionieristici su temi non ancora all’ordine del giorno del dibattito scientifico e politico: la prima ricerca sugli insegnanti, dopo la riforma della scuola media, le indagini sulla famiglia in prospettiva storico-comparativa, quelle sulle migrazioni, la criminalità e la sicurezza, sulla sessualità e, in tempi recenti, quella sul suicidio, che è stata definita da Randall Collins come «il più importante libro di sociologia del suicidio apparso negli ultimi cento anni».

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