AIS

2013/1

Capitale sociale, qualità delle relazioni, qualità della vita: benessere e soddisfazione (Social capital, quality of relationships, quality of life: well-being and satisfaction), di Paola Di Nicola


Il presente contributo intende proporre un percorso di ricerca teso a sondare l’esistenza o meno di correlazioni tra la percezione della qualità della vita e l’esistenza di risorse riconducibili al concetto di capitale sociale. Obiettivo della ricerca esplorativa è quello di confrontare il peso che variabili di status socio-economico e variabili relazionali hanno sulla percezione della qualità della vita, colta attraverso due indicatori: livello di soddisfazione, livello di benessere «soggettivo». Dai risultati della ricerca, emerge l’immagine di persone con poche relazioni personali e non impegnate socialmente, con un basso livello di fiducia. Non elevato il livello di soddisfazione e di benessere. I dati confermano che i membri del ceto alto posseggono più alti livelli di capitale sociale, che a sua volta è correlato positivamente con il capitale economico e umano. Rispetto alla percezione della qualità della vita, i dati non consentono di individuare un legame tra capitale sociale e soddisfazione e benessere. Si può sostenere che, mentre il livello di soddisfazione si correla con le aspettative soddisfatte, la percezione del benessere si lega a quello che si può considerare l’«umore» con cui ci si sveglia la mattina.

Social Capital, Quality of Relationships, Quality of Life: Well-Being and Satisfaction

This paper presents a research project that explores the existence of correlations between the perception of quality of life and the presence of resources related to the concept of social capital. The objective of this exploratory study was to compare the impact that socio-economic variables and relational variables have on the perception of quality of life, captured through two indicators: ‘subjective’ level of satisfaction and level of well-being. The results of the research yield the image of a person with few personal relationships, not socially committed , with a low level of confidence, not a high level of satisfaction and well-being. The data confirm that members of the upper classes possess higher levels of social capital, which in turn is positively correlated with economic and human capital. In terms of perceived quality of life , the data does not identify a link between social capital and satisfaction and well-being. It can be argued that while the level of satisfaction correlates to expectations fulfilled , perceived well-being is linked to the ‘mood’ one wakes up in.

1. Introduzione: capitale sociale come proxy della qualità delle relazioni sociali

Il presente contributo intende proporre, a partire dai risultati di un’indagine nazionale sul capitale sociale degli italiani[1], un percorso di ricerca teso a sondare l’esistenza o meno di connessioni e correlazioni tra la percezione della qualità della vita e l’esistenza di risorse riconducibili al concetto di capitale sociale. Obiettivo della ricerca esplorativa è quello di confrontare il peso che variabili di status socio-economico e variabili relazionali hanno sulla percezione della qualità della vita, colta attraverso specifici indicatori: livello di soddisfazione e livello di benessere «soggettivo». Per raggiungere tale finalità conoscitiva, si prenderanno le mosse dall’indagine nazionale sopra menzionata, che si inserisce, a sua volta, in un percorso di ricerca che da circa dieci anni le università di Milano, Verona e Bologna (capofila) stanno sondando e coltivando sul tema della società civile, del capitale sociale, della qualità dei servizi di welfare[2]. L’interesse di studio del gruppo di lavoro si è focalizzato su una dimensione sociale – per molti aspetti ancora emergente nella realtà italiana – che copre quella sfera dell’azione individuale che non può essere ricondotta totalmente alla conformità ai ruoli e che si realizza per molti aspetti al di fuori delle grandi istituzioni della società. Il riferimento va alle risorse sociali (materiali e non materiali) che sono mediate dalle cerchie sociali di appartenenza e che consentono all’attore sociale di raggiungere obiettivi e realizzare performance sociali che da solo non potrebbe conseguire. Tali risorse un tempo definite primarie, informali, comunitarie sempre più frequentemente sono sussunte sotto la categoria di «capitale sociale»: in questi ultimi anni, tutti gli studi sulle relazioni comunitarie – la loro persistenza, i loro mutamenti – stanno convergendo in due direzioni, che si intrecciano: analisi strutturale e capitale sociale (Di Nicola 2012). Nella letteratura internazionale, si è creata una saldatura teorico-empirica, in virtù della quale per studiare con un approccio metodologicamente più appropriato le reti di relazioni intersoggettive – evitando il ricorso al termine obsoleto, ideologicamente molto connotato e per molti aspetti statico, di comunità – si usano gli strumenti dell’analisi strutturale – tecnica che nasce specificamente per cogliere strutture e forme delle reti (non delle proprietà individuali) (Di Nicola 1998) –, mentre il contenuto relazionale di tali reti (fiducia, affidamento, aiuto, competizione, risorse scambiate ecc.) viene definito come capitale sociale (Di Nicola 2012). Anche a livello macro, la dimensione del capitale sociale sempre più frequentemente viene assunta come fattore di sviluppo economico e sociale, come una risorsa del «sistema», come fattore che favorisce il funzionamento delle istituzioni, incidendo quindi sulla qualità della vita di «comunità» anche di grandi dimensioni, quali città, regioni e interi paesi[3]. Studi e ricerche condotte sul tema, sia a livello macro che micro, tendono a confermare che la dimensione della «fiducia»[4] sia interpersonale che istituzionale, sia quando esiste che quando è un bene raro, esercita un’influenza – nel bene e nel male – sulle biografie individuali e sulle dinamiche sociali in senso ampio. Riflettere, dunque, sulla relazione esistente tra capitale sociale e percezione del benessere soggettivo consente di avvicinarsi ad un filone di studi particolarmente proficuo, quanto ad apporti critici e risultati di ricerca empirica, per meglio comprendere e approfondire i processi e le dinamiche sociali

Numerosissimi, infatti, sono i contributi, quasi tutti di matrice anglo-americana, che hanno sondato la relazione tra capitale sociale e salute. Minelli (2007) ha curato un’ampia ed articolata bibliografia sulla relazione tra capitale sociale e salute, presentando criticamente più di quattrocento contributi, che hanno tematizzato esplicitamente tale connessione. Sin dagli anni Settanta-Ottanta del secondo scorso, le reti sociali primarie erano state assunte come variabili epidemiologiche per analizzare il rischio di incidenza e diffusione di malattie anche organiche (non solo, per esempio, la diffusione delle dipendenze e delle malattie mentali), individuando nelle reti un fattore protettivo nei confronti della presenza di condizioni di rischio (per una introduzione alla letteratura di quegli anni, si veda Di Nicola 1987 e 1998). In quel periodo, si sottolineava, delle reti, la funzione di mediazione e di riduzione dello stress, attraverso il cosiddetto effetto buffering (effetto cuscinetto) e la produzione di social support. L’inserimento del concetto di capitale sociale nel più ampio dibattito sui «determinanti della salute», ha contribuito in maniera significativa a problematizzare, in tema di rischio, il rapporto tra fattori strutturali e fattori culturali. Nella letteratura corrente, il capitale sociale come fattore determinante della salute è presente su due livelli, perfettamente in linea con la matrice duale che il concetto ha assunto sin dalla sua origine[5]. Da una parte, abbiamo gli studi epidemiologici, che analizzano il capitale sociale da una prospettiva macro, identificandolo come proprietà dei sistemi, che assolve alla funzione di miglioramento della performance degli stessi sistemi (Putnam 1993, 2000). In tale prospettiva di analisi, il capitale sociale è una risorsa relazionale, che favorisce il funzionamento delle istituzioni e, come tale, influenza il livello di qualità della vita di coloro che fanno parte di tali sistemi. Il concetto di capitale sociale si lega strettamente a quello di sviluppo sociale, economico, politico di una società, ovvero di una comunità, divenendo fattore facilitante e promozionale delle capacità di funzionamento a livello macro e, per derivazione, a livello micro. Dall’altra parte, abbiamo gli studi e le ricerche epidemiologiche, che guardano al capitale sociale da una prospettiva micro, assumendolo come proprietà-risorsa dell’individuo e, in linea con le precedenti ricerche sul social support, individuano nei reticoli sociali interpersonali, nella qualità delle relazioni interpersonali, fattori di rischio o protettivi ai fini dell’insorgenza di particolari e specifiche patologie mediche.

