AIS

2016/7

I centri sociali a Milano. Storia di una resistenza culturale (Social centres in Milan. A history of cultural resistance), di Maria Grazia Gambardella


L’articolo intende mettere in luce come la riconquista e la risignificazione di spazi urbani possa rappresentare, per una parte dell’universo dei giovani, un modo per reagire allo spaesamento tipico della condizione giovanile contemporanea (Rampazi 2010); un modo per ricostruire sfera pubblica, spazio politico (Arendt 1961; Fraser 1992). Vuole mostrare come i centri sociali, nonostante attraversino un periodo di forte crisi, di ridefinizione organizzativa, riescano comunque a ricoprire un significativo ruolo di critica sociale.

Spazio protettivo, di formazione, laboratorio di sperimentazione, il centro sociale, con la sua capacità di nascere, morire e rinascere in un altro luogo, sposta il baricentro del conflitto dall’idea di accettazione passiva delle delimitazioni metropolitane a quella di sperimentazione e messa in discussione dei suoi confini. I suoi «abitanti clandestini» ridisegnano limiti e frontiere, inventano itinerari inediti e riconfigurano la vita quotidiana. Al loro interno i giovani ­– osservati e intervistati – non si chiudono in un fortilizio assediato, non si limitano a semplici «no». Reagendo, intravedono l’opportunità di costruire memoria e di immaginare un futuro possibile (Leccardi 2015).

Social centres in Milan. A history of cultural resistance. The article aims to illustrate how, at least for some young people, reclaiming and resignifying urban spaces could represent a way of reacting to the disorientation that typically characterises contemporary youth (Rampazi 2010), and an opportunity to reconstruct forms of the public sphere and political spaces (Arendt 1961; Fraser 1992). It sets out to highlight how social centres, although facing a period of severe crisis and organizational redefinition, can still play a role of social criticism. Viewed as a protected space for learning and experimentation, social centres, which can be set up and exist in one place, then close down and move elsewhere, shift the focus of conflict from the idea of passive acceptance of urban limitations to that of experimentation and challenging boundaries. Their «illegal residents» redraw boundaries and confines, invent new itineraries and reconfigure daily life. Inside social centres, young people - as observed and interviewed - are not intent on shutting out the world; they are not simply rejecting society. Their cultural practices give them the opportunity to build memories and imagine possible futures (Leccardi 2015).

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