L’apertura di questo numero è dedicata a Zygmunt Bauman. A pochi mesi dalla sua morte, la Rivista gli rende omaggio con una nota di Carmen Leccardi, che riesce nell’ardua impresa di mettere a fuoco con pochi, ma precisi e intensi tratti l’aspetto più significativo della sua figura: l’inscindibile connubio fra impegno scientifico e tensione morale e politica, che ha fatto di Bauman una delle più autorevoli voci critiche della sociologia e, più in generale, della cultura contemporanea. Mosso dalla convinzione che compito storico delle élites intellettuali sia quello di «prendere posizione», denunciando le modalità spesso impercettibili con cui operano i meccanismi del dominio, generatori di esclusione, disuguaglianze, ingiustizie, Bauman non è mai venuto meno al proprio impegno verso un progetto di emancipazione umana, da realizzare nella sfera pubblica, con l’agire politico. Non a caso, l’utopia è uno dei temi che gli sono stati più cari. E, come mostra Carmen Leccardi, le sue ultime riflessioni – in Retrotopia, pubblicato nel gennaio di quest’anno – nascono dalla sua inquietudine per la crisi della sfera pubblica, generata dalla separazione fra potere e politica. Una situazione foriera del rischio, per l’umanità, che «la storia lunga cinquecento anni dell’utopia moderna» si chiuda, portando con sé l’atrofia del pensiero critico, insieme a una drammatica caduta della tensione verso il futuro.
Un impegno analogo a quello testimoniato dall’esperienza scientifica e personale di Bauman è ciò che maggiormente colpisce nell’opera di un altro grande interprete della sociologia contemporanea, scomparso a fine 2015. Ci riferiamo a Luciano Gallino, alla cui memoria è stato dedicato l’XI Convegno nazionale dell’Ais, su «Disuguaglianze, giustizia, equità nel contesto globale», svoltosi a Verona nei giorni 10-12 novembre 2016. Alcune fra le principali relazioni del Convegno sono pubblicate nella rubrica focus di questo numero, che ospita, innanzi tutto, la relazione della Presidente uscente, Paola Di Nicola.
Muovendo dalle inedite difficoltà con cui il Direttivo si è dovuto confrontare sin dall’inizio del suo mandato, in un momento di grave turbolenza per l’università italiana e di particolare vulnerabilità per la sociologia, Paola Di Nicola illustra la scelta di puntare su una strategia di voice, tesa a far uscire la disciplina dall’isolamento, restituirle visibilità politica, interna ed esterna, consolidarne i confini. Come emerge con evidenza dalla relazione, questi obiettivi sono stati perseguiti con tenacia, responsabilità e passione dai membri del Direttivo uscente, mobilitando tutte le risorse interne disponibili, costruendo occasioni di dialogo con le istituzioni e rafforzando il senso di appartenenza, in un’ottica di crescente apertura all’internazionalizzazione. Un difficile percorso è stato iniziato, ma, come sottolinea in chiusura Paola Di Nicola, molte sfide restano aperte: spetterà ai nuovi organi eletti a Verona decidere in che modo proseguire nell’impresa di restituire credibilità e prestigio alla comunità sociologica italiana.
Il secondo contributo, di Paola Borgna, va direttamente al cuore del tema del convegno, ricostruendo le linee principali del percorso con cui ha preso forma l’analisi di Luciano Gallino sulle disuguaglianze sociali. L’autrice prende le mosse da due considerazioni che sono alla base del pensiero di Gallino su questo tema: la prima riguarda la natura socialmente costruita delle disuguaglianze sociali e la seconda si riferisce al dovere morale e politico di impegnarsi a contrastarle, quando se ne riconosce l’importanza. Estendendo l’esame a un lungo arco temporale e a livelli diversi di analisi, il contributo di Paola Borgna si sofferma, in particolare, sulla scelta operata da Gallino di focalizzarsi sulle disuguaglianze globali e sulla ricerca di strategie cognitive adeguate alla loro spiegazione. Contemporaneamente, il saggio offre una chiara testimonianza dell’inscindibilità fra tensione conoscitiva e impegno civile e politico nel pensiero di questo Autore, costantemente teso a indicare nella «riapertura del discorso pubblico sulle disuguaglianze sociali una priorità politica e una istanza etica».
Con il contributo successivo, di Alessandro Ferrara, il tema dell’equità nella società globale si coniuga con quello della giustizia, muovendo dalla domanda «quanta e quale disuguaglianza è compatibile con la giustizia?». Ciò porta l’autore a ragionare, innanzi tutto, sul rapporto esistente tra crescita delle disuguaglianze a livello globale – sostenuta dalla crescente finanziarizzazione dei mercati mondiali – e rischio di erosione dei valori meritocratici e dei principi di giustizia, su cui si fondano le società democratiche moderne. L’analisi di Ferrara giunge, quindi, a mettere a fuoco il problema della giustizia nei rapporti tra gli stati e gli interrogativi posti dall’idea di una global justice distributiva. Un’idea che chiama in causa la nostra responsabilità in quanto abitanti del pianeta, indipendentemente dalle «strutture politiche in cui viviamo» e dai «rapporti che si instaurano fra loro».