L’uso del termine capitale sociale, anche nell’ambito delle scienze epidemiologiche, non è scevro di nodi critici: ritroviamo, per molti aspetti, tutti i problemi che hanno accompagnato la nascita e l’uso empirico del concetto, al quale si unisce una dimensione «valutativa» molto importante relativa al rapporto tra capitale sociale e disuguaglianza. Come bene evidenzia Minelli (2007), proprio a partire da un’analisi dei risultati delle ricerche epidemiologiche, si incontrano problemi relativamente a:

· paradigma di riferimento: assunzione della prospettiva – micro o macro – da cui partire per studiare il capitale sociale[6];

· scomposizione del concetto in dimensioni empiricamente rilevabili; sin dalla sua origine, il termine capitale sociale copre una gamma molto ampia di processi e comportamenti – fiducia generalizzata, senso di appartenenza, fiducia nelle istituzioni, impegno civico, comportamenti pro-sociali (azione volontaria), relazioni e conoscenze sulle quali l’attore sociale può contare per raggiungere finalità ed obiettivi di riuscita e posizionamento sociale che da solo non potrebbe raggiungere, risorsa alla quale si può attingere per fronteggiare situazioni di bisogno e di stress. L’ampiezza delle accezioni costringe ad un ferreo lavoro di scomposizione del concetto nelle sue dimensioni;

· modelli esplicativi; il capitale sociale può essere assunto come «causa di», come ciò che determina o favorisce un buon funzionamento delle istituzioni o la realizzazione di strategie di successo (dal punto di vista dell’attore sociale), o come «effetto»: una società che presenta buoni livelli di funzionamento delle istituzioni, in particolare di welfare, e di fiducia preserva, aumenta il capitale sociale generalizzato di una comunità (Putnam 1993, 2000; Fukuyama, 1995); una persona di «successo» avrà a sua disposizione una porzione più ampia di contatti e relazioni sociali su cui contare e fare leva (Bourdieu 1980, 1986; Lin 2000);

· prospettiva «valutativa»: Navarro (2002a, 2002b), nell’ambito della riflessione sui determinanti della salute, sostiene che troppo spesso il capitale sociale è sopravvalutato, con l’esito di non porre adeguata attenzione al ruolo che le politiche pubbliche esercitano, con i meccanismi re-distributivi, nel determinare le capacità-possibilità di accedere a specifiche risorse relazionali, sia a livello collettivo che individuale (Navarro e Muntaner 2004).

Questi nodi problematici, suggeriscono alcuni caveat per evitare di cadere in errori, sia teorici che metodologici:

· per quanto riguarda il primo punto, è bene, nella fase della predisposizione di un disegno generale della ricerca, chiarire la prospettiva in cui ci si colloca ed evitare di spiegare ciò che si rileva a livello macro con ciò che accade a livello micro e viceversa. Una società ben integrata, con alti livelli di capitale sociale generalizzato, può al suo interno presentare un rilevante divario, nella dotazione di capitale sociale, tra i diversi gruppi sociali;

· il fatto che il capitale sociale copra una vasta gamma di significati, non vuole dire che non lo si possa studiare o che si debba rinunciare all’uso di un concetto che ha mostrato di avere una forza evocativa ed esplicativa molto forte, nonostante le difficoltà che si incontrano nella sua analisi. Scomporre un concetto, individuarne le dimensioni empiricamente rilevabili, rappresenta il cuore del lavoro di un ricercatore sociale, che sempre ha a che fare con «parole» che diventano «fatti» nel mondo della vita quotidiana e della mappa conoscitiva che serve ad orientare l’azione dell’attore sociale. Il fatto, quindi, che le diverse misure di capitale sociale siano solo misure proxy testimonia della profondità del lavoro e non della sua superficialità. Inoltre, gli analisti strutturali hanno sviluppato una ricca e proficua letteratura sulle reti, sul capitale sociale, sulle sue forme e componenti strutturali, contribuendo in maniera significata a chiarire termini, concetti e dinamiche (Burt 1982, 1992, 1995, 2000, 2001; Lin 2003; Lin and Erickson 2008, Chiesi 2003; Forsé and Tronca 2005; Tronca 2007, 2008a; Wellman 2007);

· a livello esplicativo, nell’ambito delle scienze sociali, la natura dei fenomeni e processi che solitamente sono presi in considerazione rende i modelli esplicativi, monofattoriali e unidirezionali, spesso inadeguati per comprendere le reali dinamiche sottese a molti dei fenomeni analizzati. La «causalità circolare» non deve spaventare, una volta accettato il fatto che i processi ed i fenomeni studiati sono «costruzioni» sociali, figlie di una riflessività in virtù della quale ciò «che è esterno e che determina» serve a ri-orientare l’azione individuale e, per diffusione e contagio, contribuisce a modificare la natura dell’explicans, di ciò che era stato assunto come causa;

· a livello valutativo, l’uso di un concetto non è mai neutrale, soprattutto nelle sue ricadute politiche. L’enfasi con cui le grandi istituzioni come la Banca Mondiale hanno parlato dell’importanza di valorizzare il capitale sociale nei paesi in via di sviluppo è stata concomitante alla realizzazione di politiche restrittive nella concessione dei prestiti, con l’esito di ipervalutare il ruolo del capitale sociale (inteso come bene «non tangibile») ai fini dello sviluppo e della auto-promozione dei paesi più poveri (Minnelli 2007). Nello stesso tempo, iper-valutare l’importanza delle relazioni primarie ai fini del benessere individuale, della capacità di una comunità di «farsi carico dei suoi problemi» e di una famiglia di produrre beni relazionali, attraverso il lavoro di cura, significa ignorare che risorse relazionali e «intangibili» presentano, nella popolazione, una distribuzione che non è né casuale, né totalmente scissa dalla posizione sociale dei soggetti.

Pur alla luce delle problematiche sin qui analizzate, il concetto di capitale sociale, inserito come uno dei molteplici determinanti della salute, ha prodotto risultati molto interessanti: al di là del fatto di avere riconfermato che, anche nell’ambito della salute e della malattia, le «relazioni contano», le ricerche condotte hanno dato un contributo rilevante ad una migliore e più precisa definizione del concetto che, da elemento con forte carica metaforica ed evocativa, è diventato una dimensione esperienziale rilevante e rilevabile nelle biografie di vita individuale e nei meccanismi di funzionamento dei sistemi complessi, dimensione alla quale si può attribuire – a partire da specifiche ed esplicitate prospettive di analisi – anche una valenza esplicativa. Il compito del ricercatore, che si cimenta con l’uso di tale concetto, sta nell’apportare contributi conoscitivi che, per quanto contestualizzati e riferiti a specifiche realtà socio-culturali, possano aiutare a ricostruire l’ampio mosaico della qualità delle relazioni sociali.

