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Statement

25/11/2025

Lettera aperta dell’Associazione Italiana di Sociologia (AIS)

Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

Ogni anno, in questa data, le cronache ci restituiscono statistiche di donne vittime di violenza che non dovrebbero esistere. Eppure, dietro quei numeri, si rinnova la stessa trama di relazioni di potere che la ricerca sociologica, da decenni, documenta e denuncia: la violenza contro le donne non è un evento eccezionale, ma una forma di controllo sociale che attraversa le strutture della vita quotidiana, i linguaggi, le istituzioni e le rappresentazioni culturali.

Come studiose e studiosi di sociologia, riconosciamo che la violenza di genere è un dispositivo sistemico: essa nasce e si riproduce dove le disuguaglianze sono naturalizzate, la protezione genera relazioni di dipendenza, la cultura della sopraffazione si traveste da amore o da “ordine delle cose”. È, dunque, dovere della sociologia – insieme a tutte le altre discipline volte alla comprensione della società – non solo descrivere, ma intervenire, indicando percorsi di trasformazione sociale fondati su conoscenza, responsabilità e giustizia.

In questa prospettiva, l’Associazione Italiana di Sociologia propone un atto pubblico di responsabilità articolato in dieci linee di impegno. Si tratta di punti di partenza per politiche e pratiche sociali capaci di interrompere la continuità della violenza, mirando verso questi obiettivi l’esperienza fin qui acquisita.

 

1. Riconoscere la natura strutturale della violenza

La violenza di genere non può essere ridotta a un’emergenza o a una patologia individuale. È un fenomeno ormai strutturale, sostenuto da norme implicite, gerarchie simboliche e meccanismi di potere che attraversano ogni livello delle società. Le politiche pubbliche devono fondarsi su questa consapevolezza sistemica, integrando la prospettiva di genere in tutte le fasi di analisi, pianificazione e valutazione dei fenomeni sociali.

 

2. Educare alla reciprocità e al consenso

L’educazione di genere deve diventare un pilastro dell’intero sistema formativo, formale, informale, non formale, non un modulo occasionale. È necessario introdurre, dalla scuola dell’infanzia all’università, percorsi che aiutino a decostruire stereotipi, a riconoscere la pluralità delle identità e a sviluppare competenze relazionali e affettive. Educare al consenso significa educare alla democrazia e al rispetto dall’altra persona.

 

3. Trasformare la comunicazione pubblica e mediatica

Il linguaggio è un luogo di potere. Quando i media parlano di “raptus” o “gelosia”, negano la radice sociale della violenza e la riscrivono in chiave emotiva. È urgente adottare linee guida vincolanti per il linguaggio istituzionale e giornalistico, sostenere la formazione dei professionisti dell’informazione e promuovere una narrazione che restituisca complessità e responsabilità.

 

4. Garantire la stabilità dei servizi di protezione

I centri antiviolenza e le case rifugio non possono vivere nella precarietà dei bandi annuali. Occorrono fondi strutturali e continui, politiche di coordinamento territoriale e riconoscimento del lavoro sociale e psicologico svolto da chi opera quotidianamente per la sicurezza e l’autonomia delle donne. La precarietà istituzionale è essa stessa una forma di violenza.

 

5. Formare chi decide e chi interviene

Magistrati, forze dell’ordine, operatori sanitari e sociali, chiunque abbia un ruolo più o meno diretto, deve essere formato, in modo sistematico e permanente, alle dinamiche della violenza di genere e ai meccanismi di vittimizzazione secondaria. La formazione obbligatoria in ottica di genere è una condizione minima per garantire un trattamento giusto e rispettoso in fase di contrasto, ma anche di prevenzione del fenomeno.

 

6. Contrastare la violenza economica e istituzionale

La violenza non è solo fisica o psicologica: è anche economica, simbolica, burocratica ecc. Le politiche del lavoro e del welfare devono garantire alle donne autonomia economica, accesso alla casa, opportunità di reinserimento lavorativo e supporto alla genitorialità condivisa. La dipendenza economica è un terreno fertile per la violenza domestica e sociale.

 

7. Applicare l’approccio di gender mainstreaming

Ogni politica pubblica, così come ogni decisione collettiva, deve essere valutata rispetto al suo impatto sulle disuguaglianze di genere. L’approccio di gender mainstreaming – introdotto nelle strategie europee da oltre vent’anni – resta ancora largamente inattuato. Serve un impegno politico esplicito e strumenti sociologici di valutazione per rendere effettiva la trasversalità della prospettiva di genere.

 

8. Consolidare la base di conoscenze e dati

I dati disponibili sono spesso frammentari e parziali, limitati agli aspetti giudiziari o sanitari. Serve un sistema integrato di osservazione sociologica che rilevi i fattori culturali, economici e relazionali della violenza, le traiettorie di uscita, i contesti di vulnerabilità, perché senza conoscenza, ogni politica è destinata ad essere inefficace.

 

9. Costruire alleanze territoriali e transdisciplinari

La violenza di genere attraversa confini istituzionali e disciplinari e può essere affrontata solo attraverso un impegno comune e una visione sistemica. È necessario costruire reti tra università, scuole, enti locali, imprese e organizzazioni sociali, promuovendo pratiche di co-progettazione territoriale. La ricerca transdisciplinare, radicata nei contesti, è un dispositivo essenziale per l’innovazione sociale.

 

10. Rigenerare l’immaginario collettivo

Il contrasto alla violenza passa anche dalla costruzione di nuovi immaginari sociali, di relazione e libertà. La cultura, l’arte, la letteratura e i media devono farsi strumenti di riscrittura simbolica, capaci di rappresentare la pluralità dei corpi, delle esperienze e delle identità femminili e maschili in chiave di parità. Ogni rappresentazione è anche una scelta politica.

Come Associazione Italiana di Sociologia, crediamo che la conoscenza sociologica debba contribuire alla trasformazione del reale. La violenza contro le donne è il sintomo di una democrazia incompiuta: non può essere affrontata solo con norme penali o campagne occasionali, ma con un progetto culturale, educativo e politico di lungo periodo e che impegni tutte le persone.

L’università e la ricerca sociale hanno la responsabilità di fornire strumenti interpretativi e pratiche di cambiamento, formando generazioni capaci di riconoscere e decostruire le disuguaglianze. La violenza di genere non si sconfigge con la pietà o la repressione, ma con la giustizia, la conoscenza e la cura della convivenza.

 

Presidenza e Direttivo nazionale AIS
con la collaborazione di studiose e studiosi Sezione Studi di Genere – AIS


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