In tema di responsabilità, il contributo di Mauro Magatti pone l’accento sulla specifica responsabilità del sociologo, a fronte della messa in questione del legame sociale nei contesti democratici contemporanei, che sta aprendo la strada a sistemi sociali di «tipo psicotico». Si tratta di sistemi in cui l’aumento delle disuguaglianze e del disagio, sociale e individuale, non trova espressione nelle forme tradizionali di conflitto, ma si traduce in due fenomeni potenzialmente distruttivi per le basi stesse della democrazia. Da un lato, si assiste a una crescente individualizzazione del conflitto, con l’esplosione di molteplici forme di violenza nel quotidiano – da quella terroristica di matrice religiosa, a quella intra-familiare –, che alimentano una domanda pressante di sicurezza. D’altro lato, «il malcontento viene incanalato da sentimenti di tipo reattivo», di cui si nutre una galassia di gruppi anti-establishment, a vocazione autoritaria. Come nota Magatti, «avremmo bisogno di tornare a un mondo politico. Ma non sappiamo come ciò sia possibile», a meno di non riuscire a riannodare il legame sociale che si è sfilacciato. Un compito che chiama in causa la riflessività sociologica e, come si è accennato, induce a riflettere sulla specifica responsabilità della nostra comunità.
La rubrica focus è, come di consueto, preceduta dai saggi ospitati in teoria e ricerca. Il primo contributo, di Mariano Longo, propone un esercizio di auto-riflessività sociologica sul ruolo dell’etnocentrismo nel condizionamento sociale della conoscenza. Lo spunto per le considerazioni di Longo è offerto dall’analisi delle società meridionali proposta da alcuni autori, di matrice anglosassone, tendenti a dare una lettura riduttiva e fuorviante di quelle realtà – molto complesse e differenziate –, centrata sull’idea di una forte, endemica, resistenza alla modernizzazione. A fronte dei limiti di questo tipo di analisi, il saggio ne denuncia la matrice etnocentrica e propone modalità alternative di intendere il rapporto tra collocazione culturale e geografica dello scienziato, da un lato, e teoria sociale, dall’altro.
Il successivo saggio è di Lorenzo Sabetta, vincitore per il 2016 del «Premio Rizzo-Giovani sociologi», promosso dall’Ais. Sabetta affronta una questione di teoria della valutazione, connessa ad alcuni fenomeni la cui occorrenza sembra indissolubilmente legata all’inintenzionalità degli attori. Che cosa succede quando talune conseguenze inintenzionali vengono assunte in qualità di scopi, passando così dallo stato latente a quello manifesto? L’autore analizza due differenti concettualizzazioni presenti in letteratura, cercando di contemperarle, con spunti di riflessione finalizzati al superamento della polarizzazione teorica cui esse danno origine.
Francesco Amanti e Paolo Rossi, nel terzo saggio di questa rubrica, sviluppano un’analisi dei dati relativi a 75.000 docenti universitari italiani, nati fra il 1921 e il 1970, guidata dall’obiettivo di ragionare sui possibili condizionamenti esercitati dal luogo di nascita sulla scelta della carriera universitaria. Più in generale, gli autori si propongono di mettere a punto degli strumenti di indagine, che aprano «la strada a una nuova linea di ricerca indirizzata allo studio dei condizionamenti geografici sugli orientamenti professionali», anche in contesti differenti da quello universitario, mettendo alla prova l’ipotesi che, al riguardo, si possa attivare un meccanismo «di contagio».
Nel quarto saggio, Francesco Marrazzo propone un esame articolato di tre piattaforme digitali audiovisive – Ray, Netflix e YouTube –, molto diverse fra loro, con lo scopo di capire se e fino a che punto le relazioni sociali di produzione abilitate da tali piattaforme favoriscano lo sviluppo dei new video professionals. Si tratta di nuovi professionisti creativi, il cui profilo è tuttora confinato «ad uno stato sperimentale, artigianale, talvolta visto come quasi amatoriale». Esiste, quindi, una esigenza di valorizzazione professionale per i lavoratori artistici nell’era del web, che il saggio mette chiaramente in evidenza, sottolineando la gravità dei problemi che il mancato riconoscimento potrebbe generare nel prossimo futuro.
Il numero si chiude con l’intervista a Roberto Cipriani, curata da Consuelo Corradi. Cipriani è uno dei più noti esponenti della sociologia italiana, la cui reputazione nella comunità scientifica nazionale e internazionale è legata sia all’indiscusso livello del suo lavoro teorico e di ricerca, sia alla sua intensa attività istituzionale, particolarmente nel quadro delle principali Associazioni disciplinari italiane e internazionali, quali Ais, Esa e Isa. L’intervista prende le mosse dagli anni della sua formazione, all’Università di Roma La Sapienza, sotto la guida di Franco Ferrarotti; presso l’Istituto «Luigi Sturzo», dove ha avuto l’opportunità di incontrare alcuni fra i principali esponenti della comunità sociologica del tempo; nel corso delle sue esperienze di studio e ricerca, in Italia e all’estero, negli USA, in Messico, in Israele e in numerosi paesi europei, fra cui Spagna, Grecia e Francia. Nel corso dell’intervista, Cipriani rievoca, fra l’altro, la sua attività in seno all’Ais – di cui è stato Presidente –, orientata dall’obiettivo di rafforzare lo statuto della sociologia in Italia e approfondisce alcuni fra i principali temi su cui si è concentrato il suo impegno scientifico, con particolare attenzione al concetto di «religione diffusa» e all’impiego delle metodologie visuali nell’indagine sociologica.