2. Risorse materiali e relazionali, qualità della vita: quali i determinanti

All’interno dell’ampio dibattito che si è aperto sul concetto di capitale sociale, con il presente articolo si è enucleato un problema, rispetto al quale proporre un percorso di approfondimento: il problema è quello di comprendere se una buona qualità della vita incida sulla dotazione individuale di capitale sociale, ovvero se una buona dotazione di capitale sociale influenzi in positivo la qualità della vita di un soggetto, utilizzando, tuttavia, come variabile interveniente le risorse materiali, «misurate» attraverso l’indice di status socio-economico. Obiettivo del presente articolo è quello di tentare di dare una risposta a tale problema, con la finalità non di trovare leggi causali unidirezionali, ma di portare alla luce le eventuali connessioni tra capitale sociale e qualità della vita percepita. L’ipotesi da cui si parte è che, comunque, il capitale sociale, pur nelle sue diverse accezioni, costituisce una risorsa embedded nelle relazioni sociali e che, quindi, è possibile individuare relazioni e connessioni tra qualità della vita e qualità delle relazioni sociali. Per la verifica dell’ipotesi generale, ci si avvale di una ricerca condotta su un campione nazionale della popolazione italiana, stratificato in base al sesso, all’età e all’area geografica di residenza. Ricerca che ha sondato l’articolazione tra le diverse forme di capitale sociale e l’impegno civico dei cittadini. Ci si muove da una prospettiva micro, in quanto il focus dell’analisi sono soggetti dei quali tuttavia sono stati rilevati non solo le classiche variabili di profilo, ma anche le variabili relazionali (reticoli sociali di appartenenza, forme e contenuti delle reti)[7].

La teoria dello sviluppo umano e la teoria delle «capacità» costituiscono al momento le posizioni più avanzate e più critiche nei confronti di una lettura, valutazione e comparazione dello sviluppo di una nazione nei soli termini della ricchezza materiale. Ricchezza materiale che è stata tradizionalmente sintetizzata con la misura del Pil. La commissione promossa da Sarkozy e presieduta da Stiglitz, Sen e Fitoussi (2009) ha condotto un articolato lavoro per mettere in evidenza come lo sviluppo di una nazione non dipenda solo dalla sua capacità produttiva, ma anche dalle politiche redistributive attuate, in base a chiari principi di equità e di giustizia, per tutelare e promuovere la dignità della persona. Dignità della persona che si misura a partire dalla garanzia di quelle che Nussbaum considera le capacità fondamentali (2011), tra le quali vanno annoverate: libertà di scelta, di autodeterminazione, di autorealizzazione e di controllo sulla propria vita, diritto ad un lavoro, alla salute, all’istruzione, alla partecipazione politica, al tempo libero e a poter coltivare e curare le relazioni affettive. La teoria delle «capacità», che si applica sia ai paesi in via di sviluppo che ai paesi cosiddetti avanzati, consente di ridimensionare, a livello sistemico, il ruolo del Pil come indicatore sintetico dello sviluppo di una nazione, ma nello stesso tempo consente, a livello micro, di considerare l’importanza del diritto ad una vita di «relazioni» interpersonali (compreso il diritto a stabilire rapporti di solidarietà con i colleghi di lavoro) e di evitare di cadere in una lettura dello sviluppo e del sottosviluppo e della giustizia (a livello di diritti individuali) in termini puramente culturali e simbolici. Lettura quest’ultima che esimerebbe da qualsiasi azione pubblica tesa ad incidere sui livelli di distribuzione della ricchezza pro-capite, dando per scontato che ogni nazione incarna ed esprime un proprio sistema di valori e norme (relativi anche alla giustizia sociale e all’equità) che non possono essere modificati, pena un nuova forma di colonizzazione. La teoria dello «sviluppo umano» (Isu) e quella più articolata delle «capacità», che si oppongono in termini fortemente critici alla teoria utilitaristica, aprono tematiche e problemi di giustizia ed equità, il cui approfondimento esula dall’economia del presente lavoro; tuttavia, il quadro teorico ed empirico entro cui si collocano consente di sottolineare la centralità che oggi rivestono, nei percorsi e nelle biografie di vita individuali, le relazioni interpersonali, la qualità di tali relazioni, senza comunque sottovalutare che la dimensione strumentale-economica (vale a dire il fatto che siano stati soddisfatti i bisogni primari) continua a rappresentare un fattore importante per promuovere capacità e dignità della persona. Una interessante verifica dell’esistenza di queste connessioni tra aspetti materiali e aspetti relazionali e culturali del benessere è presente nel volume di due epidemiologi – Wilkinson e Pickett (2009) – dal suggestivo titolo La misura dell’anima, i quali dimostrano, con una indagine comparativa tra paesi europei e USA, che le nazioni con alti livelli di disuguaglianza sociale sono «più infelici», in quanto i loro abitanti sperimentano bassi livelli di qualità della vita, a causa dei quali stanno peggio tutti, sia i ricchi che i poveri.

3. Benessere e soddisfazione tra struttura, cultura e attitudini individuali: una ricerca in Italia

Nonostante le premesse, il presente contributo non ha la pretesa di condurre un’analisi dettagliata del concetto di qualità della vita e dei suoi determinanti: l’obiettivo, molto più modesto, è quello di sondare, a livello esplorativo, quale sia la prossimità semantica di concetti e indicatori, che, formulati per obiettivi conoscitivi diversi, possono tuttavia in questa sede essere utilizzati come indicatori che si approssimano al concetto di soddisfazione e benessere e valutarne le connessioni con alcune misure di capitale sociale e di status socio-economico. A partire dall’ipotesi che, se è vero che le relazioni sociali sono importanti, che il capitale sociale esercita una influenza benefica sulle biografie di vita individuale, esso tuttavia è radicato sia in una struttura di status riconducibile agli aspetti culturali e simbolici, che in una gerarchia di classe, riconducibile alla posizione socio-economica (Frazer and Honneth 2003). Nell’ambito della ricerca nazionale condotta dall’unità di Verona (Di Nicola, Stanzani e Tronca 2012), che ha coinvolto un campione di 1226 soggetti, l’intereresse era stato focalizzato sulle diverse forme di capitale sociale (primario, secondario e generalizzato), non solo per rispondere alla domanda «Gli italiani posseggono capitale sociale?», ma anche per valutarne la distribuzione, nelle sue diverse forme, a livello territoriale, di status socio-economico, oltre che in base al sesso, all’età, agli orientamenti politici e religiosi. Da una parte c’era l’interesse a verificare l’esistenza o meno di un divario Nord-Sud anche su questa risorsa relazionale – come alcune ricerche hanno evidenziato (Putnam 1993; Cartocci 2007) –; se l’eventuale divario interessasse tutte e tre le forme di capitale sociale; quale, infine, fosse il peso esercitato da variabili, quali area di residenza e status socio-economico, nella distribuzione delle diverse forme di questa risorsa relazionale.

Ai fini dell’approfondimento del presente lavoro, che tematizza il rapporto tra status socio-economico, capitale sociale e percezione soggettiva della qualità della vita, si utilizzeranno le seguenti variabili:

1. variabili di profilo dell’intervistato – status socio-economico dell’intervistato e della sua rete primaria[8], indice di soddisfazione per l’ultimo anno trascorso[9], indice di benessere[10];

2. misure di capitale sociale – capitale sociale generalizzato (fiducia generalizzata, indice di impegno civico)[11], capitale sociale primario (rete di familiari conviventi, parenti, amici e conoscenti, sulla quale l’intervistato dichiara di poter contare in caso di bisogno)[12], capitale sociale secondario (iscrizione ad associazioni)[13];

3. misure di struttura delle reti primarie[14] – ampiezza reti e densità totale del reticolo primario.

Tutti gli indicatori utilizzati sono metrici.

