Per un lungo periodo, l’ascesa della modernità è stata vista dalle scienze sociali come il trionfo di un processo di razionalizzazione e disincanto del mondo che avrebbe condotto la società, a tutti i livelli, ad una condizione nella quale, per dirla con Marx ed Engels, le emozioni, le passioni ma anche le relazioni umane “sarebbero state affogate nell’acqua gelida del calcolo egoistico” insieme ai “sacri brividi dell’esaltazione devota, dell’entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea”. Questa visione iper-razionalistica della modernità e del suo destino ha rappresentato non solo un’ideologia ma anche un’idealizzazione dalla quale la realtà si discostava sempre più.
Gli studi di Vilfredo Pareto, quelli sulle origini del totalitarismo di Hannah Arendt o sul processo di civilizzazione di Norbert Elias, tra gli altri, mostravano come la modernità si costruiva attraverso una riconfigurazione del rapporto tra “ragioni” ed “emozioni”, e non mediante la cancellazione della componente emotiva a favore di quella razionale.
Ciononostante, la teoria sociologica ha mantenuto a lungo un approccio attento più alla componente razionale che a quella emotiva dell’azione. Questa tendenza si è erosa solo a partire dagli anni Settanta, quando comincia a manifestarsi un interesse non occasionale per le emozioni intese, insieme, come componente dell’azione e come oggetto di analisi sociologica (tra tutti, Hochschild). In questo contesto – che, in alcuni casi, è anche di rottura rispetto alla classica idea di modernità – si sono sviluppati programmi di ricerca attenti all’analisi di aspetti del sociale non riconducibili al paradigma dell’attore\attrice razionale, come l’immaginario, la sessualità, il gioco ecc.
La svolta post-industriale e i processi connessi alla globalizzazione hanno reso ancora più evidente l’integrazione della componente emotiva nell’analisi, consolidando i filoni di ricerca incentrati sulla sociologia delle emozioni, ad esempio in relazione alle modalità con cui pratiche e modelli di soggettività si costruiscono nel mondo contemporaneo – si pensi a questo proposito al contributo offerto dai social movement studies, da Melucci ad Alberoni, da Touraine a Wieviorka.
L’analisi come la critica immanente del neoliberismo non possono che ripartire dalla necessità di elaborare chiavi di lettura, tecniche di ricerca e modelli teorici in grado di rimettere a tema l’inestricabile nodo tra “ragioni” ed “emozioni” e di riconoscerne l’ambivalenza: se da una parte lo sviluppo del capitalismo globale si è basato sulla messa a valore delle emozioni e la moltiplicazione di modelli di soggettività iper-performativi ed emozionalmente bulimici, tali da rovesciare il freddo “ascetismo intramondano” che Weber riconosceva alla base dello spirito del (primo) capitalismo, dall’altra la dimensione dell’“indignazione” come quella del “risentimento” hanno rappresentato vettori di mobilitazione sociale e politica in grado di scuotere nelle fondamenta, e con segni ed esiti diversi, la sfera pubblica in tutto il mondo. D’altro canto, la critica al modello neoliberale non può incentrarsi su una emotività diffusa, ma su processi razionali di analisi in grado di evidenziare come anche la componente emotiva sia messa a valore: a tal proposito, lo studio dello sviluppo del capitalismo digitale così come dei connessi processi di datafication e gamification, rappresenta un terreno privilegiato per compiere questa operazione.
Ci si deve allora chiedere in che modo ragione ed emozioni plasmano la contemporaneità, ad esempio evidenziando come la razionalità strumentale sia responsabile delle crisi contemporanee, non ultime quella ambientale e quella della pace tra i popoli. Allo stesso tempo, le emozioni assumono rilievo, sia come strumento di critica (ad esempio nella forma, spesso attivata emotivamente, della protesta) ma anche di controllo (ad esempio nella forma del consumo e della mercificazione). Su questo terreno fortemente ambivalente, un ruolo centrale è svolto dai media quali generatori di sfere emotive.
Così, le sfide che ci pone la modernità nella sua forma attuale non possono essere ridotte nell’opzione per uno dei poli di discussione. Le scienze sociali devono al contrario partire dalla natura insieme razionale ed emotiva dei processi sociali e, a partire da questa consapevolezza, proporre rappresentazioni plausibili e soluzioni praticabili.
Il convegno “Emozioni e ragioni nella società neo-liberista” intende affrontare temi come questi, focalizzando in particolare la propria attenzione sul contesto italiano ed europeo.