3.1. Il capitale sociale degli italiani

Prima tuttavia di approfondire l’eventuale mappa di prossimità tra gli indicatori di capitale sociale e i livelli di soddisfazione e di benessere soggettivo, si farà un’analisi tesa a mettere in evidenza come i diversi indicatori si distribuiscono in base ad alcune variabili di profilo degli intervistati: sesso, età, status socio-economico (ricodificato a quattro stati) e area geografica di residenza. Per questo tipo di approfondimento, poiché tutte le variabili dipendenti sono metriche, è stata condotta un’analisi della varianza[15], con l’obiettivo di verificare se le variabili indipendenti svolgano un ruolo discriminante nella distribuzione delle medie degli indicatori di capitale sociale e dei livelli di soddisfazione e di benessere. Come premessa generale, è bene ricordare che i valori medi della distribuzione di tutte le variabili considerate sono bassi e, in generale, la rete primaria costituita da soggetti sui quali l’intervistato dichiara di poter contare in caso di bisogno ha un’ampiezza media di 4,2 componenti, comprensiva anche dei familiari conviventi.

Le donne, rispetto agli uomini, come si può notare dalla Tabella 1, manifestano livelli leggermente più bassi di impegno civico, di capitale sociale generalizzato e secondario; dichiarano livelli più bassi di soddisfazione e di benessere, anche se possono contare su un capitale sociale primario più ampio. Le differenze tra maschi e femmine, tuttavia, sono di scarsa rilevanza e, una volta condotta l’analisi della varianza, il sesso ha dimostrato di non essere discriminante e significativo ai fini delle diverse distribuzioni nelle medie, con l’unica eccezione per l’impegno civico, che è un comportamento leggermente più diffuso tra i maschi, come mostrano l’alto valore di F e la sua significatività. I dati confermano una sostanziale omogeneità tra maschi e femmine, a conferma dell’esistenza di un certo avvicinamento nei tratti comportamentali tra uomini e donne, dovuti alla sostanziale riduzione del divario uomo-donna nelle traiettorie di vita quotidiana (per una interpretazione analoga degli stessi dati, si veda Di Nicola 2011).

tab.1_Capitale sociale

L’età (in classi) incide in maniera significativa su alcune caratteristiche strutturali delle reti (Tabella 1): in particolare, al crescere dell’età diminuisce l’ampiezza delle reti e aumenta la loro densità. Con l’età, infatti, si restringe la rete, soprattutto amicale e di conoscenze, mentre si tende ad intrattenere rapporti sempre più stretti con le stesse persone: la vita sociale si restringe e diventa più radicata nelle relazioni familiari (la distribuzione del capitale sociale primario e la densità presentano alti valori di F e di significatività). Impegno civico e capitale sociale secondario, livelli relativamente più alti di benessere e soddisfazione caratterizzano le classi di età intermedie (45-54, 55-64). La fiducia generalizzata è più elevata tra gli ultrasessantacinquenni e i cinquantenni. Tuttavia, rispetto a queste ultime variabili, è bene specificare che la diversa distribuzione degli indicatori di capitale sociale generalizzato e secondario è casuale (non dipende dall’età: valori bassi di F e di significatività): probabilmente, sono le esperienze di vita, gli stili relazionali acquisiti sin dalla più tenera età, a influenzare la distribuzione di questi due indicatori, così come il livello di benessere può legarsi più ad un atteggiamento di base con cui si affrontano le sfide quotidiane, che non ad un fattore generazionale. Rispetto a questo andamento, fanno eccezione il livello di soddisfazione e l’impegno civico, che si presentano come elementi distintivi delle classi di età 45-54 e 55-64: sono soggetti che, per la loro collocazione nel ciclo di vita, sono nella fase della piena realizzazione (lavorativa, familiare, economica) e molto verosimilmente sono disponibili a mobilitarsi (partecipazione a comizi, manifestazioni, dibattiti politici ecc.) per problemi che sentono più vicini e rilevanti per le loro vite e quelle dei loro figli.

La distribuzione delle medie degli indicatori cambia sensibilmente se si introducono le altre due variabili di profilo: status socio-economico degli intervistati e area di residenza.

Come si può vedere dalla Tabella 2, il livello di capitale sociale secondario e primario e di impegno civico aumenta nel passaggio dal ceto basso a quello alto, passando per i ceti intermedi (alti i valori di F e di significatività). Mentre la densità delle reti diminuisce: i ceti più bassi sperimentano una socialità più povera e più localizzata e densa; le reti di sostegno sono più ristrette e composte da persone che si conoscono reciprocamente; reti, quindi, molto omogenee, al cui interno circolano pochi tipi di aiuto, in quanto i membri dispongono delle stesse risorse[16]. Dalla Tabella 2 si evince che i livelli di soddisfazione sono più elevati nei ceti medio-basso e medio-alto, composti molto verosimilmente da soggetti che dichiarano più elevati livelli di soddisfazione perché partono da aspettative più contenute. La distribuzione, invece, del capitale sociale generalizzato (fiducia nell’altro) e del livello di benessere in base allo status socio-economico dell’intervistato è casuale e a bassa significatività, a conferma del fatto che tali dimensioni sono più connesse ad esperienze personali sperimentate nel passato (Uslaner 2002) ed atteggiamenti caratteriali di base.

Per quanto riguarda la distribuzione delle medie degli indicatori analizzati in base all’area di residenza degli intervistati (si veda Tabella 2), emerge una più elevata concentrazione delle diverse forme di capitale sociale tra i residenti nelle aree del Nord e del Centro, seppure con alcune significative differenze.

tab.2_Capitale sociale-2

In generale i residenti nel Nord-Est presentano quote più elevate di capitale sociale generalizzato e primario e di impegno civico; le reti primarie sono meno dense. Gli abitanti del Nord-Ovest presentano livelli più bassi, rispetto al Nord-Est, di capitale sociale secondario e primario e di impegno civico, alti livelli di fiducia generalizzata. La densità delle reti è più alta. Ad una maggiore apertura dei cittadini del Nord-Est che si caratterizzano per un impegno attivo, fa da contraltare una maggiore apertura universalistica (fiducia nell’altro generalizzato) dei residenti del Nord-Ovest, le cui reti primarie tuttavia sono molto dense (più chiuse ed esclusive). I residenti nel Centro Italia presentano ottimi livelli di capitale sociale primario, unito a buoni livelli di capitale sociale generalizzato e impegno civico, molto basso il capitale sociale secondario. Infine, volendo fare una sorta di graduatoria tra le ultime due ripartizioni territoriali, tenendo comunque presente che i livelli di capitale sociale nelle sue diverse forme sono più bassi rispetto ai residenti del Nord, emerge una situazione di maggiore problematicità degli abitanti del Sud, rispetto a quelli delle Isole. Sulla distribuzione di tali indicatori, i valori di F e di significatività sono alti. Si riconferma la sostanziale non significatività delle distribuzione delle medie degli indici di soddisfazione e di benessere.

Dall’analisi dei dati, emerge un profilo degli intervistati caratterizzato da un livello di status medio-basso, reticoli primari ristretti e ad elevata densità, basso impegno civico e capitale sociale secondario, in posizione intermedia sulla scala del capitale sociale generalizzato (spostato timidamente, quasi impercettibilmente, sul polo positivo). Un intervistato che, mediamente, dichiara un livello molto basso di benessere e medio basso di soddisfazione. I residenti nelle ripartizioni territoriali del Sud mostrano livelli più bassi di coinvolgimento sia nelle reti primarie che secondarie.

3.2. Il capitale sociale: nodi critici e spunti di riflessione

I dati commentati ci riverberano l’immagine di un cittadino chiuso, poco interessato al bene comune, non molto soddisfatto dell’ultimo anno trascorso e che si approccia, al mattino, alla vita con poco entusiasmo. Un cittadino disembedded, non molto aperto agli altri, dei quali, tra l’altro, poco si fida, con un profilo relazionale non molto forte, al cui interno la dimensione particolaristica e localistica (data dal capitale sociale primario) non risulta molto sviluppata: anche questi dati confermano che tra capitale sociale primario e capitale sociale generalizzato e secondario non esiste una sostanziale incompatibilità (Tronca 2008b), così come è stata sostenuta da alcuni ricercatori.

Rispetto a questo profilo generale si distaccano coloro che appartengono al ceto sociale più elevato, che mostrano di poter contare su una dotazione di capitale sociale (nelle sue diverse forme) più elevata: il capitale sociale, dunque, non è una risorsa simbolica, oltre che strategica, che compensa e colma una minore disponibilità di capitale economico e capitale umano. Si conferma che, nella nostra società, gerarchie di classe (agganciate alle divisione sociale del lavoro) e gerarchie di status, agganciate all’accesso a risorse simboliche e culturali (il sostegno, l’appoggio morale, il senso di appartenenza e l’apertura all’altro ecc.), sono correlate e che, quindi, una buona riuscita sociale e una buona e positiva integrazione alla vita della propria comunità, al cui funzionamento si dà il proprio contributo in termini di impegno civico, costituiscono dimensioni di vita intrecciate.

La distribuzione delle varie forme di capitale sociale nelle diverse aree territoriali (e si è visto che il ruolo discriminante esercitato da tale variabile indipendente è significativo) consente di sviluppare un altro tipo di approfondimento.

Con la ricerca condotta sul funzionamento delle istituzioni regionali in Italia, Putnam (1993) ha attribuito il mancato sviluppo politico, sociale e culturale delle regioni meridionali ad una carenza di capitale sociale (a livello macro), la cui origine affonderebbe nelle diverse tradizioni delle istituzioni di governo: da una parte, l’Italia dei Comuni, con i loro statuti, regolamenti e autonomie che hanno segnato buona parte della storia medievale del Nord; dall’altra parte un ordinamento monarchico feudale, tipico del Sud, che avrebbe impedito la nascita dei «cittadini» dalla massa dei sudditi. La teoria di Putnam è stata criticata soprattutto per la sua impostazione «monofattoriale» e per alcuni aspetti statica e quasi «fatalistica»: per il suo tentativo di spiegare i diversi livelli di sviluppo di grandi ripartizioni territoriali alla luce di un’unica variabile – capitale sociale – ignorando e/o sottovalutando altre dimensioni non secondarie (ad esempio il tessuto economico, le politiche sia locali che nazionali), e per avere riassunto le dinamiche sociali che si sono sviluppate nell’arco di più secoli di storia in un unico concetto, quello di capitale sociale. Come se un livello alto o basso di capitale sociale disponibile ab origine fosse il «destino» di una comunità territoriale. Una lettura, tuttavia, più superficiale della teoria di Putnam – che ha fatto collassare il livello macro sul micro e che ha avuto una certa diffusione – ha favorito l’identificazione tra mancanza di capitale sociale e familismo amorale, con il risultato di considerare capitale sociale solo gli orientamenti universalistici (impegno civico, essere informati delle vicende del paese, andare a votare, entrare nel circuito del «dono agli sconosciuti») (Cartocci 2002, 2007), mentre tutto ciò che è localistico, particolaristico e relativo alle sfere della prossimità quotidiana non solo è concettualmente e «moralmente» antitetico al capitale sociale, ma ne deprimerebbe lo sviluppo e la crescita. In tale prospettiva di analisi, si recupera la vecchia categoria del «familismo amorale», che approfondite analisi sia teoriche che metodologiche hanno dimostrato essere più il costrutto mentale di un solitario ricercatore, che ha condotto una indagine empirica tesa più a «confortare» che non a «verificare» le sue ipotesi, che non una teoria fondata sui fatti[17]. Categoria che, supposto potesse avere una sua valenza esplicativa dei comportamenti degli abitanti di un piccolo paese agricolo del Sud Italia, subito dopo la seconda guerra mondiale, risulta quantomeno riduttiva per spiegare gli orientamenti morali di tutto il Sud Italia a più di mezzo secolo di distanza. Si rimane, quindi, all’interno della teoria esplicativa monofattoriale e «fatalistica» di Putnam. Recenti indagini, invece, hanno dimostrato che tra capitale sociale primario e secondario e impegno civico si rilevano correlazioni positive (Tronca 2008b).

I dati della presente ricerca, proprio a partire dalla distribuzione territoriale delle diverse forme di capitale sociale, che sono più ridotte nelle aree meridionali, dimostrano che tra capitale sociale generalizzato, secondario e primario, e impegno civico non esiste incompatibilità. Come si può vedere dalla Tabella 3, capitale sociale primario, secondario e impegno civico mostrano correlazioni che, seppure deboli, sono comunque positive e significative. La correlazione positiva e significativa tra gli indicatori di capitale sociale dimostra che esiste una dimensione sorgiva del capitale sociale nelle sue diverse forme, rispetto alla quale si distacca la fiducia generalizzata, la cui genesi, secondo alcune ricerche, è da ricondurre ad esperienze vissute negli anni della socializzazione primaria (Uslaner 2002). Si evidenziano, tuttavia, correlazioni positive e significative, per quanto deboli, tra i livelli di soddisfazione e di benessere (che a loro volta sono correlati positivamente) con la fiducia generalizzata.

tab.3_Capitale sociale-3

3.3. La mappa semantica del capitale sociale

Per un ulteriore approfondimento delle connessioni e «prossimità» tra le varie forme di capitale sociale e la percezione soggettiva della qualità della vita, misurata per approssimazione dagli indici di benessere e di soddisfazione, ai dati è stato applicato il Multidimensional Scaling[18], per valutare la distanza euclidea tra le diverse variabili e sondare l’esistenza di aree di prossimità.

Nella costruzione del modello, sono state inserire le seguenti variabili:

· Indice di benessere

· Indice di soddisfazione

· Indice di status socio-economico dell’intervistato

· Indice di status socio-economico dei componenti del reticolo primario (valore medio riferito a tutti gli Alter)

· Ampiezza media delle reti parentali

· Ampiezza media delle reti amicali

· Ampiezza media delle reti di conoscenze

· Densità totale del reticolo primario

· Indice di impegno civico

· Indice di capitale sociale secondario (numero di associazioni)

· Indice di capitale sociale generalizzato (fiducia negli altri).

Invece dell’ampiezza media totale del reticolo primario, si è preferito distinguere tra parenti, amici e conoscenze perché il diverso peso che hanno questi soggetti nella composizione della rete di sostegno incide sul grado di apertura/chiusura del reticolo e sulla sua densità e omogeneità interna (Di Nicola, Stanzani e Tronca 2008, 2011b). Accanto allo status socio-economico degli intervistati, è stato preso in considerazione anche lo status socio-economico dei componenti del reticolo, in quanto queste due variabili danno una misura del livello di omofilia del reticolo, che, a sua volta, dà informazioni aggiuntive sulle caratteristiche strutturali e relazionali delle reti, che «producono» o «sono» capitale sociale primario.

Tutte le variabili sono metriche (gli indici di status non sono stati ricodificati). Nel modello, è entrato il 92,9% dei casi; l’indice di Stress è pari a .13, l’indice RSQ è uguale a .96. Come si può vedere nella Figura 1, la distanza euclidea tra le variabili considerate dà origine a cinque aree di prossimità:

1.   nel quadrante di destra, in basso, troviamo l’area della omofilia di status, che conferma la tendenza diffusa a «frequentare» persone simili;

2.   nel quadrante di sinistra, in basso, ma a scavalco con il quadrante di destra, si colloca l’area della prossimità primaria: amici e parenti costituiscono il cuore del capitale sociale primario, che unisce sia elementi ascrittivi (parenti), che elettivi (amici);

3.   sulla linea di demarcazione tra il quadrante inferiore e superiore della parte sinistra, si trova l’area del capitale sociale secondario, dell’impegno civico e di quella sezione del capitale sociale primario caratterizzata da relazioni sociali meno strette, ma che denotano una maggiore apertura della rete e un suo più elevato livello di efficienza; in tale area, si colloca anche la densità che può essere letta come un indicatore di apertura/chiusura delle reti sociali primarie;

4.   in alto, tra il quadrante di destra e di sinistra, troviamo l’area della qualità della vita percepita: benessere e soddisfazione;

5.   in alto, nel quadrante destro, ma isolato dal resto si colloca il capitale sociale generalizzato.

fig.1_ Capitale sociale-4

Lasciando da parte l’area della prossimità di status socio-economico, la Figura 1 può essere letta anche in senso circolare: l’area del capitale sociale primario, in particolare la rete amicale, fa da ponte all’area del capitale sociale secondario e dell’impegno civico: si riconferma che le diverse forme di capitale sociale non si autoescludono e che la funzione di ponte del capitale sociale primario è tanto più visibile quanto più esso ingloba soggetti extra-familiari. L’area di prossimità delle diverse forme del capitale sociale fa da ponte all’area della percezione della qualità della vita: anche se benessere e soddisfazione costituiscono un’area a sé stante, in realtà, essa è più vicina all’area del capitale sociale secondario e all’impegno civico che non alla fiducia generalizzata. Graficamente, tuttavia, la dimensione del benessere, rispetto a quella della soddisfazione, appare più vicina alla dimensione del capitale sociale (quello generalizzato e quello primario centrato sulle relazioni affettivamente meno coinvolgenti: conoscenti, piuttosto che amici e, soprattutto, parenti).

Il Multidimensional Scaling conferma quanto emerso dalle analisi precedenti: un buon grado di commensurabilità tra capitale sociale primario, secondario e impegno civico, un debole legame tra livelli di soddisfazione e di benessere e di capitale sociale generalizzato, che vanno, quindi, a comporre un’area separata, contrassegnata da una certa prossimità, ma che si distanzia dalle altre dimensioni qui analizzate.

4. Conclusioni

L’indagine esplorativa è stata condotta utilizzando i dati di una ricerca nazionale, nata all’interno di un progetto di ricerca che mirava ad approfondire altri aspetti del capitale sociale. Nell’economia della ricerca nazionale e sulla linea di altre indagini, centrale risultava l’approfondimento dei diversi tipi di capitale sociale (generalizzato, primario, secondario), per ognuno dei quali erano stati scelti specifici indicatori (ma sempre in linea con la letteratura nazionale e internazionale) e delle forme (caratteristiche strutturali delle diverse reti che producono i diversi tipi di capitale sociale), studiate con gli strumenti metodologici dell’analisi strutturale. Tuttavia, sia l’ampia mole dei dati raccolti sul capitale sociale, che la presenza di due batterie di domande centrate sulla rilevazione del livello di soddisfazione e di benessere dichiarato dagli intervistati, hanno reso plausibile, oltre che possibile, un ulteriore approfondimento teso a sondare l’esistenza o meno di relazioni e connessioni tra capitale sociale, benessere, soddisfazione e variabili strutturali di status. Quindi, per questo approfondimento, sono state utilizzate, per l’analisi della qualità della vita percepita, variabili ed indicatori assunti come misure proxy.

I risultati emersi dall’analisi, pur nella consapevolezza di avere lavorato in una logica di «approssimazione» al focus dell’approfondimento, si prestano a conclusioni interessanti.

Il primo dato sul quale è necessario fermare l’attenzione è il profilo medio che emerge: su tutti gli indicatori di capitale sociale e di qualità della vita, il campione si colloca sui livelli bassi. Il/la cittadino/a appare essere una persona poco connessa anche a livello di relazioni primarie, poco impegnata socialmente, che poco si fida degli altri: una persona che non esprime livelli particolarmente alti di soddisfazione e che, come detto, manifesta poco ottimismo ed entusiasmo nell’approcciarsi alla vita di tutti i giorni. Le cerchie sociali di appartenenza sono ristrette, dense e non si rilevano differenze molto significative tra maschi e femmine, adulti ed anziani, se non per poche e specifiche variabili.

Il quadro si modifica in maniera significativa, se si introduce la variabile dello status socio-economico: per tutte le misure di capitale sociale, coloro che hanno una posizione sociale più elevata godono, anche sul versante delle risorse relazionali, di una situazione di vantaggio. I dati indicano che tra capitale economico, umano e sociale vi sono significative relazioni e che il capitale sociale non può essere considerato una sorta di fattore di compensazione (per carenze di altre risorse). I dati suggeriscono che valutare le «capacità» e i «funzionamenti» (come direbbe Sen) solo da una prospettiva culturalista non solo è una visione limitata e carente, ma è anche una visione fortemente ideologica, che tende a nascondere il ruolo che ancora svolge la stratificazione sociale nell’influenzare i destini e le opportunità di vita di individui e gruppi.

Rispetto al dibattito che si è riaperto in Italia circa il ruolo svolto dal «familismo amorale», ai fini del ritardo nello sviluppo economico, politico e culturale delle aree del Sud, i dati qui analizzati, pur confermando la presenza di minore capitale sociale nelle aree meridionali del paese, dimostrano che non esiste contraddizione tra capitale sociale primario, secondario e impegno civico, ma che esiste, a livello micro, un’unica matrice sorgiva del capitale sociale nelle sue diverse forme, con l’unica eccezione per la fiducia generalizzata.

Rispetto alla percezione della qualità della vita – soddisfazione e benessere –, i dati non consentono di individuare un legame, una correlazione tra capitale sociale, nelle sue diverse forme, e i livelli di soddisfazione e benessere dichiarati. Anche se, nell’analisi della mappa della prossimità semantica tra le diverse dimensioni indagate, si può supporre che l’area del capitale sociale (primario, secondario e impegno civico) faccia da ponte e da collegamento con l’area della qualità della vita, sembra più plausibile sostenere che, mentre il livello di soddisfazione si correla con le aspettative soddisfatte (il ceto medio e gli adulti sono quelli che si dichiarano più soddisfatti, perché tendenzialmente e verosimilmente si sono posti e si pongono obiettivi da raggiungere alla loro portata), la percezione del benessere si lega a quello che si può considerare l’umore con cui ci si sveglia la mattina. Discorso analogo, ma riferito alle esperienze degli anni della socializzazione primaria, si può fare per la fiducia (capitale sociale generalizzato).

Gli italiani, dunque, hanno poco capitale sociale e, soprattutto, chi ne ha un po’ di più non sa cosa farsene? La domanda è indubbiamente provocatoria, ma ad essa dobbiamo rispondere, se si vuole dare un senso e una interpretazione ai dati sin qui analizzati.

Poiché la rilevazione è stata fatta prima che scoppiasse la crisi dei mercati finanziari a livello internazionale e prima che la condizione sociale ed economica italiana sfiorasse il collasso, non si può attribuire la distribuzione dei dati a situazioni congiunturali: quindi, non si può non convenire che le risorse relazionali degli italiani non sono abbondanti! Aleggia, per molti aspetti, un’aurea mediocritas, che non depone a favore di alcun ottimismo, quantomeno per il futuro. Per coloro che appartengono ai ceti sociali più elevati, la situazione è meno drammatica, a conferma del fatto che risorse materiali e risorse relazionali tendono a covariare. Tuttavia, nonostante l’enfasi posta dalla letteratura internazionale sul ruolo giocato dal capitale sociale soprattutto primario ai fini del miglioramento della qualità della vita per quanto solo percepita, in base ai dati analizzati, questo non sembra vero per il nostro paese. Benessere e qualità della vita percepiti appaiono come dimensioni indipendenti dal capitale sociale e poco influenzate dallo status socio-economico. A tale proposito, si possono avanzare alcune ipotesi esplicative, che non necessariamente si autoescludono.

Per quanto attiene al rapporto tra status, benessere e soddisfazione, si può ipotizzare, come già anticipato, che mentre il benessere dipende da una sorta di predisposizione mentale e caratteriale con la quale i soggetti si approcciano alla vita quotidiana, i livelli di soddisfazione tendono a covariare con le aspettative realizzate e con il loro livello. Gli insoddisfatti sono i giovani che devono ancora tutto realizzare, gli anziani che vedono restringersi alcune aree di soddisfazione (si pensi alla salute, agli aspetti economici); i più soddisfatti sono gli adulti che sono nella fase della piena maturità: lavoro sicuro, famiglia, figli. Scontenti sono i ceti più bassi, che faticano a fare un bilancio positivo della vita trascorsa e i ceti più alti che forse esprimono altissime aspettative, in tema di salute, relazioni familiari, denaro, tempo libero ecc. I ceti medi, probabilmente, valutano più realisticamente quanto realizzato in base a quanto si aspettavano.

La mancata relazione tra benessere, soddisfazione e capitale sociale primario e secondario si può spiegare attraverso due ipotesi, che si basano sul fatto che tutte le variabili qui considerate presentano valori medi bassi e, soprattutto, bassa variabilità. Si può ipotizzare, in prima istanza, che poiché è stato rilevato il livello di benessere e soddisfazione così come dichiarato dagli intervistati, senza alcun riscontro con variabili oggettive, esterne alla dimensione soggettiva, la valutazione espressa può anche risentire di un più generale e generico atteggiamento di base nei confronti della vita e delle sue sfide. Il pessimista, la persona chiusa potrebbe manifestare poco interesse e curiosità per gli altri, per la vita sociale, in altri termini, potrebbe investire poco nelle relazioni interpersonali (quindi, avrebbe poco capitale sociale) e poiché pessimisti e chiusi sembrano essere la maggioranza degli intervistati, con poche significative differenze, lievi incrementi sul versante del benessere e della qualità della vita dichiarati non riescono ad agganciare gli altrettanto lievi incrementi di capitale sociale. Si può, tuttavia, anche ipotizzare che le grandezze prese in considerazione crescano non in maniera lineare: che non si possa empiricamente dare che ad un incremento x1 del capitale sociale si abbia un incremento y1 di benessere e di soddisfazione. Si può pensare all’esistenza di una soglia (data anche solo dall’ampiezza delle reti di sostegno) al di sotto della quale il capitale sociale è ininfluente rispetto alla percezione soggettiva di benessere e di soddisfazione[19]. Si può pensare all’esistenza di diverse forme di capitale sociale, alcune della quali attivano maggiormente gli attori sociali e ne influenzano la percezione delle qualità della vita[20]. Ipotesi, queste ultime, che possono diventare interessanti percorsi di approfondimento teorico ed empirico, ma che i dati sin qui disponibili e commentati non consentono di intraprendere.

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1

Il lavoro sviluppa un nuovo percorso di approfondimento e lettura dei dati relativi all’indagine «Capitale sociale e benefici pubblici: reti di prossimità e cicli di vita della famiglia» svolta dall’Unità di ricerca dell’Università di Verona e coordinata da Paola Di Nicola. L’indagine è stata svolta nell’ambito della ricerca Prin 2007 «Reti societarie, capitale sociale e valorizzazione dei beni pubblici» coordinata da Pierpaolo Donati (Università di Bologna). Hanno fatto parte dell’Unità di ricerca di Verona, oltre a Paola Di Nicola, anche Sandro Stanzani e Luigi Tronca, che ha curato anche l’impianto metodologico. Altri aspetti dell’indagine sono stati oggetto di diverse pubblicazioni, in particolare: Di Nicola (2011), Di Nicola, Stanzani e Tronca (2011a, 2011b).

2

Molteplici sono le pubblicazioni che raccolgono i risultati delle diverse indagini condotte dal gruppo di ricerca. Si veda: Donati (2007); Donati e Colozzi (2006a, 2006b, 2007, 2011); Donati e Tronca (2008).

3

A livello macro, il capitale sociale viene definito come una proprietà dei sistemi, che ne favorisce il funzionamento: alti tassi di associazionismo, di partecipazione politica (misurata dal numero dei votanti), di gruppi di volontariato e soggetti che attuano comportamenti solidaristici (ad esempio numero di donatori, ecc.), bassi tassi di micro-criminalità ecc. sono spesso utilizzati come indicatori di capitale sociale a livello macro. A livello micro, il capitale sociale è definito come una risorsa disponibile a livello individuale: in generale, si identifica con l’insieme delle risorse (materiali, non materiali, affettive, di conoscenza, informazioni, aiuto morale ecc.) alle quali un soggetto può avere accesso tramite le sue relazioni personali, dirette e indirette.

4

Fiducia intesa in senso ampio come sinonimo di capitale sociale.

5

Quasi tutti i contributi che in questi ultimi anni hanno affrontato il tema del capitale sociale, ne fanno una genealogia teorica in riferimento a Putnam (1993, 2000), Coleman (1988, 1990), Bourdieu (1980, 1986) e, più recentemente, Lin (1999, 2001a, 2001b,2003). Per la letteratura italiana, a livello introduttivo al tema, si veda Bagnasco, Piselli, Pizzorno e Trigilia (2001), Iannone (2006), Donati (2007), Tronca (2007).

6

Bourdieu, Lin e Coleman sono gli antesignani dell’approccio micro; a Putnan e Fukuyama (1995) risale l’approccio macro.

7

Il campione è composto da 1226 individui, quasi equamente distribuiti tra maschi (48,6%) e femmine (51,4%), con un’età media di 49,35 anni (dev. std. pari a 15 anni). Il 98% degli intervistati è di nazionalità italiana, con una distribuzione territoriale che vede il 26,6% abitante nel Nord-Ovest, il 21,0% nel Nord-Est, il 19,6% nel Centro, il 22,1% nel Sud e il 10,7% nelle Isole. La maggior parte degli intervistati sono coniugati (55,2%), il 24,8% celibe/nubile, il 10,0% vedovo/a, il 9,4% separato/a o divorziato/a e lo 0,6% risposato. Il livello di istruzione è medio, medio-basso: il 9,2% degli intervistati non ha alcun titolo o, al massimo, la licenza elementare, il 25,8% la licenza media o di avviamento, il 46,0% il diploma di maturità, il 18,9% possiede un diploma di laurea (15,4%) o un titolo post-laurea (3,5%). La distribuzione degli intervistati sull’indice di status, costruito a partire dal gioco combinato di istruzione e tipo di occupazione, vede un 18,0% che si colloca sul livello basso, il 39,3% su quello medio-basso, il 29,6% su quello medio-alto e il 12,7% su quello alto.

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L’indice di status socio-economico dell’intervistato e della composizione di tutto il reticolo primario è stato costruito attribuendo punteggi sia alla professione che al livello di scolarizzazione. L’indice, non ricodificato, varia da 1 a 10, valore medio 4.69 (Std. 2.22).

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L’indice di soddisfazione è stato costruito per conteggio a partire dall’intensità – molto (4), abbastanza (3), poco (2), per niente (1) – con la quale l’intervistato, invitato a pensare agli ultimi dodici mesi, si è dichiarato soddisfatto per le seguenti dimensioni della vita quotidiana: 1. situazione economica; 2. salute; 3. relazioni familiari; 4. relazioni con gli amici; 5. tempo libero; 6. lavoro (solo per gli occupati). L’indice di soddisfazione della vita è stato costruito attribuendo un valore pari a 1 ogni volta che l’intervistato avesse scelto come alternativa sui sei item 3 o 4. L’indice varia da 0 (6,7%) dei rispondenti a 6 (5,1%), con un valore medio pari a 2,88 (Std. 1.53).

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L’indice di benessere è stato costruito per conteggio a partire dalla frequenza – sempre (5), la maggior parte del tempo (4), più della metà del tempo (3), meno della metà del tempo (2) a volte (1) e mai (0) – con la quale l’intervistato, nelle ultime due settimane, 1. si è sentito/a allegro/a e di buon umore; 2. si è sentito/a calmo/a e rilassato/a; 3. si è sentito/a attivo/a ed energico/a; 4. si è svegliato/a sentendosi fresco/a e riposato/a; 5. la sua vita di tutti i giorni è stata piena di cose che lo interessano. L’indice di benessere è stato costruito attribuendo il valore 1 nei casi in cui l’intervistato avesse indicato una frequenza di 3 e oltre. L’indice definitivo varia da 0 (34,0% dei rispondenti) a 5 (4,3% dei rispondenti), con un valore medio pari a 1.45 (Std.1.43).

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Il capitale sociale generalizzato è stato misurato a partire dalla seguente domanda: Quanto si trova d’accordo con la seguente affermazione? «Gran parte della gente è degna di fiducia». Per rispondere utilizzi una scala da 0 a 10 in cui 0 indica che non è per niente d’accordo e 10 che è completamente d’accordo. Utilizzi i voti intermedi per graduare il suo giudizio. L’indice varia da 0 (2,6% degli intervistati) a 10 (2,3% degli intervistati), con valore medio pari a 5.16 (Std. 2.13). L’impegno civico è stato costruito tramite conteggio a partire dalle domande relative a: 1. partecipazione ad un comizio; 2. partecipazione a un corteo; 3. sentire un dibattito politico; 4. dare un sostegno economico ad un partito e 5. dare un sostegno economico ad una associazione (negli ultimi dodici mesi). L’indice varia da 0 a 5, punteggio medio .96 (Std. 1.20).

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Numero di alter (parenti, amici, conoscenti) sui quali l’intervistato dichiara di potere contare in caso di bisogno: il capitale sociale primario varia da 1 a 14, valore medio 4,27 (Std. 2.12).

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Il capitale sociale secondario è dato dal numero di associazioni alle quali l’intervistato è iscritto: l’indice varia da 0 a 8, valore medio .45 (Std. .84).

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L’ampiezza delle reti primaria è data dalla somma degli alter sui quali l’intervistato dichiara di poter contare in caso di bisogno. Il reticolo varia da 1 a 14, con ampiezza media pari a 4.27 (Std. 2.12). Nelle elaborazioni successive, è stata calcolata l’ampiezza media dei singoli reticoli (parenti, amici e conoscenti), dal momento che molte ricerche hanno messo in evidenza che, in termini di supporto, i tre tipi di reticoli non sono equivalenti. La densità è data dal totale delle connessioni reali di tutti i nodi del reticolo, fatto 100 il totale dei legami possibili, se tutti fossero connessi. La densità varia da .26 a .97, densità media .75 (Std. .19).

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L’analisi della varianza è una tecnica di trattamento dei dati che opera un confronto della distribuzione delle medie (variabili metriche) tra gruppi e dentro gruppi. In particolare, lavora con gli scarti quadrati dalla media e, nel caso della distribuzione di una popolazione in n gruppi individuati in base ad una variabile categoriale indipendente (= factor) e una variabile metrica dipendente (= criterion), opera un confronto tra gli scarti quadrati della media dei valori della variabile metrica su tutto il campione e gli scarti della media dei valori della variabile metrica nei gruppi definiti dalle dimensione della variabile categoriale. L’obiettivo è quello di verificare se la variabile indipendente (factor) eserciti un effettivo ruolo discriminante nella distribuzione delle medie dentro i singoli gruppi (criterion), ovvero se la distribuzione delle medie dentro i gruppi sia puramente casuale. Il rapporto tra la somma degli scarti quadrati medi su tutto il campione (between) e la somma degli scarti quadrati dentro gli n gruppi (within) costituisce una misura del ruolo discriminante esercitato dalla variabile indipendente: più alto è il valore del rapporto (sintetizzato in F), maggiore è l’influenza della variabile indipendente. Si può fare l’esempio di un campione che presenta un’età media di 45 anni, con uno scarto dalla media di ±9 anni. Se calcolo l’età media in base al sesso, posso trovare i seguenti valori: M età media 47 e F età media 41. A questo punto si pone una domanda: la distribuzione delle medie dentro due gruppi (M e F) è casuale, oppure effettivamente i maschi sono più grandi delle donne? Se, valutando gli scarti dalla media dell’età sia nel gruppo dei maschi che in quello delle femmine, rilevo che dentro questi gruppi gli scarti sono più bassi di quelli riferiti all’intero campione, vuole dire che, in base all’età, i due gruppi sono al loro interno più omogenei, presentano meno variabilità. Quindi, si può sostenere che la distribuzione dell’età media dentro i gruppi non è casuale, ma effettivamente le donne del campione sono un po’ più giovani degli uomini. Se, invece, il rapporto ha un valore molto basso e la variabilità dentro i gruppi è pari o più alta di quella generale, significa che la distribuzione dell’età media tra maschi e femmine è casuale.

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Ricerche condotte con altri campioni confermano gli stessi andamenti: cfr. Di Nicola (2006, 2008); Di Nicola, Stanzani e Tronca (2008, 2010, 2011a, 2011b).

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Per una critica al concetto di familismo amorale, attraverso una analisi e una ricostruzione del percorso metodologico seguito da Banfield, si veda Tronca (2013).

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Lo scaling multidimensione (MDS: MultiDimensional Scaling) è una tecnica di analisi usata per rappresentare anche graficamente le differenze o le similitudini tra elementi di un dato insieme. Il MDS parte da una matrice quadrata, che contiene la «somiglianza» di ogni elemento di riga per ogni elemento di colonna. In pratica, tale tecnica parte da un sistema con tante dimensioni quanti sono gli elementi del sistema e le riduce sino a un certo numero N. Graficamente, dato un numero ridotto di N, gli elementi che si aggregano intorno ai punti di convergenza, sono ’simili’ tra di loro.

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È facile pensare che per una persona, che ha una rete di sostegno informale composta da 4,2 membri, conoscere e iniziare a frequentare uno o due nuovi amici, la vita cambi poco.

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La capacità di sostegno e la velocità di circolazione degli scambi dentro una rete primaria (composta, tradizionalmente, da familiari, parenti, amici, colleghi di lavoro, vicini di casa) cambino molto a seconda dell’ampiezza della rete e delle caratteristiche dei suoi componenti.

  • Articolo
  • pp:29-52
  • DOI: 10.1485/AIS_1_2013/TEORIA_RICERCA_2
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